Antonio Mastrapasqua
Non si tratta di nostalgia della Prima Repubblica, ma di preoccupazione crescente per questa Repubblica (Seconda? Terza?), che continua a svilire i suoi “servitori”.
Parlo dei sindaci, in questo caso, di chi intraprende la politica “al servizio” della propria comunità. Era il primo gradino di quel cursus honorum che faceva sperimentare la compatibilità di competenze e visioni, ideali e soluzioni ai problemi. La politica vera che si occupa della “cosa pubblica”. E che inizia dal condominio, dall’asilo nido, dalla strada comunale con le sue buche, fino ai permessi e le autorizzazioni da rilasciare per il commercio e l’uso dello spazio pubblico.
Un mestiere rischioso
Una volta non poteva accadere che un ministro, ma nemmeno un sottosegretario, arrivasse a quel ruolo senza avere sperimentato l’amministrazione locale, un po’ come una palestra necessaria ad affrontare gli esercizi dell’amministrazione centrale dello Stato. Oggi si sa, è cambiato quasi tutto. La competenza e l’esperienza amministrativa sono state a lungo – gli ultimi anni ce lo confermano – irrise, evitate. Oggi “servire la propria comunità è diventato troppo rischioso” sostiene Stefania Bonaldi, la sindaco di Crema (provincia di Cremona, Lombardia), indagata per un incidente occorso a un bambino nell’asilo nido della città. Per poco più di tremila euro al mese (lordi, la retribuzione dei sindaci è commisurata al numero degli abitanti del Comune da amministrare) la signora Bonaldi dovrebbe verificare le singole strutture degli edifici comunali, salvo poi assumersi la responsabilità a priori qualora ci fossero irregolarità.
Motivo per cui, recentemente, Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari ha detto che “chi trova soddisfazione nel proprio lavoro oggi difficilmente si candida. Chi ha un mestiere, non lo lascia per andare spesso a guadagnare meno e sempre a rischiare. È un mestiere pericoloso: ogni volta che un sindaco firma un atto rischia di commettere un abuso d’ufficio. Se non firma, rischia l’omissione di atti d’ufficio”.
Il sindaco? Pagato troppo poco
E la politica, quella dei Palazzi e delle scatole di tonno da aprire, finge di non vedere. Accetta di ridurre il servizio di un sindaco a volontariato rischioso. Tolti i sindaci delle grandi città, quasi tutti gli altri hanno compensi inadeguati ai rischi giudiziari e alle competenze richieste. Solo nei Comuni con oltre 500 mila abitanti la remunerazione mensile (lorda) raggiunge i 7-8 mila euro. Comunque, meno di un consigliere regionale e più o meno la metà di un parlamentare, compresi diarie e rimborsi vari. Bisogna però rammentare che sono meno di 40 le città italiane che superano il mezzo milione di abitanti, su un totale di quasi 8 mila Comuni.
Una delle eredità di questa pandemia – non ancora archiviata, a dire il vero – è la riscoperta dei territori. Il distanziamento e il confinamento ci ha fatto scoprire che si può vivere – forse meglio – oltre le grandi conurbazioni, che sembravano l’orizzonte inevitabile del futuro prossimo planetario. Nei paesi, nei borghi, nelle periferie (ammesso che ci siano ancora i centri) c’è anche chi vede il futuro del lavoro (più o meno smart, ma comunque sempre più spesso remoto). Già prima di questa emergenza sanitaria le comunità locali avevano rappresentato una sorta di insostituibile spina dorsale del Paese. E i rappresentanti delle comunità si sono ritagliati il ruolo centrale nel panorama istituzionale.