In quest’ora di tenebra è utile apprendere che Carlo primo, l’ultimo imperatore degli Asburgo, nato nel 1887 e morto in esilio nel 1922, non ha mai rinunciato ai suoi diritti di sovrano. Il giorno 12 dicembre 1918 nell’Austria sconfitta era stata proclamata al repubblica di stampo marxista; con alcune eccezioni significative di cui diremo, i popoli di cui si componeva l’impero di Francesco Giuseppe, festeggiavano la loro indipendenza e ripudiavano la monarchia in manifestazioni e plebisciti ben organizzati dalle logge. Praga e Zagabria s’erano ribellate negli ultimi giorni della disfatta e capitolazione.
A Vienna, il nuovo potere intimò a Carlo di rinunciare a tutti i diritti di sovrano, altrimenti avrebbe perso tutte le sostanze della famiglia, anche i beni privati. Carlo, allora trentunenne e già con numerosi figli bambini, rispose:
“Non sarà mai che, per amor del denaro, rinuncia quei diritti che Dio mi ha imposto come doveri”.
Il governo da quel momento lo dichiarò “escluso dalla protezione della legge ed espulso”, nell’aprile 1919, lo privò dei beni suoi propri e della sua casa, e lo esiliò. Riparò, povero e ramingo, in Svizzera con la moglie Zita e i bambini, per giunta calunniato e oltraggiato a valanga da tutti i giornali europei, con i metodi che stiamo vedendo in questi giorni mostrificare Putin.
Nel 1921, lo stesso Carlo, ha ricusato ancora: di rinunciare al trono, questa volta d’Ungheria. Andò così: esule ed abbandonato da tutti nella Svizzera tedesca, ricevette la visita di “suoi fedeli ungheresi” il 13 ottobre 1921 che lo convinsero che il popolo magiaro era pronto ad accoglierlo come sovrano. L’Ungheria apparentemente non aveva dichiarato la repubblica, ed era gestita da un “Amministratore del regno”. Carlo, solo insieme alla moglie, inerme, intraprende il viaggio verso l’Ungheria a reclamare il trono, esclusivamente perché al momento di salirvi s’era impegnato con giuramento – impegnando il suo onore – a difendere i suoi popoli e all’obbligo di difendere fede cattolica. Vicino a Budapest, viene arrestato da truppe armate mandate contro di lui dall’Amministratore; viene incarcerato e fatto subire le umiliazioni di un detenuto comune. Il 28 ottobre 1921, in condizione di carcerato, intimatogli ufficialmente di rinunciare al trono, ricusa ancora, “essendo ciò osa contraria ai suoi legittimi diritti e agli obblighi di difensore della Chiesa”.
Viene consegnato agli inglesi, che avevano voluto per lui il trattamento che riservarono al Bonaparte, e dopo la sua pretesa ungherese diventato più necessario: esiliarlo ma dall’Europa, in una isoletta atlantica.
Non racconterò il lungo viaggio per nave lungo il Danubio, poi nel Mar Nero, nel Mediterraneo e nell’Atlantico, separato dai figli, con la sola Zita, fino a Madera e alla cittadina di Funchal dove morirà. Né mi dilungo sul fatto che per la povertà estrema dovette abitare sul Monte, nell’umido inverno atlantico, in una villa cedutagli da un maggiorente locale, che era concepita come luogo di vacanza estiva e dunque era priva di riscaldamento, e fu la causa della sua malattia mortale.
Mi preme arrivare al punto: come in quel luogo, dopo giorni di concentrazione e lotta, disse alla moglie imperatrice Zita – ammutolita per lo sgomento – che “Dio voleva da lui il sacrificio della vita per la salvezza dei suoi popoli”, e perché tornassero uniti, e “lo farò”.
Da quel momento la malattia che contrasse a marzo, una polmonite doppia, divenne un calvario inenarrabile di sofferenze fisiche, a cui contribuirono, oltre alle estreme e penose difficoltà a respirare, anche le “terapie” dei medici che in quell’epoca senza antibiotici lo trattarono a forza di iniezioni di terpentina e ventose calde, fino a ridurgli ,la schiena a un’unica piaga. Sofferenze che Carlo accettò con nobile eroica fermezza, la Comunione quasi quotidiana e la visione del Santissimo che spesso gli fu lasciata in camera.
Dunque ricapitolo: Carlo non ha rinunciato alla corona, e la sua offerta a Dio di morire per il ritorno dei suoi popoli al Sacro Romano Impero, è stata accettata. Non solo Vienna, ma Budapest sono sede vacante. Nella strana, unica fra i paesi dell’Est, coraggiosa presa di distanza del presidente Orban dall’odio anti-Putin e quindi dalla guerra che verrà, sono incline a vedere una preparazione della Provvidenza ad una restaurazione ora inimmaginabile. Dio manterrà la promessa che Carlo gli ha strappato son la sua croce. Nell’inimmaginabile giro di circostanze in cui Istanbul ridiverrà Costantinopoli e sede della Chiesa Ortodossa, come vude padre Paisios; e Italkia e Baviera avranno di nuovo un re.
Poiché le notizia dei prossimi mesi saranno sempre più cattive e disperanti, ricordiamo questa speranza sicura: i “popoli” che furono uniti sotto Absburgo, a cominciare dai magiari agli austriaci, dagli ucraini ai cecoslovacchi, ai balcanici – croati, sloveni e bosniaci, serbi e montenegrini – dal tirolesi ai trentini agli slovacchi, felici autonomi e prosperi di nuovo insieme.
Io spero che Carlo non abbia dimenticato di pregare per noi del Lombardo Veneto.