“Abbiamo bisogno di una nuova politica industriale in Europa. Abbiamo bisogno che l’industria automobilistica muova più velocemente nella transizione all’ auto elettrica. Abbiamo bisogno di campioni europei nelle industrie rinnovabili. Abbiamo bisogno di campioni europei nell’economia circolare”: venendo da Frans Timmermans, Bilderberg da sempre, eminenza grigia della casa reale olandese (è stato ministro degli Esteri), potente primo vicepresidente della Kommissione Europea, la frase suddetta va intesa come una direttiva. E spiega tante cose, dalla comparsa e promozione di Greta e gli scioperi scolastici del venerdì per fare pressioni sui governi, fino all’eccezionale risultato dei Grunen in Germania.
La “transizione energetica”, la conversione dell’economia europea verso energie supposte “pulite”. Con la scusa del clima e dell’inquinamento da CO2 (che non inquina), un modo di attivare un tipo di spesa pubblica che consenta di uscire dalla deflazione ed austerità, senza però avere come effetto collaterale un vero sviluppo industriale. Non si tratta di crescita, ma di transizione appunto. E’ bello apprendere che in questi ambienti si riconosce che “il limite del 3% di deficit ostacola la transizione energetica”. Infatti i Verdi tedeschi recentemente miracolati dall’elettorato – per diventare quello che fu il SPD (socialisti) nella coalizione con il CDU – pur pronunciandosi a favore dell’austerità di bilancio (pare che nessun partito tedesco possa farne a meno) aprono alla possibilità di fare spesa pubblica “per la transizione energetica”, insomma per le infrastrutture. Sono almeno più avanti dell’asse Schauble-Weidmann, che vuole “Schwarze Null”, ossia il bilancio pubblico senza un euro solo di passivo.
I Gruenen “ordinano di spendere” per infrastrutture (non a noi)
“I Verdi mettono in questione la vacca sacra della regola del debito zero ( Schwarze Null), che è analfabetismo economico perché non fa distinzione tra spesa corrente e spesa per investimenti a lungo termine”, si rallegra l’inglese Robin Wilson, direttore di Social Europe.
Infatti, e c’è da rallegrarsi che – mentre la crisi epocale imminente richiedertà immense iniezioni di spesa pubblica – che almeno i Verdi comincino a dire che ci vorrebbe una piccola punturina. Attenzione però: i Verdi vogliono la punturina nel quadro e nell’ideologia dell’ordoliberismo.
Cosa significa? Proviamo a spiegare. Anche la Germania ha inserito nella Costituzione il limite al deficit, quale ha imposto a noi. Ha inserito il divieto legale di limitare l’aumento del debito federale allo 0,35% del PIL ogni anno . Lo ha fatto nel 2009. Allora il governo federale doveva salvare le banche dalla bancarotta con prestiti statali (ciò che è stato vietato all’Italia), per non far vedere ai suoi cittadini che era in pericolo il loro risparmio privato, le riserve pensionistiche e le pensioni aziendali . Questo salvataggio aveva fatto salire il debito nazionale a oltre l’ 80 % del prodotto interno lordo (PIL). Ammesso secondo i criteri di Maastricht al 60 %.
Con la limitazione del nuovo debito federale allo 0,35 % del PIL, il governo ha voluto fissare limiti stretti al debito indipendentemente dai fattori economici: è qui l’essenza dell’ordoliberismo e la sua autolesionistica stupidità. Risultato, una Germania ricchissima e piena di capitali dall’export (superiore a quello cinese, ricordiamolo), che però ha lasciato degradare le sue infrastrutture perché la sacra legge le vieta di spendere più dello 0,35% del Pil ogni anno – e i capitali privati tedeschi, impossibilitati ad investirsi in patria, sono andati a finanziare infrastrutture (E bolle finanziarie) fino in Turchia.
Adesso Danyal Bayaz e Anja Hajduk , i due capi ed ideologi dei Grunen, finalmente dichiarano: “Il futuro delle giovani generazioni oggi non è tanto minacciato dall’eccesso di debiti, ma da un’infrastruttura fatiscente e dalla mancanza di investimenti futuri”. Benissimo. Applausi. Ma cosa propongono? Di inserire nella legge fondamentale, ad integrazione del divieto ad investire, “una regola d’investimento”. Insomma “l’obbligo di investire”. Per legge. E ancora una volta, indipendentemente dalla realtà economica concreta. Un automatismo che sottragga ai governanti l’essenza del governare: decidere rispondendo elasticamente alla realtà. E’ ancora una volta, il più puro ordoliberismo.
Ora, è facile prevedere quel che i Verdi imporranno a livello europeo: l’ordine di investire – che non riguarderà l’Italia, perché “ha il debito pubblico troppo alto”.
Quindi per noi continuerà con le letterine minatorie. In cui “la Commissione vuole sapere come mai noi, applicando le sue regole ordoliberiste, abbiamo aumentato il debito pubblico, e se non la convinciamo, ci imporrà multe che aumentano il nostro debito pubblico” (cit.)
Ci sarebbe da ridere se non fosse da piangere .
https://www.sueddeutsche.de/wirtschaft/gruene-schuldenbremse-1.4468209
Per fortuna, il tema del “clima” e del “tagliamo le emissioni di CO2” , di motivi per ridere e divertirsi sinceramente ne dà molti. Per esempio: lo sapete che mentre Germania e Inghilterra hanno chiuso le loro antiche miniere di carbon fossile (perché il carbon fossile è brutto e cattivo e fa piangere Greta), quei due paesi lo importano dagli Stati Uniti? E in misura sempre maggiore? Colossale?
L’Europa importa più carbone di prima
La Germania ha aumentato l’import di carbone dagli Usa del 34%. La Gran Bretagna, addirittura del 255%.
E mica sono i soli. Secondo un articolo del Wall Street Journal, le importazioni della Svezia di carbone americano sono salite del 256 per cento. Ma il massimo importatore singolo del carbone statunitense risulta essere l’Olanda, che ha aumentato l’import dell’80% rispetto all’anno precedente. Con 7,5 milioni di tonnellate che arrivano al porto di Rotterdam, superiori ad ogni possibile fame di carbone del piccolo paese per gli usi interni, è evidente che l’orrendo combustibile fossile viene poi distribuito nel resto d’Europa ai suoi vogliosi consumatori.
Il motivo, non detto, è evidente: è il carbone “della libertà” . Uguale al gas di petrolio liquefatto americano, che il segretario all’Energia degli Stati Uniti, Mark W. Menezes, ha incitato gli europei a comprare invece del gas russo che arriva dentro i tubi molto più economicamente: “L’aumento della capacità di esportazione dal progetto LNG di Freeport è fondamentale per diffondere il gas della libertà in tutto il mondo offrendo agli alleati dell’America una fonte di energia pulita diversa e conveniente.
E’noto che il carbone della libertà non inquina come quello estratto nella vecchia Europa. Un altro motivo è che, col sistema del fracking, il carbone USA è meno costsoo di quello europeo. Per questo, come scrive il WSJ, riceve “Un caldo abbraccio”oltremare:
U.S. Coal Finds Warm Embrace Overseas
https://www.wsj.com/articles/SB10001424127887323644904578271830563979920
Resta il fatto che mentre noi, per non far piangere Greta e i gretini, siamo obbligati a rottamare il diesel e comprare auto elettriche (per leggi anti-inquinamento), e passare alla “transizione energetica” dettata dal Bilderberg Timmermas, in Europa si consuma più carbone di prima. Di prima, intendo, della fisima ambientalista e della pseudo-scientistica teoria dell’effetto serra. A noi viene data la colpa di respirare perché produciamo CO2, ma la UE lascia che una nuvola di particelle di carbonio e zolfo si addensi sull’Europa. Ci sono mappe che mostrano come l’aria della Francia, che sarebbe pulita perché ha le centrali atomiche, invece è inquinata dai fumi di carbone che vengono dalla Germania.
E il bello è che la UE “fa pressione sulla Polonia perché smetta di usare il carbone” – che almeno è suo, nazionale. Probabilmente il motivo c’è: avendo i polacchi scelto col voto una democrazia illiberale, il carbone nazionale non ha la qualità disintossicante e pulente di quello “della libertà”. Qui sotto un video da non far vedere a Verdi, a Greta, né ai Gretini:
Consecuencias del cierre de centrales nucleares por motivos ideológicos en Alemania, a pesar de la fuerte inversión en renovables (primas de 24.000 M€/año). La clave: manener el carbón (en España sería el gas). Vía @UNFCCC pic.twitter.com/0sgprcKIcZ
— Operador Nuclear (@OperadorNuclear) May 25, 2019
Niente diesel: serve alle navi globali
E questo è ancora nulla. Come dovreste sapere, 200 navi da trasporto producono più inquinamento di tutte le auto private del mondo. E in navigazione non ce ne sono 200. Ce ne sono migliaia, che portano petrolio, gas, carbone, merci, carichi secchi e liquidi, prodotti finiti e semilavorati, da una parte all’altra del pianeta: è la globalizzazione nel suo trionfo, che porta le cosa fabbricate dove il costo del lavoro è minore, laddove il reddito è maggiore (finché dura).
“Il settore marittimo – ammette il Financial Times – ha funzionato per decenni come un giganteso sistema di smaltimento dei rifiuti per l’industria petrolifera. Via via che le raffinerie divennero più sofisticate, producendo benzina di qualità superiore per le automobili, le componenti peggiori della raffinazione sono finiti nei motori marini”: Catrame pieno di zolfo, arsenico e pegio che bisogna pre-riscaldare, per renderlo se non liquido, almeno vichioso.
Adesso il Financial Times ci annuncia – per fortuna – che i padroni del vapore (è il caso di dirlo) sono impegnati addirittura in una “corsa per rendere pulita l’industria del trasporto navale”. No, non si tratta di ridurre i trasporti continentali, di produrre di più “in loco”, perché sarebbe tendere all’autarchia: concetto non meno tossico e produttore di effetto serra del biossido di carbonio prodotto dalle piante. No.. L’idea è di utilizzare per i giganteschi cargo e le superpetroliere, combustibile di migliore qualità, con meno zolfo del catrame che praticamente oggi bruciano nei loro motori. In altre parole: il gasolio. Quel gasolio che deve essere assolutamente espulso dalle nostre città, accompagnato dal nostro orrore, viene desinato alle migliaia di navi. Sicché non ce n’è abbastanza per le nostre vecchie auto diesel. Quello è il vero motivo per cui a noi il gasolio è stato vietato e ci hanno fatto sentire in colpa per averlo usato.