(Ricevo e volentieri posto:)
La scuola è senza dubbio uno dei terreni di lotta contro questa idea di emergenza perenne. In Italia è stata la prima a chiudere per il Covid-19 e non ha più “fisicamente” riaperto. I bambini, tutti i minorenni, e i loro diritti, sono stati ignorati durante tutta la fase emergenziale dalle istituzioni, e presi in considerazione solo dopo proteste e mobilitazioni. A non voler far la parte degli sciocchi pare invece piuttosto evidente che la strategia comunicativa delle istituzioni e del gruppo degli “esperti” fosse voluta e studiata, con una serie di dichiarazioni e poi successivi dietrofront in seguito alle proteste di una parte della popolazione e, nel caso specifico, degli insegnanti, genitori e associazioni. Tutto questo all’interno di un più generale modello comunicativo atto a creare confusione, incertezza e uno stato emotivo di ansia e panico, tenendo il popolo e le singole persone allo stadio di infantilismo. Una schiera di bambini impauriti che attendono regole e sicurezze dagli adulti.
Nonostante gli ammirevoli sforzi compiuti dalla grande maggioranza delle persone coinvolte – insegnanti, studenti e genitori – la didattica a distanza, a cui sono stati “sottoposti” i nostri figli, non può essere considerata altro che una soluzione di pura emergenza, che è già andata ben oltre i limiti ragionevoli.
Non può dunque essere pensata come soluzione anche per il prossimo anno e – per quanto si possano discutere sfumature e specificità – questo vale per tutti gli ordini e gradi di istruzione. Il dibattito sulle modalità di riapertura del prossimo anno scolastico vede coinvolte varie figure, dai dirigenti, agli insegnanti, ai pedagogisti, alle famiglie e associazioni. Crediamo che il fare chiarezza su una questione di tale importanza sia prioritario. Di fronte alle prospettate linee guida del Miur, è necessario avanzare un progetto concretamente alternativo che rispetti il valore dell’insegnamento, dei ragazzi, e più in generale rimetta al centro un più alto valore di umanità.
A premessa di tutto il ragionamento va evidenziato con decisione che il Governo ha fin dall’inizio delegato le scelte “politiche” ad un gruppo di esperti, i quali, non sappiamo se per mala fede, o per dichiarata ignoranza, non hanno fatto altro che proporre soluzioni sulla base di calcoli matematici che mal si compongono con la realtà. A volte, persino un po’ di buon senso, sarebbe bastato a correggerli. Le proposte per il rientro a scuola trovano il loro fondamento stabile sull’assioma dell’emergenza perenne: vedi distanziamento sociale, uso di mascherine, sterilizzazione degli ambienti scolastici, ecc. La parola d’ordine è “ritorno a scuola in sicurezza”. Appare evidente a chi non è cieco che la situazione attuale viene sfruttata per portare avanti un progetto di cambiamento della scuola che niente ha a che vedere con la pandemia; un progetto antico, ma che trovava resistenze nelle forze positive del Paese.
Tramontata l’idea di sostituire la “vecchia” scuola con la didattica a distanza per eccesso di proteste, ecco presentarsi l’idea di una “nuova” scuola, più moderna, digitale, flessibile, aperta alle realtà territoriali, nella quale la didattica a distanza, cacciata dalla porta principale, fa capolino, silenziosamente dalla finestra. L’idea ad esempio di diminuire le unità orarie a 40 minuti appare irrealistica e decisa da chi sembra non essere mai entrato in una scuola!
Se la digitalizzazione fa certamente parte ormai del percorso formativo, essa ha però un valore positivo solo come supporto all’insegnamento – che non può non essere in presenza – col suo corollario di relazione e socializzazione. Non possiamo d’altro canto tacere anche dei rischi di un’eccessiva esposizione dei ragazzi al mezzo informatico, rischi che negli ultimi anni sono stati evidenziati ripetutamente da pedagogisti e psicologi.
A questo scempio non si sottrae nemmeno l’università che sembra destinata a divenire quasi esclusivamente online. Questo da un lato può sembrare una “democratizzazione” del sapere, perché consente a studenti meno abbienti di frequentare lezioni di università fuorisede, senza gli oneri economici del vivere in un’altra città. In realtà nasconde delle insidie: un ragazzo di una piccola cittadina con università, preferirà iscriversi a quella più “prestigiosa” di una grande città come Milano o Roma ad esempio, con la conseguente perdita di pluralismo, già ora assai compromesso. Verrebbe meno anche quella naturale socialità fra studenti di diversa provenienza e cultura, che è sale imprescindibile per la formazione umana e di un robusto pensiero critico. Anche in questo caso, noi siamo certi della chiara volontà del governo di raggiungere tale obiettivo. Si tratta del progetto di formare la futura classe dirigente – che in parte è già tristemente attuale – una classe infarcita di competenze, ma con scarsissima capacità logica, riflessiva e critica, gioiosamente lanciata sul treno di tutte le ideologie progressiste e liberiste.
Nel nostro Paese si lavora alacremente da oltre tre mesi per mantenere alta la percezione di un’emergenza perenne e irreversibile che quindi è destinata a modificare radicalmente le nostre vite, il nostro modo di relazionarci, non in una direzione di maggiore consapevolezza e umanità, ma al contrario trasformando il mondo in una gigantesca sala operatoria asettica, dove l’altro è sempre un potenziale pericolo.
La verità invece è che al momento attuale l’emergenza è quasi scomparsa. I malati diminuiscono, gli ospedali si svuotano, nuove cure vengono sperimentate con grande successo; anche in caso di nuova recrudescenza in autunno – tutta da dimostrare – abbiamo tutto il tempo per fare interventi di prevenzione, strutturali e di medicina sul territorio. Di tutto questo, il governo, i loro tecnici e la maggioranza dei media ha sempre preferito non parlare.
Ci dicono che niente sarà più come prima, e in un certo senso è vero, ma non come lo intendono loro! È entrato radicalmente in crisi un modello di società, un paradigma economico, culturale e ci permettiamo di dire anche medico. Questa può essere un’occasione unica e cruciale per rifondare un intero paese, mattone dopo mattone. È fondamentale parlare di prevenzione, mettendo l’accento non sugli agenti patogeni che ci possono infettare, quanto sul sistema immunitario delle persone – il “terreno” – l’alimentazione sana ed equilibrata, lo stile di vita, l’inquinamento atmosferico ed elettromagnetico. In generale, si tratta quindi di cogliere l’occasione per portare alla luce un diverso paradigma medico. Abbiamo nel nostro Paese tanti medici che curano tenendo conto di una visione totale della persona e che hanno proposto visioni alternative al terrore sanitario di questa pandemia. Vengono spesso additati e perseguitati come “complottisti” e “non scientifici”. Sarebbe giunto il momento di sostenerli, di dar loro spazio e voce. Ma per far questo, perché essi non incorrano ulteriormente in persecuzioni, è necessario che tutte le persone che desiderano il cambiamento diano un sostegno pubblico e visibile. Dall’abbattere il “muro del terrore” passano tutte le altre battaglie. Non si può dunque attendere oltre.
La scuola è un muro portante dell’edificio da ricostruire.
Veniamo da decenni di tagli alla spesa pubblica, quindi alla sanità e alla scuola, da decenni di problemi trascinati e mai risolti. La prima inversione di marcia sarebbe proprio un tornare ad investire copiosamente in questi due settori. Urgenza che non ha niente a che vedere con l’emergenza, ma con il bene comune. Spetta a chi ha il mandato di governare il trovare le risorse. Anche il paradigma economico che ci ingabbia andrebbe subito messo in discussione.
Conversione a uso scolastico di edifici inutilizzati e di scuole precedentemente chiuse, ottimizzazione nell’uso dello spazio nelle aule in rapporto al numero di studenti, regolarizzazione dei docenti precari, assunzione di più personale, sono solo alcune delle proposte. Questioni come le classi-pollaio o il precariato di migliaia di docenti sono balzati all’onore della cronaca in quest’ultimo periodo, ma sono problemi di vecchia data ed erano un ostacolo ad una vera istruzione, già prima. Perché non cogliere l’occasione? Perché non mettere in discussione il dogma della scuola azienda, della didattica delle competenze, delle prove INVALSI e di tutta quella pseudoscienza dell’educazione che cancella l’idea olistica del bambino e del ragazzo in formazione?
Questo significa combattere un universo culturale che da decenni ha portato a riformare la scuola in senso peggiorativo, abbassando il livello di formazione dei giovani, puntando al mero inserimento nel mondo del lavoro e non allo sviluppo armonico della personalità, il solo che permette di diventare cittadini consapevoli e liberi.
Non ci può essere una scuola migliore, un migliore sistema sanitario se non all’interno di un rinnovato clima culturale.
Questo vuol essere un spunto di riflessione per approfondire meglio certi problemi che hanno bisogno di una risposta davvero urgente.
Belinda Bruni
Massimo Selis
Mario D’Andreta
Nikoleta Maslovar