PERCHE’ E’ MORTALE LA GERMANIA NELLA UE (Spiegato con Kant)

Perché l’egemonia tedesca sulla UE è dannosa?  Perché è  autisticamente capace di infliggere sofferenze per esempio ai greci, ed incolpa  “i  meridionali”  – perché non hanno fatto le riforme e  vivono sopra i propri mezzi  –  del fatto che sotto l’euro deperiscono e persino si estinguono?

Il motivo primario  è in una differenza fondamentale nell’atteggiamento verso il reale. E quindi una diversa e inconciliabile struttura della psiche e antropologica.

“Questa è una mela. Chi non è d’accordo  può andarsene”, con cui secondo una  leggenda metropolitana  Tommaso avrebbe iniziato le sue lezioni alla Sorbona, è  assolutamente  falsa. Tommaso non avrebbe mai potuto immaginare che 400  anni dopo sarebbe nato lo studente che se ne sarebbe andato protestando.

Il suo nome è Immanuel Kant. “Voi meridionali fate presto a dire  “mela”. Quella che io vedo io è che questa cosa che voi chiamate mela, non sta nello spazio né nel tempo: è il mio intelletto pensante che situa questo oggetto nello spazio e nel tempo, grazie ai principi innati che ha in sé;  per esempio, che confronta questa cosiddetta “mela” con le mele che ha  visto  in passato, che è capace di contarle, di  confrontare le dimensioni e il colore, eccetera.  Insomma: tutto ciò che voi credete “realtà esterna”,  è qualcosa che io vedo solo grazie al mio io pensante  ed autocosciente, ossia “dentro” il mio spirito”.

Insomma, per Kant “la  realtà esterna, estranea all’io,  gli suona come un’eco equivoca o come una risonanza vaga all’interno della  cavità  della propria coscienza”, il che significa fra l’altro che ciò  che questo soggetto, “trova nel mondo e  con  maggior evidenza, è se stesso”.

Sto citando Ortega y  Gasset  che ha studiato  filosofia  in Germania e quindi: “Ho vissuto per dieci anni dentro il pensiero kantiano,  è stato mia casa e mia prigione”, mantenendosi uno spagnolo di genio, ne è evaso.

Due anime inconciliabili

Lui può giudicare l’uno e l’altro  modo di essere : “l’anima tedesca e l’anima meridionale partono da due impressioni primigenie radicalmente opposte. Quando  il tedesco si desta alla chiarezza intellettuale, si trova solo nel mondo; la sola cosa che per lui esiste con ogni evidenza è il proprio IO; intorno ad esso percepisce al massimo un sordo rumore cosmico”.

Il contrario del meridionale: egli “si desta in una pubblica piazza;  la sua impressione  primaria ha carattere sociale.  Prima di percepire il suo io gli sono presenti  – e con  maggior evidenza – il tu  e i “loro”, gli altri uomini, e l’albero, il mare, le stelle ”,  e  la mela. In questo, il meridionale è molto più  vicino  al modo antico di essere: “Platone e Aristotile ignoravano l’Io”  come “autocoscienza”  , “per il romano o il greco, la solitudine, l’isolamento, era il massimo delle  pene”.

Non  è affatto che questa condizione primaria sia “meglio” di quella tedesca. “Sarà  vano cercare nello  spagnolo [italiano] coesione o solidarietà intima”  perché trascorre la vita fatta tutta di momenti  discontinui”….”La mancanza di solidarietà nazionale del nostro popolo non è che la proiezione sul piano storico della mancanza di solidarietà dell’individuo con se  stesso… L’io italiano  è plurale,  è un insieme di riflessi”.

Già  questo ci mette nelle condizioni d’inferiorità in una ”unione” in confronto al  tedesco, la cui anima “è sobriamente elastica e solidale – Ortega: “Il tedesco vive centralizzato”  – ma  soprattutto non vive realmente nel “mondo esterno”   ma nella costruzione di esso che ne ha fatto il suo “Io Pensante”:  la  sua ferrea solidarietà nazionale riflette la sua centralizzazione interiore, che è  un motivo del suo essere “tardigrado”. Di fronte ad  una eccitazione “il tedesco risponde tardi, e molte eccitazioni nemmeno le percepisce” – per  esempio che in Grecia la sua imposta austerità fa morire centinaia di bambini per mancanza di cure , o le rumore e proteste di piazza della popolazione francese: su questo, non ha nulla  da dire, fanno parte di quel mondo esterno che lui percepisce come caotico, perché non organizzato dal suo ”Io pensante” e le sue innate  capacità di organizzazione senza cui il reale nemmeno esiste, se  non come residuale, moralmente equivoca e disonesta. Persino illegale.

Perché  – ed è qui che Ortega rivela l’inconfessabile dell’anima tedesca: “il momento in cui  si trova solo faccia a faccia con il mondo, gli produce  terrore”.

“Lo spirito di Kant si agita con un vago terrore di fronte all’immediato,  di fronte a  tutto ciò che è semplice a chiara presenza, dinanzi al  “essere in sé”, ossia ciò che c’è  al di là del pensiero.  Kant  e lo spirito tedesco soffrono di “Ontofobia”:  avversione all’essere;   e tutta la filosofia di Kant  punta a negare che lo “essere in sé”  – fuori dalla coscienza che  lo pensa – esista  davvero.  Se già  dubita che esista   la mela, figuratevi Dio, la “realtà in sé” per eccellenza.

Questo ha effetti totalitari, nel campo morale. Quando  sancisce, “il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”,  egli fonda tutto il moralismo contemporaneo, dallo stato con pretese etiche in poi, compreso quello dei grillini (“Onestà!”)  e quello delle sardine (contro  l’odio).

Perché Kant  non è un immoralista alla  Mandeville:  poiché Dio non c’è,  godiamocela.  No, in lui l’agire morale assume  “un carattere tragico e terribile”, proprio perché  lassù non c’è che il cielo stellato. “L’etica di Kant si carica dell’emozione religiosa vuota di una filosofia senza teologia”.

Platone e Tommaso d’Aquino,i greci e i medievali, l’uomo meridionale, non hanno la stessa idea totale e assoluta della morale;  mai  l’avrebbero chiamata, come Kant , Imperativo Categorico.

Mancando dell’essere, la metafisica di Kant culmina nel’etica:  da una filosofia dell’essere a quella del “dover essere”.

Mentre per Platone e l’Aquinate (e noi) la  conoscenza è contemplazione del reale (adequatio rei  et intellectus),  passiva adesione della mente alle cose reali, per  Kant la conoscenza “si  converte in una costruzione”:  per lui  la realtà “è semplice materiale caotico e senza senso” che l’Io autocosciente “deve scolpire come corpo dell’universo”.

E’ a questo punto che il (supposto) inoffensivo filosofo di Kaliningrad “getta  la maschera e annuncia la dittatura”! Da contemplativa come è per noi, la ragione diventa “legislatrice della natura.  Sapere non è vedere, ma comandare. Conoscere è decretare .  L’attitudine dell’intelletto passa da umile a comminatoria”.

“La vita che era classicamente un accomodamento del soggetto all’universo, diventa riforma dell’universo,  volontari sta e dinamica”.

Ortega y Gasset scrisse queste  righe nel 1924, in un articolo per  il bi-centenario della nascita di Immanuel, nato nel 1724. Certo non poteva nemmeno immaginare  che stava descrivendo l’Europa  – la  sua amata Europa –  lasciata in mano ai tedeschi, sarebbe diventata quella che ci opprime: “Fate le riforme!”   “il debito pubblico da ridurre!”, “vivete sopra i vostri mezzi!”.   “Portate   il vostro debito al  60%  del Pil, solo così noi accetteremo di condividere i vostri rischio  di  insolvenza”…

“Imperativo  Kategorico”

Il tono comminatorio e di decreto nasce, ovviamente dalla profonda “eticità”, dalla sicurezza di obbedire all’Imperativo Categorico, a cui devono per forza obbedire anche gli altri.

Il sintomo lancinante, comico e  tragico, di questa “eticità” è lo “Schwarze Null”,  ossia la volontà del governo, della Cancelliera come di Schauble  , del banchiere centrale Weidmann e sicuramente dell’opinione pubblica  in massa, di non fare nemmeno un euro di debito pubblico.

Nel 2009, Peer Steinbrueck, il ministro delle finanze di allora, inserì  l’obbligo di pareggio di bilancio in costituzione.

Adesso tutti gli economisti internazionali implorano  Berlino:  nella fase recessiva che  s’è  instaurata, voi che avete surplus, cominciate da indebitarvi, prima che sia tardi; emettete Bund per finanziare a debito le infrastrutture che stanno invecchiando; tanto più che adesso  potete farlo a interesse zero o addirittura sotto-zero: quando mai s’è vista  una così evidentemente consigliabile opportunità?

Lo dicono gli economisti. Glielo ripetono i banchieri centrali, a cominciare dalla Lagarde. Lo consiglia la teoria economica, sia “di mercato” sia keynesiana…invano.

Kantiani senza saperlo?  O forse  sì.

E’ evidente che  Berlino aderisce autisticamente allo Schwarze Null  (Zero Nero, nemmeno un euro di “rosso”) non in nome di una qualunque  teoria economica o scientifica, ma al suo imperativo morale:  penso che agisca forte anche il dovere di “dare il buon esempio” : dopo aver  ordinato e prescritto a tutti i governi meridionali  di non  superare il deficit del 3%,  e averli messi sul  banco degli imputati e  rimproverati  per la  loro immoralità , come può  adesso Berlino mettersi a sforare e indebitarsi  essa  stessa?   “Gli altri” si sentirebbero autorizzati a fare altrettanto,  senza poterselo permettere: e addio la perfetta euro-costruzione, l’ordine  “ideale”  che sta cercando con tanta fatica di imporre  alla zona monetaria e ai suoi indisciplinati meridionali, che vivono una specie di “infra-vita”   – perché c’è  anche questo giudizio sotteso nella mente tedesca, e  dovrò parlarne in  un secondo articolo.

Perché infatti  noi periodicamente commettiamolo stesso errore, quello di state coi tedeschi?  Con questa mentalità totalmente eterogenea? Eppure, come  dice Ortega, “un uomo del Sud, dotato di  qualche olfatto, non può fare a meno di fiutare  nel magister Kant  l’odore di eterno vikingo”.

Di questo, un’altra volta.

 

Figlio del direttore del giornale El Imparcial che apparteneva alla famiglia. Dopo la laurea a Madrid andò a studiare (1905-7) in Germania alla scuola neo-kantiana

 

(Il testo d Ortega y Gasset, “Kant. Riflessioni su un centenario. 1724-1924”, si trova  nella raccolta Idee per una storia della filosofia, ed Sansoni)