“Britsh jobs for British workers”, esultano i tabloid, si complimenta il BritishNational Party (fascista, diciamo), con Theresa May, l’elegantissima premier. La quale, alla conferenza del Partito a Birmingham, l’ha detto chiaro: “La musica deve cambiare”. In questi anni di liberismo senza regole, ha detto, “La gente con beni è diventata più ricca, la gente senza beni ha sofferto. Chi ha preso prestiti ha trovato il proprio debito meno costoso. Chi aveva dei risparmi s’è trovato più povero”. Ha minacciato i nove miliardari che evadono legalmente le tasse con le loro multinazionali, e “non capiscono cosa la parola ‘cittadinanza’ significa. Oggi troppa gente col potere si comporta come se avesse più in comune con le elites internazionali che con la gente che abita nel vicinato, la gente che essi impiegano, la gente che passa per la strada. Il mondo funziona bene per i pochi privilegiati, ma non per le persone comuni” .
“Un ricco che si prende massicci dividendi sapendo che il conto-pensioni della sua ditta sta per fallire – avverto: non si andrà avanti così”.
“E’ per questo che i mercati sono disfunzionali, e noi dobbiamo essere pronti ad intervenire. Quando le grandi imprese sfruttano le falle del mercato in cui operano, quando la scelta del consumatore è bloccata da strutture di prezzo deliberatamente complicate, noi dobbiamo intervenire per raddrizzare il mercato”.
“Noi” ha chiarito Theresa May, significa “Lo Stato – E’ tempo di ricordare il bene che lo Stato può fare. Che lo Stato esiste per fare ciò che gli individui, le comunità locali, i mercati non sanno fare, e noi dobbiamo usare il potere dello Stato per il bene del popolo”.
Anzi, ha rincarato: “E’ tempo di rigettare i dogmi ideologici sia della sinistra socialista sia della destra libertaria, e di adottare un nuovo centro, in cui lo Stato interviene, e non si ritrae, per operare a nome di tutti noi”.
Immediatamente gli avversari (fra cui la sinistra-sinistra di Corbyn, oltre che i miliardari) l’hanno accusata di “populismo”, di “protezionismo”; statalismo, e persino di “xenofobia”, per via del progetto – delineato dalla sua ministra dell’Interno – di sostituire i lavoratori stranieri con i britannici appena sia possibile.
La conclusione l’ha dato un columnist del Telegraph: “Theresa May ha chiuso l’epoca liberista. Comincia la democrazia cristiana”, per intendere l’economia sociale di mercato.
Non è stato solo Brexit. Quel voto, la May l’ha inteso come “la rivoluzione silenziosa in cui milioni di concittadini si son levati in piedi ed hanno detto che non sopportano più di essere ignorati”. Insomma, Brexit means Brexit, in tutti i sensi.
E’ proprio cambiata la musica, e ciò nel cuore della capitale del liberismo dogmatico, della chiesa di Adam Smith e del darwinismo sociale. Nella allocuzione della May suonano echi di una socialità politica che si ritrovano, oltre Atlantico, nelle affermazioni del candidato Donald Trump.
Dato il potere che il mondo anglo ha sulle menti ( sappiamo che l’impero britannico è un “impero della mente”, come disse Huxley), c’è il serio rischio che il liberismo selvaggio passi di moda e torni di moda l’economia sociale di mercato.
E i nostri politici che hanno dato il cuore (e un altro c.) al liberismo? che hanno obbedito agli ordini delle centrali del monetarismo e della globalizzazione presunta “ineluttabile”? i piddini e i Mario Monti, e non parliamo delle Angela Merkel – non hanno niente da mettersi per la nuova stagione.