Dopo il Brexit, il contributo degli altri paesi membri al bilancio UE dovrà aumentare, per riempire il buco lasciato dai britannici che se ne vanno. L’incredibile Angela Merkel ha detto che la Germania – la quale ha per misteriosi motivi uno sconto sulla sua quota – ha chiesto di mantenere lo sconto, perché già Berlino (come maggiore contributore) “deve sopportare un onere eccessivo” causa Brexit.
Anzi la Germania vuole ridiscutere “una equa ripartizione degli oneri sul piano finanziario” oltre “uno sconto per la Germania”. Insomma devono pagare più Italia, Spagna, Portogallo, Grecia – e soprattutto Polonia e Ungheria, come vedremo – e meno i nordici.
Ne ha parlato al Bundestag, in preparazione del vertice europeo che tratterà il prossimo bilancio (Quadro Finanziario Pluriennale, QFP, per 7 anni dal 2021) della UE.
https://www.ft.com/content/8b6d137a-f0b6-11e9-ad1e-4367d8281195?sharetype=blocked
La Germania già gode di uno sconto su quel che dovrebbe pagare. Di uno sconto simile godono anche Austria e Paesi Bassi,ossia i grandi contributori netti. Come e perché questi paesi ricchi, e favoritissimi dall’euro (per loro svalutato), abbiano strappato uno sconto sui loro contributi al paradiso che è la UE, il vostro cronista confessa di non aver saputo mai. Adesso ne ha avuto la spiegazione dal Financial Times: la faccenda risale a 35 anni fa, quando Margareth Thatcher, protestando per gli eccessivi sussidi all’agricoltura europea cui Londra doveva contribuire, senza corrispettivo beneficio per i propri agricoltori, ottenne uno sconto (rebate) sulla quota britannica di contribuzione alla UE. Adesso il vostro cronista scopre che, allora, la Germania disse: “Anche a noi lo sconto”!”, e lo stesso dissero Paesi Bassi ed Austria, Svezia e Danimarca – e lo sconto ottennero, e ne godono tutt’ora.
Si chiamano “meccanismi compensatori” nella lingua di legno orwelliana di Bruxelles, e ne godono solo i più ricchi, con la scusa che loro sono contributori netti. L’Italia – attraverso i suoi governanti di allora – benché contributore netto, non disse niente e quindi paga in pieno.
Il punto è che adesso la Commissione UE, approfittando anche del Brexit che richiede un rimaneggiamento delle finanze (pseudo)federali, vorrebbero ridurre e lentamente abolire questi sconti ai ricchi. E vorrebbe anche aumentare il prelievo – attualmente pari all’1% del reddito nazionale lordo complessivo dei paesi UE – all’1,1%.
Ripeto: dall’1% allo 1,1%.
Germania, Olanda e Austria immediatamente hanno fatto muro: no, solo l’1% ! “Già l’1% comporta un chiaro aumento della contribuzione per la Germania”, data “l’imminente uscita della Gran Bretagna”, ha opposto la Cancelliera. Quanto? La previsione è di 30 miliardi in 7 anni per la Germania, da qui al 2027. L’anno scorso al Germania ha pagato 13,5 miliardi (contributo netto); i contabili tedeschi sostengono che dovrebbero pagare 10 miliardi in più, sempre in sette anni.
Impossibile! Berlino non ce la fa! “A causa di questo aumento e dell’imminente uscita della Gran Bretagna dall’UE, la Germania sarà eccessivamente gravata quando si tratterà del QFP”, ha affermato la Cancelliera. “Per questa ragione dobbiamo parlare di un’equa ripartizione degli oneri sul piano finanziario e di uno sconto per la Germania”.
L’olandese Mark Rutte le ha dato manforte: questi sconti mettono un tetto a quel che pagano i contributori netti, quindi “mantengono equo il sistema europeo”. Sic.
E siccome paesi ricevitori netti dei contributi UE come Polonia, Ungheria e paesi baltici, protestano che quegli sconti ai ricchi contributori netti vanno eliminati, la Merkel ha risposto che lei sosterrà il principio di collegare strettamente l’erogazione dei fondi UE al rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri, questione a cui Berlino darà “la massima priorità”: una minaccia diretta a Polonia e Ungheria. Insomma si intuisce che nella “più equa ripartizione degli oneri” futuri, Berlino intende far pagare l’aggravio delle quote dopo il Brexit a Varsavia e Budapest, perché sono governate da “illiberali”, sotto forma di taglio agli aiuti che ricevono dalla UE.
E ovviamente Italia, Spagna, Portogallo pagheranno tutto. Berlino vuole mantenere il suo sconto, e loro non obiettano: sono governati da europeisti, mica da sovranisti.
Questa malavoglia e tirchieria tedesca lascia esterrefatti gli osservatori più sensati.
“Preparatevi: dopo la Brexit, la Germania si prepara a chiedere uno sconto sul suo contributo alle UE”, trasecola Munchau.
“Se la Germania non vuole contribuire, in realtà vuole la spaccatura della UE?”, si domanda l’economista di Cambridge Kenneth Jeyaretnam. Perché questo avverrà dopo la Brexit; la Germania non è disposta a pagare alcun prezzo; ma le conviene? “nonostante i chiari benefici di cui la Germania gode dall’euro sottovalutato?”
“La Germania non vuole versare il suo contributo al bilancio UE perché “troppo gravata dalla Brexit.” Se la Germania non vuole mettere la sua parte perché l’Italia allora dovrebbe mettere la sua, visto che è il Paese più vessato in assoluto dall’UE?”, domanda il giornalista Cesare Sacchetti (https://twitter.com/MPWI_en)
Infatti. Questo atteggiamento tedesco di evidente mancanza di impegno nel “far avanzare l’integrazione europea” avrebbe senso se la Germania volesse uscire dalla UE. Liberando tutti dal suo peso malmostoso, dalla sua avarizia e malavoglia. Se la UE non le interessa, lo dica.
Ma invece no. Ordina, comanda, s’ingerisce, s’impiccia degli altri stati e dei loro conti e riforme, dice loro che devono fare i compiti a casa, insomma esercita la sua “egemonia” per diritto e per traverso; mette tutti i suoi uomini (e donne) in tutte le posizioni-chiave della UE che può occupare.
Per esempio, appena prima l’imperiosa richiesta di avere lo sconto post-Brexit, la Merkel ha coalizzato l’intera UE contro Macron, che si era reso colpevole di essersi opposto all’allargamento della UE ad Albania e Macedonia del Nord, con la motivazione (giustissima) che bisogna riformare l’intero processo delle nuove adesioni alla UE, dopo avere imbarcato dozzine di staterelli in pochi anni, essenzialmente in funzione anti-russa, con evidenti effetti di squilibrio fra i fondatori e i neo-arrivati, e aggravi finanziari perché i nuovi arrivati sono percettori netti dei contributi (naturalmente il nostro Conte s’è immediatamente schierato con la Merkel contro Macron…)
Quindi, Berlino ci tiene alla UE, visto che la coalizza contro “il grande alleato” francese per farci entrare l’Albania.
Quattro giorni prima, il 14 ottobre, Berlino ha silurato il tentativo della Banca Europea degli Investimenti (BEI) di eliminare i sussidi ai combustibili fossili, in nome della neo-economia “verde”: siccome la Germania va a lignite, e petrolio e gas russo, allora impone la sua volontà agli altri stati membri. Dunque, la UE le interessa, in questo.
Decision on a fossil fuels ban at the EIB postponed once more
Poche ore dopo, la Merkel ha imposto ai tutti noi l’adesione al 5G Huawei, sempre unilateralmente e senza discussione.
E ancor prima che la povera Christine Lagarde salga sulla scomoda poltrona della BCE, il noto Jens Weidman, capo della Bundesbank, proclama pubblicamente: “Non sono disposto ad accettare la “nuova normalità” come condizione permanente”: Intende che metterà tutto il suo peso a contrastare un nuovo “quantitative easing”.
https://twitter.com/SabriB_B/status/1185134550671937537
Senza fare però alcuna proposta reale alla situazione assurda, disperata e insostenibile in cui anche la Germania – soprattutto la Germania – ha cacciato la moneta comune. La sola cosa che propongono, è che la BCE non compri più i titoli di Stati italiani, in modo che l’Italia vada a indebitarsi sul mercato e – fallisca; o che paghi ciò che importa dalla Germania col suo oro. Quasi non sapessero, non capissero, non volessero capire che la rovina che Weidmann ci augura, trascinerà anche loro. La vogliono o no, quest’Europa, di cui sono i soli a trarre profitto ? Se no, perché non esercitano la loro egemonia in un coordinato e razionale smantellamento? No: vogliono e non vogliono allo stesso tempo. Fino al collasso che già si profila. Dando la colpa agli altri e cercando di tirare sul prezzo.
C’è qualcosa qui che supera la demenza; una sorta di “scissione di personalità” politica, una incapacità di decisione che si accompagna all’imperiosità nell’imporre i propri più corti interessi, che supera le capacità di comprensione umana.
In questo frangente, ci è segnalata l’intervista televisiva che il nostro Enrico Letta (meglio: il “loro”, l’esperto di imperatori romani stranieri) alla tv francese BFMTV: un esempio in più di sesquipedale idiozia.-
Sans l'Europe, "chacun d'entre nous devrait choisir d'être une colonie américaine ou une colonie chinoise", les Britanniques "ont choisi d'être une colonie américaine" – Enrico Letta, ancien président du Conseil italien, avec @hchevrillon
A lire ici: https://t.co/F5LOwx6uKW pic.twitter.com/LhB2eF700Z
— BFM Business (@bfmbusiness) October 17, 2019
Se si rompesse la UE, ha esalato Letta, ciascuno dei 28 paesi dovrebbe scegliere fra diventare una colonia americana o una colonia cinese; i britannici, uscendo dal paradiso europeo, “hanno scelto di essere una colonia americana”.
Come se oggi noi non fossimo una colonia tedesca, nelle peggiori condizioni di oppressione – ed anche di sottosviluppo. Quando Letta aggiunge: “Solo un’Europa unita può imporsi come terza potenza mondiale”, naturalmente non vede la realtà: se prima si poteva dire dell’Europa che era “un gigante economico e un nano politico”, due decenni di governo austeritario tedesco l’hanno resa anche un nano economico rispetto alla Cina ed agli USA, rimpicciolita e in ritardo tecnologico, impoverita di competenze e di ingegni.