PAPA BERGOGLIO, I GESUITI, FIDEL CASTRO E PERON: QUALI LEGAMI?
In precedenti occasioni lo scrivente ha osservato che il “nativismo”, a volte, può assumere un carattere ideologico piuttosto che storico ed antropologico. Questo carattere ideologico lo abbiamo visto all’opera in azioni che delle ragioni storiche, legittimamente vantate dal nativismo, ha fatto un pretesto di nichilistica e, pertanto, infruttuosa contestazione (a meno che non si voglia ritenere cosa fruttuosa abbattere vecchie statue di pur discutibili e spesso odiosi personaggi del passato).
Una considerazione analoga, tuttavia, va fatta anche per certi tentativi, di segno contrario, intesi a offrire un giudizio sostanzialmente negativo di certe vicende storiche, come quella delle reducciones gesuitiche del XVII-XVIII secolo, sulla base dei limiti e delle contraddizioni che, come tutte le esperienze umane, esse hanno patito. L’inaccettabilità di questi tentativi, poi, va affermata in modo particolare quando certi giudizi sono espressi per criticare l’attuale pontificato utilizzando un metodo definibile “causalistico”, per il quale il “populismo gesuitico” dei secoli passati spiegherebbe il “populismo terzomondistico” di Papa Bergoglio ed anche le sue simpatie castriste e peroniste.
Nel sito Linkiesta Maurizio Stefanini in un articolo del 14 luglio scorso ha recensito il libro dello storico Loris Zanatta “Il populismo gesuita – Perón, Fidel, Bergoglio” (Laterza, 2020) la cui tesi è quella per la quale un filo rosso – anche in senso politico – attraversa la storia del continente latinoamericano. Si tratta, secondo Zanatta, dell’“utopia cristiana del Regno di Dio sulla terra” ovvero una teologia politica che con Papa Francesco è arrivata fino al soglio di Pietro.
Qui la recensione https://www.linkiesta.it/2020/07/populismo-sudamercia-america-latina-fidel-castro-peron-hugo-chavez-bergoglio-papa-francesco/
Zanatta è professore di storia dell’America Latina all’Università di Bologna ed è quindi uno dei massimi esperti del mondo culturale latinoamericano. C’è senza dubbio del vero in alcune delle sue argomentazioni. Ad iniziare da quella per la quale Fidel Castro non è stato un comunista in senso stretto e che ha piuttosto scippato l’etichetta ai comunisti storici cubani. Zanatta è nel vero anche quando ricorda che nel “giustizialismo” peronista riecheggiava il “bolivarismo” ottocentesco unito al socialismo nazionale, ossia al fascismo, del novecento e che tale populismo è di recente riemerso nel “socialismo del XXI secolo” di Chavez. Alcuni, per inquadrare questi movimenti politici sudamericani, hanno parlato di “comunismo di destra”. Alla fine, però, Zanatta, al di là delle pur sussistenti differenze, ritiene che tutti questi movimenti hanno una radice comune nell’idea di costruire una società “organica e collettivista” come – ecco l’assunto! – quella che avevano realizzato i Gesuiti nelle “Missioni del Paraguay” tra XVII e XVIII secolo.
Anche lo scrivente ha avuto modo di sottolineare sia la contiguità tra l’educazione gesuitica di Fidel Castro ed il suo populismo, che inizialmente non era marxista ed anzi era vicino al falangismo di José Antonio Primo de Rivera, sia le simpatie tra lo stesso Castro e Juan Domingo Perón come anche i giovanili trascorsi peronisti di Bergoglio. Qui l’intervento in questione https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-224-2/ . Tuttavia, nella tesi di Zanatta emerge evidente anche un sottofondo di pregiudizio tipicamente liberale verso le implicazioni comunitarie del Cattolicesimo. Quello tradizionale, non quello modernista.
Va innanzitutto rilevato che Zanatta confonde – ed è un tipico vizio liberale – l’organicismo con il collettivismo, che invece sono, anche sotto il profilo storico e sociologico, due cose assolutamente diverse. L’organicismo ha un fondamento personalistico ed in tal senso si concilia perfettamente con il Cristianesimo per il quale non si dà alcun “individuo astratto” ma soltanto la “persona relata” ovvero la persona dotata, certo, di una anima spirituale singola ma per natura, e non per contratto, sociale ossia creata da Dio allo scopo di vivere in relazione comunitaria con il prossimo. Il collettivismo invece ha per fondamento il concetto irrealistico di “individuo”, del quale vuole essere soltanto una estensione spaziale, dato che la collettività è formata da individui monadi, ossia chiusi in sé senza legami di appartenenza comunitaria. I soli legami tra gli individui che compongono una collettività sono quelli contrattualistici e utilitaristici che, per l’appunto, non sono organici ma meccanici e reticolari. La collettività è l’organizzazione meccanica, e non organica, degli individui isolati che interagiscono esclusivamente per le necessarie utilità vitali. In quanto fondamento del collettivismo, l’individualismo moderno è stata la matrice del totalitarismo.
L’organicismo, secondo la tesi liberale, equivale al collettivismo in quanto entrambi auspicano un “idilliaco” mondo armonico ed a-conflittuale e misconoscono il carattere “concorrenziale” dell’esistenza umana. Per questo organicismo e collettivismo non possono che sfociare nell’autoritarismo se non addirittura nel totalitarismo. Per giustificare una tale tesi viene tirato in ballo il corporativismo quale piattaforma ideale di ogni populismo compreso quello sudamericano dei Perón e dei Castro. Una piattaforma alla quale, viene affermato, si richiama, per assimilazione culturale, Papa Bergoglio. Il corporativismo ha, però, per Zanatta, il difetto di annullare l’individuo all’interno dei corpi sociali id appartenenza.
L’erronea esegesi liberale che sembra muovere l’analisi di Zanatta fa capolino anche in questo approccio al corporativismo. Quest’ultimo – nella forma tradizionale che non corrisponde affatto alla versione hegeliana, quindi liberal-idealistica e moderna, elaborata dal fascismo – ha costituito la dimensione sociale naturale di tutte le civiltà antiche, almeno fino all’irrompere dell’individualismo, antitradizionale, dell’unica civiltà senza basi spirituali e metafisiche apparsa nella storia umana ovvero l’Occidente liberale moderno.
Nessuno vuole affermare che il mondo tradizionale fosse un paradiso in terra e nessuno nega che il comunitarismo tradizionale avesse aspetti di costrizione sociale non indifferenti ma, tuttavia, non è possibile sostenere che il corporativismo premoderno annullasse la persona liquefacendola nella sua appartenenza sociale. E’ vero invece il contrario: la persona era valorizzata proprio dalla sua appartenenza, dato che era questa a definirla. La Rivelazione cristiana ha apportato, verissimo, una valorizzazione della persona anche quale soggetto cosciente ma non ha affatto “estromesso” il soggetto dal suo contesto comunitario. Coloro che affermano questo, siano essi liberali o neopagani, dicono una cosa teologicamente falsa e storicamente non suffragata da riscontri “sperimentali”.
Pertanto che in movimenti politici come il peronismo ed il castrismo potesse agire anche una eredità di tipo organicista è vero ma andrebbe anche esaminato quanto questa eredità tradizionale sia stata “contaminata” da inevitabili apporti moderni e quindi tendenzialmente totalitari. Imputare, come fa Zanatta, alle esperienze di evangelizzazione degli indiani messe in campo dai gesuiti sei-settecenteschi la radice di questa tendenza totalitaria, è soltanto l’esibizione di un ragionar da liberale laicista che esalta la “conquista” moderna dell’individualismo. Affermare che l’organizzazione sociale “collettivista” delle reducciones gesuitiche sarebbe stata il modello dei successivi totalitarismi, da quello peronista a quello castrista fino a quello di Evo Morales, che tanto piacciono a Papa Bergoglio intriso di cultura “populista” sudamericana, vera anima della “teologia della liberazione”, è non solo azzardato ma anche insostenibile se non addirittura anacronistico.
L’apparenza di storicità, e quindi di “scientifica neutralità”, della tesi nasconde in realtà soltanto un aggiornamento della datata critica che già Voltaire rivolse ai gesuiti ed alle loro reducciones. Una critica, appunto, illuminista che guardava all’esperimento di evangelizzazione degli indios come all’oscurantista e clericale tentativo di realizzare la campanelliana “città del sole” ossia l’utopia di un paradiso in terra, di un mondo armonico in una organizzazione sociale perfetta. Utopia “cristiana” che sarebbe stata l’antefatto di tutte le utopie totalitarie seguenti, dal marxismo al fascismo. Utopie che, oggi, sarebbero tornate nel populismo, in particolare in quello terzomondista che è la bandiera del pontificato di Papa Bergoglio.
E’ un vecchio trucco quello di addossare ad un sistema religioso le responsabilità delle forme secolarizzate che nascono in aree culturali segnate dal quel sistema. Un metodo, tuttavia, non accettabile nella misura in cui sorvola allegramente tra il piano spirituale e quello sociale. Se è vero che tra i due piani c’è sempre corrispondenza, non è però vero che sia autentica l’apparente corrispondenza tra il piano spirituale e le forme ideologiche che sul piano sociale si impongono a scimmiottare lo Spirito, anziché limitarsi ad imperfettamente dare ad Esso concretezza.
Senza dubbio tra il Cattolicesimo e le sue forme comunitarie organiche premoderne c’era una autentica corrispondenza, benché, causa deficit ontologico dal quale è debilitata la natura umana post-adamica, non vi fosse affatto un idilliaco armonismo ed il conflitto regnasse comunque all’interno di dette forme senza tuttavia farle deflagrare. Non è dato, però, di poter affermare che una corrispondenza del genere sia riscontrabile anche tra il Cattolicesimo e le forme ideologiche moderne che tentano di imitare il suo organicismo prescindendo dalla base metafisica e spirituale ad esso organicismo sottesa come pilastro portante e senza del quale tutto crolla.
Non è accettabile, in altri termini, affermare che castrismo e peronismo siano sic et simpliciter dei derivati del Cattolicesimo senza tener conto del processo di secolarizzazione che è processo di mistificazione più che di consequenziale realizzazione. Per non dire poi del peso che ebbero nel peronismo, che pur era un movimento anticapitalista ed antiamericano, certe correnti massoniche di derivazione boliveriana, che ritroviamo anche nel chauvismo, come del resto lo stesso Zanatta riconosce.
A proposito di massoni – se i gesuiti non sognavano affatto la “città del sole” di Campanella, quanto piuttosto si ispiravano al Vangelo nel suo tradizionale “integralismo” (quasi, si potrebbe dire, francescanamente “sine glossa” ma non senza Tradizione e non senza Magistero) allo scopo di realizzare una organizzazione sociale con finalità però di evangelizzazione e non immediatamente politiche, nonostante che intorno alle reducciones, dalla federazione delle varie missioni, fosse nato un cosiddetto “Stato gesuita del Paraguay” – ci sembra invece che la tesi di Zanatta finisca per portare giustificazioni alla politica del marchese Pombal, massone e ministro del re del Portogallo, le cui mire sugli indios, per avere manodopera a basso costo se non sostanzialmente schiavistica, erano messe in discussione dai padri gesuiti delle reducciones. Come è noto l’esperienza gesuitica latinoamericana, sostenuta inizialmente dai sovrani ancora cattolici, in particolare da quelli spagnoli, e dai Papi, fu nel XVIII secolo smantellata da Roma per le pressioni dei sovrani europei “illuminati”, ormai succubi della “setta dei fratelli”, che minacciavano persino uno scisma laddove il Papa non avesse posto fine allo “scandalo” delle reducciones ed anzi non avesse soppresso la Compagnia di Gesù, come accadde per un certo periodo, colpevole agli occhi dei massoni, insidiatisi nelle corti al posto degli stessi gesuiti, di aver fermato, a suo tempo, la “rivoluzione protestante”, riconquistando mezz’Europa alla fede cattolica.
Indugiare sui limiti dell’esperienza gesuitica delle reducciones, come quello di non aver mai formato un clero indigeno imputando questo deficit non alla mentalità dell’epoca quanto ad un presunto elitarismo gesuitico e cattolico per il quale il popolo è bue e deve essere sempre guidato dai sapienti (come non vedere in questa “bufala” la triste lezione di quel cattivo maestro che fu Karl Popper su Platone quale padre di tutti i successivi nemici della “società aperta”?!), è soltanto un espediente polemico di marca liberal-laicista. Un film come “Mission”, nonostante le licenze storiche sottolineate da Zanatta, o dal suo recensore, resta una ricostruzione largamente fedele dello scontro che vide contrapposti i gesuiti, a difesa degli indios, ed i ministri massoni dei “cristianissimi” sovrani europei interessati allo sfruttamento della manodopera indiana latinoamericana. Una difesa dei diritti indiani, quella dei gesuiti, che se non ha nulla a che vedere con utopie, coeve o successive, impone ai cattolici di oggi alcune importanti riflessioni.
Una coscienza autenticamente cristiana non può certo essere disattenta verso la trappola della mimetizzazione operata dalle forme ideologiche che pretendono di imitare la fede cristiana senza alcun riferimento alla Trascendenza, tutto riducendo ad un umanitarismo orizzontale. Il socialismo, però, non è affatto l’unica ideologia con tali pretese, come erroneamente credono i cattolici conservatori o liberali. Anche il mercatismo è una di quelle ideologie mistificanti che si appropriano, strumentalmente e retoricamente, del personalismo cristiano per ridurlo ad individualismo anti-organicista. Orbene, se in linea di principio deve ripugnare alla coscienza cristiana qualsiasi compromesso con l’una o l’altra di dette forme ideologiche, c’è tuttavia da chiedersi, sulla premessa di una posizione tradizionalista, quindi organicista – comunitaria e corporativista – ovvero anti-individualista, se nella prassi sia più sostenibile, senza venir meno all’impossibilità di principio, un apprezzamento cristiano per politiche socialiste o per politiche liberiste. Lo scrivente ritiene cristianamente che politiche di tipo liberista siano assolutamente inaccettabili laddove, fermo rimanendo il primato della Trascendenza, ovvero la priorità dello Spirito, invece politiche di attenzione sociale, senza scadere in utopismi o collettivismi o socialismi totalizzanti, siano suscettibili di accoglienza non solo pratica ma anche dottrinaria.
Ed allora perché – si potrebbero chiedere alcuni – muovere critiche a Papa Bergoglio? Il problema nel caso del regnante Pontefice non sta nelle sue aperture sociali quanto, invece, proprio nella tendenza a disancorare quell’apertura dal suo fondamento spirituale, confondendo la Carità con un atteggiamento vagamente umanistico secondo un approccio esclusivamente sociologico che sfocia nell’indifferenza tra l’irriducibilità dello specifico cristiano, che viene dalla Rivelazione, ed un atteggiamento genericamente umanitario e terzomondista.
Se, dunque, nonostante ogni loro umano limite, ai gesuiti sei-settecenteschi non si può imputare alcuna “utopizzazione” del Cattolicesimo, resta invece da vedere quanto essa possa essere imputata all’attuale Pontefice, che senza dubbio ha assimilato l’eco sudamericano di quelle vicende. Ma anche qui il giudizio non può essere semplicisticamente affrettato restando in superfice, per quanto lo scrivente è il primo a riconoscere che in Papa Bergoglio emerge una forte, e preoccupante, tendenza a mondanizzare il Vangelo. Una tendenza che, però, non si rivela affatto, come vogliono i suoi critici conservatori, nel suo evidenziare gli aspetti sociali del Cristianesimo, quindi anche la critica verso il capitalismo liberista (come da Dottrina Sociale Cattolica, non certo inventata oggi perché antica quanto il Cristianesimo stesso!), ma nel suo perdere sovente di vista il Fondamento Spirituale e Metafisico della Fede Cristiana e, quindi, delle sue derivate sul piano sociale.
Un abbaglio, questo, del quale i gesuiti del XVII e del XVIII secolo non erano affatto vittime.
Luigi Copertino