Gianluigi Mucciaccio, avvocato
In queste ore drammatiche per l’economia italiana, la stessa, si sta avviando, con ogni probabilità, alla più grande tragedia dal dopoguerra in poi per il nostro sistema paese. L’ostinazione cieca e perversa portata avanti da questo governo fantoccio che continua a porsi in modo supino all’Europa merkeliana e bancocentrica dimostra e conferma, per l’ennesima volta, l’incapacità e l’incompetenza di questa pseudo classe dirigente.
Non voler considerare, in questo momento di agonia, la possibilità di battere autonomamente moneta per difenderci dalla attacchi della plutocrazia speculativa significa continuare in questa ignobile mattanza che vede tutte le categorie produttive assai vicine ad esalare l’ultimo respiro. In questo senso, reiterare la richiesta di prestiti con rigorosa condizionalità (altro che condizioni leggere!) vuol dire non aver alcun rispetto per il proprio paese e di deciderne deliberatamente un triste epilogo.
Su questo punto, mi sovviene una riflessione di quanto questi signori non hanno alcuna cognizione di quello che dovrebbe essere il concetto, oramai, ad onor del vero, totalmente dimenticato dalla politica italiota, di societas romano cristiana che vedeva nel rapporto organico tra l’organo di governo e la collettività dei consociati un collante indispensabile per tutelare e soddisfare l’interesse comune e che i romani definivano mirabilmente in “societas sunt homines qui ibi sunt”. Purtroppo questa visione dal contenuto spiccatamente umano e che si attua nella piena sinergia tra consociati ovvero cittadini e l’organo di governo convogliata verso il bene comune ha, al contrario, visto prevalere la concezione di quella che il compianto prof. Giacinto Auriti definiva la cosiddetta piramide rovesciata che trova la sua ratio nella societa-soggettività strumentale espressa con le più varie definizioni: personificazione del patrimonio, personificazione della norma, centro astratto di personificazione giuridica dei rapporti fictio juris ovvero persona giuridica.
Detti concetti denunciano evidentemente una grande distorsione nell’intendere l’actum publicae che approda fatalmente alla società strumentalizzante che pone al primo posto, in una brutale e corrosiva inversione di tipo gerarchico, lo strumento e non la persona che sfocia in una società strumentalizzata rappresentata dalla collettività dei soci, come oggi si palesa in tutte le sue drammatiche conseguenze. Appare, dunque, la sostanziale dicotomia tra l’organicità di una società in cui l’etica consiste nel porsi al servizio degli interessi generali e la società di stampo soggettivistico strumentale dove l’etica, al contrario, sfocia nell’interesse della società strumentalizzante (che è una minoranza) a discapito della collettività e spacciata falsamente come tutela della stessa.
E’ evidente che questa classe dirigente rientra in pieno nella seconda categoria, poiché essendo sorda ovvero lontana dalle impellenti necessità gridate dalla società civile in tutti i suoi livelli essenziali, salvo ricordarsene per sbandierare scopi meramente propagandistici, ha inteso soddisfare l’interesse di pochi (banche tedesche e francesi) a nocumento di tutti coloro che stanno pagando un tremendo impatto economico associato, altresì, alle dure restrizioni impostegli, senza alcuna logica legata al rilancio del mondo produttivo. La loro scelta l’hanno fatta ed è quella di continuare nello scellerato indebitamento verso quell’arrogante signoraggio di stampo usurocratico esercitato dal mondo bancario internazionale che si nasconde dietro questa falsa Europa sintonizzata con i mercati finanziari e che se ne infischia dei bisogni dei suoi cittadini.
In questo scenario di cannibalismo politico Conte e Gualtieri sono, nostro malgrado, gli attori principali, i quali stanno sorvolando spudoratamente sulle più elementari regole parlamentari recandosi ovvero interfacciandosi con Bruxelles senza interpellare le camere e pretendendo, nel contempo, in una sorta di “delirio di onnipotenza” di imporre la propria ristretta volontà a tutti noi configurando una “condotta sovietica” inaccettabile ai danni del nostro paese ed in totale subalternità all’Europa del nord.
Nel frattempo la questione della sovranità monetaria posta illo tempore dal compianto prof. Auriti a difesa del tentacolare sistema bancario e più volte invocata dalle opposizioni e dai vari movimenti che, seppur nelle sue diversità, ne auspicano l’attuazione non trova alcuna sponda in questo esecutivo privo non solo della legittimità popolare, ma soprattutto dei requisiti competenziali che una situazione di questo genere richiederebbe. Anzi di contro seguitano a rivolgersi al solito mantra dell’Europa che, in realtà, come hanno oramai compreso tutti, o almeno spero, ha fallito miseramente la sua missione costruendosi sugli egoismi tedeschi appoggiati ad un apparato finanziario autoreferenziale che non vede l’ora di saccheggiare definitivamente ciò che resta della nostra economia vicina al collasso definitivo.
Fatta questa chiosa, tuttavia, sul piano del diritto abbiamo senz’altro la possibilità di individuare varie soluzioni per tamponare la gravosa contingenza e tra queste c’è sicuramente quella di emettere moneta di stato che ci indica la nostra carta costituzionale.
A riguardo la riforma costituzionale dell’art. 117 cost. lett. e) introdotta dalla legge n. 3 del 18 ottobre 2001, infatti, consente di esercitare, nei limiti della carta costituzionale e dell’ordinamento comunitario, una potestà legislativa esclusiva in materia di “moneta e tutela del risparmio” che in questo specifico caso può essere perseguita nell’interesse del nostro sistema paese che ha dimostrato negli ultimi decenni di saper costruirsi una ricchezza che, oserei dire, non ha eguali al mondo riguardo le capacità di lavoro e di risparmio associata alla sagace ed indubbia parsimonia degli italiani.
Osservando, altresì, il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea l’art. 128 statuisce che “la banca centrale europea ha diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di “banconote euro” all’interno dell’unione” da cui implicitamente si può ricavare il fatto che nulla impedisce che al nostro paese di emettere moneta di stato e senza debito tanto più in una situazione disastrosa come questa. Seguitando nella normativa comunitaria, in questo senso, può venirci in soccorso persino la Convenzione di Vienna del 1969, la quale, prevede sia la sospensione dei trattati europei, sia la facoltà di recesso dagli stessi quando, come nel nostro caso, si verifica il mutamento fondamentale delle condizioni rispetto al momento di conclusione degli stessi (art. 62), in quanto è evidente che il peso degli obblighi ovverosia dei debiti di cui dovrebbe, ad oggi, caricarsi l’Italia riguardo alle condizionalità del MES a cui si l’emergenza coronavirus e l’ignominioso pareggio di bilancio inserito all’art. 81 della costituzione possono comprometterne irrimediabilmente le future possibilità di una nostra ripartenza economica. Questa strada seppur tortuosa, tuttavia, è una opzione percorribile giuridicamente per il solo fatto che il principio di solidarietà statuito nei trattati europei (cfr. art. 80 TUEF) che dovrebbe istaurarsi fra i vari paesi membri è venuto meno in relazione all’arroganza teutonica e non solo che mira, senza se e senza ma al nostro crollo economico.
In ultimo alla luce dei precedenti europei in materia si potrebbe intraprendere, essendocene le condizioni, la questione del c.d. debito detestabile di cui il primo a parlarne fu il giurista russo Alexander Sack il quale nel 1927 pubblicò sul tema un saggio dal titolo “Gli effetti della trasformazione dello stato sul debito pubblico e sulle obbligazioni” che recepiva tra l’altro la dizione di “debito ingiusto” dal Trattato di Versailles del 1919.
L’autore russo definiva debiti detestabili quelli contratti contro gli interessi della popolazione di uno stato, senza il suo dichiarato consenso, e con la consapevolezza che il creditore imponeva delle condizioni e delle modalità, chiaramente in contrasto con gli interessi della popolazione dello stato debitore come, d’altronde, emerge nel nostro caso.
Egli infatti sosteneva che “se un potere dispotico contrae un debito non per i bisogni o nell’interesse dello stato, ma con lo scopo di consolidare il suo regime dispotico, di reprimere la sua popolazione che combatte contro di essa, questo debito è da considerarsi odioso per la popolazione dello stato. Il debito non è un obbligo per la nazione; si tratta del debito di un regime, di un debito personale. La ragione per cui questi debiti “odiosi” non possono gravare sulla popolazione dello stato, è che tali debiti non soddisfano una delle condizioni che determinano la legittimità dei debiti dello stato, vale a dire: i debiti dello stato devono essere sostenuti e impiegati per i bisogni e nell’interesse dello Stato”.
Pertanto, se dovessimo inseguire ancora l’indebitamento che ci imporrebbe la Troika il nostro sistema nel suo complesso avrebbe conseguenze davvero sanguinose; da qui legittimamente potremmo rifiutarci di contrarlo anche in virtù del fatto che il nostro paese è il quarto contributore al bilancio europeo per una cifra di circa 15,215 miliardi di euro annui (stando ai dati dell’anno 2018).
Tra l’altro, per quanto concerne il debito detestabile ci sono stati dei precedenti storici che ci consentirebbero di ricorrere a questo strumento di tutela. Uno risale al 1936 allorquando la Grecia aveva contratto un debito con la banca Société Commerciale de Belgique. Ebbene in quel caso il paese ellenico, contrariamente a quanto accaduto nell’attuale drammatica situazione greca post MES, rifiutò tramite il primo ministro Ioannis Metaxas il pagamento del debito in quanto avrebbe pregiudicato la vita economica e l’amministrazione del Governo. Il contenzioso con l’istituto belga si svolse successivamente presso la Corte Internazionale di Giustizia nel 1938 la quale diede ragione alla Grecia in ragione del fatto che la situazione finanziaria scaturita dal debito odioso avrebbe compromesso la buona amministrazione del paese. Nello specifico la decisione della Corte, senza alcun dubbio, di grande rilevanza giuridica sostenne che la situazione straordinaria in cui si era venuta a trovare la Grecia “rende impossibile per i governi rispettare i loro obblighi verso i creditori e la loro gente […] Non è possibile pagare un debito pubblico e al tempo stesso dare al popolo la buona amministrazione e le condizioni di garanzia per sviluppo morale, sociale ed economico. Dobbiamo scegliere tra i due e, naturalmente, il dovere dello Stato di garantire il corretto funzionamento dei servizi pubblici essenziali oltrepassa il pagamento dei debiti”. (cfr. Annuario della Commissione di diritto internazionale, 1980).
Sempre a proposito di debito odioso si può fare riferimento alla nostra acerrima nemica ovverosia la Germania, la quale, dopo i due conflitti bellici aveva cumulato debiti per oltre 23 miliardi di dollari e che l’allora Europa decise di condonare con la motivazione che quel debito nella sua interezza ne avrebbe compromesso la risalita. Tutto ciò avvenne alla Conferenza di Londra del 1953 nel cui consesso partecipava anche l’Italia di De Gasperi e nella quale si decise di dimezzare al 50% il debito tedesco cumulato trovando la nostra disponibilità. Vien da sorridere, dunque, che proprio i tedeschi oggi (assieme ai suoi compari Olanda, Austria e Finlandia) ponga veti nei nostri confronti evidentemente la loro memoria è volutamente molto corta.
Tutto questo per dire che, in questo momento storico cruciale per il nostro futuro destino l’ordinamento interno e comunitario ci offrono diverse opzioni per arginare la crisi e di rialzare gradualmente la testa e, pertanto, non c’è alcuna giustificazione ovvero alcun alibi a favore di questi signori che continuano ad elemosinare aiuti (che non ci daranno) a questo spauracchio europeo. Occorre, oltre ovviamente alla competenza, anche la volontà politica, ma quest’ultima evidentemente difetta a Conte e compagni i quali imperversano nelle restrizioni a senso unico consumando quel tradimento verso un paese, la cui rabbia, nei diversi strati sociali, sta montando in modo davvero preoccupante.