(Appressamento a Battiato)
I latini avevano una frase proverbiale sulla Provvidenza: “Dio ha dato denti, Dio darà il pane”. Praticamente tutti i popoli di cultura indo-aria, irani e tocari, ittiti, illirici e indù, conoscevano lo stesso proverbio.
In latino: “Deus dedit dentes, Deus dabit panem”.
Sanscrito: “Devas adadat datas, Devas dat dhanas”.
Le somiglianze e corrispondenze fra il greco e il sanscrito stupirono già gli intellettuali al seguito di Alessandro, quando arrivarono in India. Nel 1730, stupì il gesuita francese Calmette, che portò in Europa i manoscritti dei Veda. Nel 1786 l’inglese William Jones, in Bengala, dimostrò l’esistenza di un idioma comune, padre del greco e del sanscrito, una Ursprache di cui si potevano ricostruire le radici. Nel 1910 il glottologo J. Vendryes pubblicò un articolo il cui titolo suona, in italiano: “Le corrispondenze del vocabolario fra l’indo-iraniano e l’italo-celtico”: l’ipotetica lingua comune-madre accomunava anche i seguaci di Zarathustra, i druidi (sacerdoti gallici), i pontifices e i flamines sacerdoti romani i germani e gli slavi come gli ittiti di cui restavano imponenti archivi regali cuneiformi. Insomma una immensa quantità di popoli.
Dumézil ha provato che il nome della casta sacerdotale dell’india, i brahmani, consona con “flamen”, il sacerdote /(di fatto un collegio di sacerdoti) della Roma Prisca, che celebravano riti in una lingua arcaicissima che Cicerone ammetteva di non capire più.
Quella lingua arcaicissima è il tesoro per i linguisti antichisti, da cui traggono frammenti della lingua comune originaria.
Brahman = Flamen, dunque. E tutto il resto: “I più antichi romani avevano portato con loro in Italia la stessa concezione conosciuta dagli Indo-Iranici, e su cui notoriamente gli Indiani hanno fondato il loro ordine sociale”, scrive Dumézil.
Rispondo ad un lettore che mi chiedeva libri che non ripetano che “l’uomo viene dall’Africa”. Se sia esistito centomila anni fa un tale “uomo” non sappiamo; men che meno che fosse “uomo”, perché non sappiamo se e cosa parlasse. Ciò che definisce l’Uomo è infatti la sua lingua che fa tutt’uno con la sua cultura intesa come sistema di valori e credenze, e di organizzazione sociale; orbene, per noi europei “Uomini” sono gli immensi popoli detti indo-arii, che dall’Italia all’Irlanda alla Gallia fino all’Iran e l’India verso il 3 o 2mila avanti Cristo parlavano varianti della lingua comune, “ciò che suppone un mondo intellettuale e morale identico”; conquistatori che rapidissimamente si spostarono verso l’Atlantico, il Mediterraneo e l’Asia fino all’Indo e al Gange; portando con sé l’ordine sociale tripartito e gerarchico che in India s’è congelato nel sistema delle caste – brahmani, kshsatria (guerrieri) e vaisha (produttori) – e in Roma echeggiato dalla “triade pre-capitolina” Juppiter-Mars-Quirinus (il che spiega perché Cesare canzonò i suoi legionari in rivolta apostrofandoli “Quirites!”, ossia “borghesi”, e quelli ammutolirono) ; e nell’area indo-iranica arcaica gli dei protettori sono Mitra-Varuna (pei sacerdoti), Indra (guerrieri) e i Nasatya (i due dioscuri avestici; per inciso, “Varuna” equivale a Ouranos ellenico, il Cielo notturno ).
Ma le bande di conquistatori che si sparsero dall’Europa atlantica all’India, da dove venivano? Quale ora il loro luogo originario comune, la Urheimat, la patria primigenia? Non certo l’Africa. Al contrario, venivano dal Nord. Da una sede alquanto precisa, visto che nella loro lingua-madre nominano il faggio, un albero che non cresce al di là della linea dell’Oder-Kaliningra e che gli slavi nono conoscono; dunque sulle rive del Baltico e Mare del Nord.
Un indizio ancor più preciso l’ha dato lo studio nome del salmone: Lak in svedese e norvegese, Lachs in tedesco; in tocario, che abitavano in Cina in posti che mai hanno visto un salmone, il termine generico per “pesce” è laksi. Ma più stupefacente è l’India, dove il salmone non esiste nemmeno come nozione: laksa in sanscrito significa “100 mila”, anche nell’hindi moderno, “5 lakh” significa 500 mila (rupie, ad esempio). Gli antichi conquistatori dev’essere rimasto il ricordo eccitante e festoso degli innumerabili “centomila” grossi pesci argentei, dalla succulenta carne rossa, che risalivano in banchi tumultuosi i fiumi sfocianti nel Baltico e Mare del Nord per deporre le uova alle sorgenti gelide; “per i primi indo-europei viventi lungo i fiumi della Germania settentrionale” doveva essere la conferma che il Dio che ci ha dato i denti ci dava ben altro che “il pane”, con divina generosità e abbondanza; era il momento di cacce alla fiocina in competizione con gli orsi, di un cambiamento benvenuto di una dieta normalmente povera, ed omeriche scorpacciate della carne rossa e ricca di benefici grassi insaturi: per inciso, si ritiene che anche l’albero della lacca ha la stessa radice di Lakh, perché ha il colore della carme del salmone.
Mi sono accorto che il pezzo è lungo, e ancora non ho finito di parlare dell’origine nordica. Prossimamente, se interessa.