Sabato scorso, nella remota provincia nord-afghana di Sar-e Pul una forte squadra di terroristi ha attaccato alcuni poverissimi insediamenti dell’etnia Hazara, massacrando nel modo più brutale una cinquantina di civili inermi, decapitandone alcuni e trucidando altri col colpo alla nuca, incendiato le moschee e almeno una trentina delle misere abitazioni. Anche se gli aggressori non hanno dichiarato la loro identità, si ritiene che si tratti della filiale locale dello Stato Islamico alleata coi talebani.
Giovedì il portavoce del ministero degli esteri russo ha detto chiaro: il massacro è stato perpetrato da “combattenti stranieri” trasportati sul posto da “elicotteri sconosciuti”.
“Si sono registrati voli di elicotteri non identificati in direzione di territori controllati da estremisti in altre province del Nord Afghanistan”, ha continuato il portavoce: “Per esempio, ci sono prove che l’8 agosto, quattro elicotteri hanno operato dei voli dalla base aerea del 209mo corpo dell’armata afghana a Maz-i-Sharif verso una zona catturata da milizie nel distretto di Aqcha, provincia di Jowzian. Sembra che il comando di forze NATO che controlla il cielo afghano rifiuti ostinatamente di constatare questi incidenti ….Si osservano tentativi di riaccendere i conflitti etnici nel paese”.
L’accusa è dunque che settori delle forze armate afghane (sotto controllo occidentale) abbiano fatto la strage con la connivenza della NATO, che controlla lo spazio aereo.
Secondo l’ex ambasciatore Bhadrakumar, questa è “la prima fase di una guerra per procura” che gli americani stanno preparando in Afghanistan; l’apertura di un “secondo fronte” contro l’Iran usando lo Stato islamico: gli Hazara infatti sono la minoranza sciita nel paese, ovviamente con collegamenti con l’Iran. Se la cosa dovesse essere verificata, sarebbe una malvagità ripugnante da parte americana, perché colpisce l’etnia più miserabile, perseguitata e indifesa, che ha subito vere e proprie pulizie etniche dai sunniti.
Ma la cosa è di fatto confermata dall’annuncio lunedì, da parte di Trump, di voler mandare in Afghanistan un nuovo accresciuto contingente militare, più contractors (mercenari) tre volte più numerosi dei soldati regolari. E’ una decisione che contraddice tutte le promesse e gli impegni della sua campagna elettorale. “In Afghanistan abbiamo sprecato quantità enormi di sangue e di denaro. Usciamone!”, ha scritto in un tweet del 21 novembre 2013.
Si sa anche che The Donald ha nei mesi scorsi resistito alle insistenze di McMaster e di Mattis (Pentagono) per ottenere il prolungamento e l’aumento della campagna d’Afghanistan, che dura già da 16 anni. Il fatto che ora abbia ceduto conferma che è totalmente sotto il controllo dei tre generali (Mattis, McMaster e Kelly) che lo hanno normalizzato facendone un (altro) strumento delle politiche belliche neocon. Il fatto che l’America non stia affatto vincendo in Afghanistan la guerra che si suppone conduca contro i Talebani, non è motivo sufficiente a rinunciarvi né da parte del Pentagono né da parte della Cia. Entrambi ricavano grossi tornaconti dalla lunghissima “guerra” e occupazione in Afghanistan. La Cia non vuole rinunciare alle sue forze militarizzate e ai suoi droni, con cui giustifica la sua permanenza.. Ma soprattutto, corrono voci che la produzione di oppio, che l’apparato militare Usa non ha mai veramente contrastato, serva alla Cia per autofinanziare operazioni letteralmente “in nero”, ossia anche all’insaputa del governo. Del resto è ciò che fece in Vietnam, dove finì per controllare l’oppio del Triangolo d’Oro (fra Laos, Vietnam e Cambogia) e per riciclare i fondi – che servivano per traffici clandestini di armi – fondò anche una banca a Sidney, la Nugan Hand Bank, nel cui consiglio d’amministrazione sedevano generali Usa, ammiragli e uomini Cia, fra cui l’ex direttore William Colby.
Vecchie storie ormai nei libri: vedi ad esempio Jonathan Kwitny, The Crimes of Patriots: A True Tale of Dope, Dirty Money and the CIA, W.W. Norton & Co., 1987. Ma che ritrovano una certa attualità a leggere un rapporto, pubblicato venerdì dal ministero degli Esteri di Mosca, sulla situazione della droga in Afghanistan. Dove si dice che: ormai un terzo della popolazione del paese (sotto occupazione NATO) si occupa della coltivazione del papavero; che un forte aumento della produzione è previsto quest’anno; che l’oppio afghano ha raggiunto ormai anche il continente africano, e che – attenzione:
tonnellate di prodotti chimici per il trattamento dell’oppio in eroina sono importati illegalmente in Afghanistan e “Italia, Francia e Paesi Bassi ne sono i principali fornitori”. E né Usa né NATO stanno facendo alcunché per frenar questa attività illegale.
Evidentemente Mosca e Teheran hanno concluso che il prolungamento della missione Usa-NATO in Afghanistan deciso da Trump, inserito nella più forte ostilità di Washington verso i loro due paesi, prepara una guerra ibrida e per interposto IS (i servizi iraniani hanno dichiarato da tempo che l’IS in Afghanistan è stato creato da Cia, MI6 e Mossad): la stessa ricetta usata in Siria (con gli Usa che sostengono i terroristi che dicono di combattere) e dietro il loro cortile di casa.
Che risposta danno? L’ha detto il ministro della Difesa Sergei Shoigu, il 18 agosto in una riunione di alti gradi: il conflitto afghano costituisce una minaccia per la stabilità dell’Asia Centrale; ragion per cui la Russia conta di organizzare esercitazioni congiunte entro l’anno col Kirgizistan il Tagikistan (dove Mosca ha basi militari) e l’Uzbekistan.
Inoltre l’ambasciatore Zamir Kabulov, inviato presidenziale a Kabul, ha ricordato che la Russia aveva sollevato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il problema dei “lanci con paracadute di rifornimenti a combattenti dell’IS in almeno tre provincie a nord dell’Afghanistan ad opera di velivoli non identificati” e chiarito che se la NATO e gli USA non sono in grado di contrastare l’IS, Mosca userà la forza militare. Precisamente: se lo Stato Islamico dovesse superare le frontiere dei paesi vicini in Asia centrale, questa sarà una “Linea rossa”. Già a luglio, in una precedente esercitazione militare col Tagikistan, la Russia ha provato a scopo dimostrativo i missili balistici Iskander-M, con un raggio di 500 chilometri, 700 chili di carca utile e meno di 10 metri di precisione. La stessa arma Mosca l’ha dispiegata in Siria.
Lindsey Graham minaccia “un nuovo 9/11 se vi opponete”
Impressionante l’effetto che la notizia della continuazione della guerra in Afghanistan ha prodotto sul senatore Lindsey Graham, repubblicano, da sempre coppia fissa con John McCain in tutte le iniziative belliche e sovversive internazionali. Alla Fox tv è comparso quasi incredibilmente euforico, esaltato e (parola sua) “sollevato”: “Sono fiero del mio presidente. Sono sollevato. Sono orgoglioso del fatto che il presidente Trump ha fatto una decisione di sicurezza nazionale, non una decisione politica. … sono sollevato che non ha preso la decisione di ritirarsi, che sarebbe stato disastroso, o di creare un esercito mercenario “. E quasi fuori di sé dalla gioia: “Sono molto contento di questo piano, e sono molto fiero del mio presidente”. S’è detto sicuro che il Congresso, così fieramente contrario a Trump su quasi tutto, stavolta dirà un sì “schiacciante” e “bipartisan” (democratici insieme a repubblicani) alla nuova strategia di Donald in Afghanistan. Ma non doveva essere del tutto sicuro perché l’ha fatto seguire da una minaccia: “Voi”, ha detto rivolto ai senatori, “porterete il peso di un voto No. Il prossimo 11 Settembre sarà addebitato a voi, non al presidente Trump, se votate contro questo piano”.
Il prossimo 11 Settembre? E’ una chiara minaccia da parte di uno che, come il senatore Graham, è stato nella Commissione 9/11 che ha confezionato la versione ufficiale ma che ha visto documentazione reale, e a suo tempo alluse alla complicità di “un nostro alleato” nel superattentato. Siccome Trump prima delle elezioni aveva promesso agli elettori: “Vi dirò chi c’è dietro le Torri Gemelle”, il sollievo di Graham può avere una ragione in più per rallegrarsi della normalizzazione di Trump.
E’ tanto normalizzato, dicono gli ambienti neocon, che forse non sarà necessario l’impeachment. Famosi neocon hanno reso pubblica la loro esultanza per il nuovo prolungamento della guerra in Afghanistan e la castrazione di The Donald
Bill Kristol(J), direttore del Weekly tandard, uno degli organi della politica neoconservatrice ha twittato:
“Fuori: Flynn, Priebus, Bannon. Dentro: McMaster e Kelly. Ci sono limiti alla differenza che possono fare dei consiglieri, ma è un grosso miglioramento”.
John Mordecai Podhoretz (J) direttore della rivista ultra-sionista Commentary: “Alla fin fine siamo tutti neocon”.
Questa è ormai al cento per cento una ulteriore presidenza Goldman Sachs e Complesso Militare Industriale, ha concluso angosciato Mike Krieger
Per assurdo, una verità l’ha enunciata Erik Prince, che è il fondatore della Blackwater, la ditta di mercenari. Deluso perché sperava (l’aveva proposto Bannon) in una “privatizzazione” del conflitto afghano, con l’affidamento del paese ad una “compagnia delle Indie” di mercenari, Prince ha definito il piano Trump “un Obama-lite”, la stessa politica fallimentare di Obama, “pù leggera ma più costosa. Ricordate, il Pentagono oggi spende tanto quanto aveva nel paese cinque volte più truppe [infatti erano anche 100 mila,oggi sono state ridotte a 25 mila da Obama]. E’ orrendo che hanno perso il controllo della spesa. E’ il motivo che rende tutto questo insostenibile”. Ma probabilmente è il motivo per cui la burocrazia militare trova il suo grasso tornaconto nel continuare un fallimento tanto costoso. Perdere il controllo della spesa pubblica ha i suoi vantaggi, come sanno all’ATAC o alla Regione Sicilia. Anche il governo-fantoccio afghano, del resto, vive delle larghezze americane.