La ripugnante parata di regime nota come “festival di Sanremo” è stata inaugurata dal monologo tenuto dal giullare prediletto da lor signori, quel Roberto Benigni la cui devozione al Potere è attestata da innumerevoli prestazioni, grazie alle quali si è riempito la biografia e il portafogli: è oggetto addirittura di segreto di Stato il cachet percepito da questo pagliaccio che non fa ridere per “omaggiare la Costituzione” e con essa il presidente della repubblica, che per la prima volta nella storia ha presenziato alla kermesse canora. Benigni avrebbe potuto limitarsi a recitare la solita stantia litania ed a godersi le solite ovazioni obbligatorie, ma ha voluto strafare, e nel passare la sua lingua a gettone sulle terga di Sergio Mattarella ha messo in mezzo pure il di lui genitore, descritto come un padre della patria.
In realtà, Bernardo Mattarella, boiardo democristiano di Castellammare del Golfo, nel trapanese, incarna meglio di chiunque altro, pure del’assai più reclamizzato Andreotti (che operava a ben altro livello) la figura di politico colluso con la Mafia. I tribunali, che com’è risaputo sono controllati dagli amici degli amici (e a chi non è amico gli si fa fare il botto), hanno sempre assolto papà mattarello dalle accuse che gli sono piovute addosso, fra le quali quella di essere uno dei mandanti della strage di Portella della Ginestra del 1947, ma la Storia, che andrà avanti anche quando le mummie saranno chiuse nei sarcofaghi, non lo assolverà mai. Di Bernardo Mattarella si occupa tutta la storiografia sul fenomeno mafioso nel secondo dopoguerra, nell’ambito della quale il suo nome viene fatto così tante volte che è difficile ipotizzare un Grande Complotto ai suoi danni.
Rampante avvocato della destra democristiana, Bernardo Mattarella viene cooptato dagli americani alla viglia dello sbarco in Sicilia del 1943, nel quadro di quell’intesa con le cosche mafiose (e coi loro politici di fiducia) che era funzionale alle operazioni di guerra e che sarebbe stata tenuta in piedi, in chiave anticomunista, per tutti gli anni della Prima Repubblica. Eletto prima all’Assemblea Costituente e poi, per cinque legislature, alla Camera dei deputati, sempre con migliaia di preferenze ottenute nella zona a più alta concentrazione mafiosa della Sicilia, Mattarella padre si spese per gli amici degli amici in tutte le cariche di governo e sottogoverno che si trovò a rivestire: celebre è l’episodio in cui, da sottosegretario ai trasporti, si adoperò affinché Vito Ciancimino, il supermafioso che sarebbe poi diventato sindaco di Palermo e protagonista della più selvaggia stagione di speculazione edilizia, ottenesse un appalto presso le ferrovie che fu all’origine delle sue fortune imprenditoriali.
Dopo la sua dipartita, avvenuta nel ’71 mentre era deputato eletto con 70000 preferenze nella circoscrizione di Palermo-Trapani-Agrigento-Caltanissetta, il testimone di Bernardo Mattarella fu preso dal figlio Piersanti, che decise di cambiare strategia proprio negli anni in cui suo padre veniva esplicitamente associato a Cosa Nostra dalle denunce di Danilo Dolci, uno dei pionieri del movimento antimafia. Piersanti, infatti, pur essendo stato eletto alla regione coi voti “sporchi” dell’illustre genitore (voti che si tenne stretto in tutta la sua carriera politica), ebbe buon gioco a vendersi come uno “pulito” che denunciava le malefatte dei colleghi collusi; questa svolta, assieme all’avvicinamento alla corrente di Aldo Moro, lo condusse sullo scranno di presidente della giunta regionale siciliana, carica nella quale ebbe modo di farsi molti nemici, fino ad essere ucciso, il 6 gennaio 1980, in un attentato che è stato sempre attribuito alla Mafia ma intorno al quale si è consumata una lunga stagione di depistaggi (la stessa vedova riconobbe come attentatore il terrorista neofascista Giusva Fioravanti, lo stesso della strage alla stazione di Bologna). Fu quindi all’indomani della morte di Piersanti che si fece largo sulla scena il più defilato Sergio, che prima di diventare capo dello stato e garante del servaggio dell’Italia agli Stati Uniti, all’Unione Europea ed allo stato d’Israele si era fatto le ossa, oltre che in mille altri incarichi politici e sottopolitici, nella posizione di ministro della difesa mentre la NATO bombardava la Serbia utilizzando il nostro paese come portaerei. La beatificazione di Sergio Mattarella, cominciata il giorno dopo la sua elezione al Quirinale sulla scia di quanto era già accaduto col suo predecessore Napolitano, oggi si estende addirittura al padre, che definire figura controversa, alla luce di quel che s’è scritto, appare quantomeno eufemistico. E allora, vai con l’ovazione a testate unificate: le microbiografie di papà mattarello che sono uscite sui fogli del regime (“Chi era Bernardo Mattarella”) lo hanno dipinto come un integerrimo antifascista e servitore delle istituzioni. Un po’ come suo figlio. Chissà le risate che s’è fatto Matteo Messina Denaro.