Non ho voglia di perdere tempo e fatica in una analisi approfondita, ma a Luigi Di Maio va riconosciuta la qualità – essenziale in politica: di duro ed abile negoziatore. Nel corpo a corpo con Zingaretti ha posto condizioni incredibili, ben conoscendo la voglia estrema del PD di rientrare nella stanza dei bottoni.
“ll M5S non ha paura delle elezioni. Anzi”, ha scandito : “In questo momento siamo ancora più uniti, con Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio, Max Bugani, Paola Taverna, Nicola Morra, i capigruppo, i nostri ministri e tutti coloro che per il MoVimento hanno dato l’anima. Andiamo a votare subito”.
Faccia da poker. Un bluff notevole, perché tutti quelli che nomina come “ancora più uniti” a lui, sono i suoi avversari interni più pericolosi. E i grillini nelle Camere per grazia ricevuta, sono anche più spaventati al rischio di perdere la poltrona con elezioni.
“Ad ogni uscita Di Maio alza sempre di più la posta e rischia di far saltare il banco. I suoi parlamentari pensano sia impazzito”, commentava un portaborse interno al Palazzo.
Tra i 20 punti “irrinunciabili”, che il PD doveva accettare se voleva entrare al governo col 5S, ha inserito : “Una riforma del sistema bancario. Serve separare le banche di investimento dalle banche commerciali”. Nientemeno. La Glass-Steagal. Un punto qualificante del sovranismo, uno dei più compromettenti per un PD che vuol mostrarsi come servitore-modello dei ”mercati” e della finanza. Dunque inaccettabili.
Naturalmente la trattativa qui era inceppata, e ci è voluta la telefonata della Merkel a Gentiloni per sbloccarla: fate il governo coi grillini “a qualunque costo”. Insomma è una capitolazione, quella che Di Maio ottiene da Zingaretti (e dalla Kanzlerin).
Poi il primo ministro: il piddino vuole “discontinuità”, quindi niente Conte primo ministro. Di Maio : o Conte premier, o niente governo. Occorre precisare che mentre negozia così – come da posizione di forza – Di Maio invece è indebolito da Beppe Grillo, che notoriamente lo odia, e interviene costantemente contro di lui nei suoi video, dove appare sempre più uno dei personaggi mostruosi e deformi di quella galleria di degenerati che ci ha dato la politica italiota. Pugnala alla schiena di Maio, ripetutamente e pubblicamente. Apertamente gli preferisce Conte: “Ci ha restituito una parte della dignità persa davanti al mondo intero – Benvenuto tra gli Elevati”, critica il negoziatore con frasi come “abbiamo da progettare il mondo e invece ci abbrutiamo, e le scalette e il posto e i dieci punti, e i venti punti, basta!”.
Non basta ad eliminare il negoziatore. Beppe Grillo deve ricorrere, per stroncare definitivamente Di Maio, al suo intervento sul Fatto Quotidiano: dove fa dichiarare ad una delle sue tre teste, obliquamente ma esplicitamente: “ incazzata e ancora stupefatta per l’incapacità di cogliere il bello del cambiare le cose. Con i punti che raddoppiano come alla Standa».
Ora sappiamo che “Renzi aveva parlato di un governo coi 5 Stelle già un mese fa”:
Era tutto già deciso a sua insaputa, ma Di Maio s’è battuto come un leone: non è stato vinto dalla controparte, ma è stato freddato col classico colpo alla nuca dal cosiddetto Elevato alle sue spalle. Un tradimento in più nel tradimento.
Resta la meraviglia: il “bibitaro” napoletano, quello “che non ha mai lavorato in vita sua”, che “non fa finito gli studi”, ha rivelato una capacità di negoziatore imprevista, sofisticata e ben articolata nel linguaggio e nel pensiero; e carattere, perché un negoziato come quello lo richiede. Qualcosa che – ahimé – il rozzo ed approssimativo Salvini, monocorde nei selfie con , non possiede – e sa di non possedere, visto che ha disertato tutti gli incontri coi ministri degli Interni europei, che mai è andato trattare nelle sedi giuste per far cambiare il trattato di Dublino. Anzi, a ben pensarci, non ricordo in nessun leghista una simile capacità ed articolazione di linguaggio: che il Nord non abbia una classe politica capace di esprimersi con la abilità e proprietà di Di Maio, mi sembra ponga un problema. La Lega, è il meglio che si possa dire, non è una schiera di rivoluzionari di professione. L’avventura “nazionale” di Salvini, l’hanno seguita con passività e implicita riserva. Se devo pensare a un leghista di chiara visione, determinato e di militanza attiva, mi vengono in mente Marco Zanni – che però viene dal Cinque Stelle, e ovviamente Bagnai: che non è “nato” leghista, non ne è interno, e inoltre non è del Nord – per fortuna, bisognerà dire. Borghi è un brau fieu, ma politicamente un fesso, un dilettante, come ha dimostrato ripetutamente – provocando l’allarme e la vendetta dei poteri forti con l’inutile esibizione dei minibot, e dichiarandosi per continuare il finanziamento pubblico a Radio Radicale. Come “nordico” mi preoccupo. E rendo onore a Di Maio di Avellino che s’è battuto così bene. La Lega ci guadagnerebbe a prendere un sovranista così..