Un lettore mi scrive:
Buona sera carissimo Maurizio,
le volevo scrivere brevemente per chiederle se era possibile avere un suo contributo sul film VICE – L’uomo nell’ombra- che racconta la
storia di Dick Cheney. Personalmente mi è sembrato un bel film (parlo
da incompetente di cinematografia), ma sarebbe bello avere una sua
analisi critica dato che personalmente non ho basi sufficienti di
storia politica per poter esprimere io un giudizio nel merito.
La ringrazio anticipatamente, indipendentemente dalla possibilità o
meno di soddisfare la mia richiesta.
Enrico B.
Mi hanno detto che il film è interessante. Io non andrò a vederlo: per me sarebbe troppo, constatare l’ennesima sottile (o grossolana) operazione di disinformazione sull’evento 11 Settembre che ho seguito come inviato, ed ha cambiato la mia vita e le mie convinzioni sul regime statunitense.
Ricordo solo questo. Quel mattino, 11 settembre 2011, il presidente Bush il giovane non era alla Casa Bianca. Stava parlando con gli scolari di una scuola elementare in Florida, lontanissima, dove era stato mandato probabilmente sapendo che, troppo stupido, avrebbe potuto tradire il false flag con dichiarazioni o comportamenti impropri.
Invece era il vecchio e sperimentato vicepresidente, Dick Cheney, alla Casa Bianca. E’ lui che “gestisce” per così dire l’attentato. Alla prima notizia dell’aereo che ha colpito una delle Tower, si porta nel bunker sotto la Casa Bianca, il Presidential Emergency Operation Center concepito e attrezzato per mantenere operativo il comando presidenziale anche sotto un attacco atomico. La stanza è piena di schermi, telefoni, personale.
Qui viene convocato anche il ministro dei Trasporti Norman Mineta (cognome di origine giapponese): ovviamente, perché è responsabile dell’aviazione civile ed è in contatto coi presidente dell’American Airlines e United Airlines, le compagnie cui appartengono gli aerei dirottati.
Orbene; nella sua testimonianza davanti alla Commissione 11 Settembre, Mineta testimoniò che quando lui entra nel bunker, verso le 9:25 del mattino, trova Cheney e fra altri, Monte Belger, il capo della FAA (Federal Aviation Administration, l’ente del volo civile) che gli dice: “Stiamo osservando questo obiettivo sul radar, ma ha il trasponder disattivato quindi non abbiamo l’identificazione”. Si vede solo che l’aereo sospetto sta dirigendo verso Washington. Mentre fissano gli schermi radar, racconta Mineta, “un giovane” [non identificato] entra più volte ad aggiornare il vicepresidente, dicendo: “L’aereo è a cinquanta miglia di distanza … l’aereo è a trenta miglia”… Quando torna per dire: “L’aereo è a 10 miglia”, aggiunge anche: “Gli ordini sono sempre validi?”. Al che “Cheney si voltò di scatto e replicò: ‘Certo che gli ordini restano quelli. Hai forse sentito qualcosa in contrario?”. Mineta dirà che “per la natura degli eventi in corso”, egli ha dedotto che “gli ordini” cui si riferiva il giovane riguardavano l’ordine di abbattimento. L’ordine non fu dato Evidentemente quello che continuò a valere fu l’ordine di “stand down”, di non reagire. Infatti l’aereo, il Volo 77 , è quello che (secondo la versione ufficiale) colpì il Pentagono.
La Commissione si sforzerà di sminuire la testimonianza di Mineta, con complicati argomenti temporali che le risparmio, sostanzialmente per sostenere che Cheney non era ancora nel bunker quando lo dice Mineta, che ci sarebbe arrivato alle 10 meno cinque, e che l’aereo in avvicinamento di cui parla il ministro non era il Volo 77, ma il volo 93, quello che si schianterà in un campo a 240 chilometri da Washington; non cambiano la sostanza della deposizione.
Anzi. Mineta ha confermato che, benché Cia, FBI e il Counterterrorism Security Group (CSG) interno alla Casa Bianca avessero ben chiara l’aumentato rischio di un attentato di Al Qaeda (sic), a lui non era stato detto niente: benché nella sua carica fosse responsabile della FAA, della Guardia Costiera e di altre agenzie da preparare ad un attentato. “Non avemmo nessuna informazione affatto”.
Rumsfeld sapeva tutto prima
Altri invece sapevano in anticipo: Donald Rumsfeld, ministro della Difesa, che stava al Pentagono insieme ai suoi tre vice-ministri neocon con doppio passaporto, Paul Wolfowitz, il rabbino Dov Zakheim e Douglas Feith. Fin da marzo la Rand Corporation, il think-tank dell’apparato militare-industriale di cui Rumsfeld era direttore, aveva annunciato un probabile attacco terroristico al World Trade Center. Quel mattino, tra le 9:02 e le 9:40, Rumsfeld era al Pentagono; guarda in tv gli eventi di New York, le due torri colpite, e dice ai presenti: “Credetemi, non è ancora finita. Ci sarà un altro attacco e sarà diretto contro di noi”. Lo ha testimoniato Christopher Cox, presidente della Commissione Difesa alla camera bassa, che era con lui quel mattino.
Sono particolari tutti documentali perfettamente, e consultabili da chiunque nell’eccezionale sito documentale History Commons:
Da quell’evento ho tratto la consapevolezza che gli Stati Uniti erano in mano ad un potere mostruosamente criminale, capace di uccidere anche tremila suoi cittadini in un attentato auto-inflitto, per lanciare “la lunga guerra contro il terrorismo” che ha portato al Medio Oriente i lutti e fiumi di sangue che non cessano nemmeno adesso, se è vero che Trump si è rimangiato la sua volontà di ritirarsi dalla Siria. Ciò, per eliminare e destabilizzare tutti i potenziali avversari di Israele, soppiantare regimi laici e secolari ben organizzati con fanta-califfati wahabiti retrogradi, e attizzare le diverse componenti etnico-rreligiose di ogni stato l’una contro l’altra.
In questa vicenda, la responsabilità di Cheney è essenziale. Egli in qualche modo rappresenta gli interessi petroliferi (è l’ammministratore delegato della Halliburton, multinazionale delle attrezzature di estrazione, presente in 120 paesi) che convergono con la Israeli Lobby nel progetto, per la voglia di impadronirsi di giacimenti difficili, in territori asiatici lontani dal mare –Asia centrale, Caspio – che esigono oleodotti lunghi migliaia di chilometri e sorvegliati militarmente lungo gli immensi percorsi, fino allo sbocco nel Mediterraneo. Cheney è celebre per aver detto, proprio in quei tempi: “Il buon Dio non ha ritenuto opportuno mettere petrolio e gas solo dove ci sono regimi democraticamente eletti amici degli Stati Uniti. Occasionalmente dobbiamo operare in luoghi in cui, tutti considerato, normalmente non si decide di andare. Ma noi andiamo dove è il business”.
Se lei va su History Commons e fa la ricerca “Dick Cheney”, vedrà la lunghissima vita del personaggio nei pressi del potere presidenziale, fin dagli anni ’70, il suo carattere senza scrupoli e il robusto pelo sullo stomaco. Anzi qualcosa di molto peggio, visto che ci sono forti indizi che sia stato lui, scavalcando la catena di comando, a far volare sei testate nucleari a bordo di aerei, da una base in Nord Dakota alla base di Barksdale in Louisiana, e che avrebbero continuato il viaggi verso chissà quale direzione – se dei militari della base di Barksdale non avessero notato l’anomalia (missili atomici armati appesi a un bombardiere…) e non avessero bloccato l’apparecchio, mandando a monte un progetto di cui non conosciamo molto, se non che i militari e uficiali che sventarono l’evento a Barksdale, sono tutti morti di morte non naturale nei giorni seguenti.
Cose documentate qui:
Io preferisco non andare a vedere un film su di lui. E’ stato anche questo uno degli effetti che mi hanno cambiato, dopo aver visto le macerie fumanti delle Twin Towers, interrogato le famiglie delle vittime, sceverato l’orribile verità che spuntava dalla versione ufficiale dei grandi media: che i film di Hollywood mi sembano tutti insopportabilmente falsi.