di Roberto PECCHIOLI
Sono Ernesto, fate presto. Così implorava, in una storiella piuttosto volgare, un pover’uomo prigioniero a cui gli aguzzini spiegavano in rima le sevizie che gli avrebbero inflitto. Rassegnato, coltivava un’ultima speranza, che facessero in fretta. Questo, con amaro sarcasmo, pensavamo osservando una serie di notizie e fatti di cronaca degli ultimi giorni. L’Occidente si è trasformato in un triste circo in cui innumerevoli spettri inscenano una danza macabra sull’orlo dell’abisso. Il moto accelera lungo la discesa, è una legge fisica. L’Unione Europea dirama linee guida che degradano il Natale a “festività” e propone il genere neutro in luogo di “mister “e “mistress”. Da signori e signore a Ms. Avanti, fate ancora un passo, premete l’acceleratore come Thelma e Louise quando lanciarono l’automobile nel burrone alla fine della “fuga per la libertà”. Gettatevi e fate presto.
A Milano un professore di filosofia rischia la cacciata dall’insegnamento per aver chiesto a tre ragazzotti imbottiti di plumbeo conformismo di togliersi gli abiti femminili con cui erano andati a scuola. La preside gli dà torto: è dalla parte del potere, perciò è diventata “dirigente scolastico”. Noi siamo dalla parte del torto perché gli altri posti sono stati già occupati. Un cretino dà una pacca sul lato B a una giornalista televisiva e si scatena l’inferno. Pene detentive spropositate invocate per il colpevole, trattato peggio di un assassino, la signora esibita nelle reti televisive come una Madonna pellegrina. All’autore della stupida bravata noi infliggeremmo la punizione più severa: lavoro non retribuito in un cantiere o nella cura di malati. Ma i criminali sono altri, alcuni hanno la pistola e altri, tantissimi, sono imbroglioni con giacca, cravatta e camicia stirata.
Continuiamo: la giurisdizione italiana dichiara legittimo collaborare al suicidio. La vita non è più un valore legalmente protetto perché superiore a ogni altro. Un docente universitario di biologia perde la cattedra in quanto sostiene che i sessi sono due; Joanne Rowling, la creatrice di Harry Potter è sulla graticola per la curiosa opinione che un transessuale non è donna. In Ucraina, dove si praticano all’ingrosso e al dettaglio GPA (acronimo di gestazione per altri, o maternità solidale, i nomi politicamente corretti dell’utero in affitto e della zootecnia umana) gli sconti del Black Friday raggiungono anche il settore della procreazione “assistita”. Chissà se nasceranno bambini di minor valore.
In Norvegia, le poste locali emettono un francobollo con due uomini che si baciano: ecco le priorità della Premiata Impresa Funebre Occidente. Nella Spagna ex cattolica, la regione di Valencia finanzia un progetto per diffondere la pratica del sesso anale. Attacchi furibondi contro una deputata di opposizione che ha chiesto di stornare i fondi in quanto il potere pubblico non può fare propaganda alla sessualità sterile. Ha fatto centro: ha detto sterile, cioè ha smascherato una società terminale, priva di volontà di riprodurre se stessa. L’esponente politica ha toccato il tasto dolente; siamo una civilizzazione terminale, un allegro obitorio in cui figure senza più volto, diversamente uguali, ballano sull’orlo di un abisso sempre più vicino. Sterili come le pratiche che raccomandano, i becchini d’Occidente sono in procinto di seppellire se stessi.
Anche sul Titanic- orgoglio dell’industria umana- le danze continuarono sino all’impatto con l’iceberg fatale. Sbrigatevi, per favore, arrivate sino in fondo, rendete più breve un’agonia che sta oltrepassando il ridicolo. Quando ci fu il terribile terremoto del Friuli, nel 1976, crollarono, tra gli altri edifici, anche le splendide cattedrali di Gemona e Venzone. Con amore tenace, le pietre sparse furono numerate. Oggi quei capolavori dell’arte sono di nuovo in piedi. Le cattedrali non furono fatte dall’ ente del turismo, ma per dare conto del destino alto, trascendente, della creatura umana.
Dunque, non possiamo piangere tra le rovine, il compito è restare dritti in piedi. E’ l’ultimo servizio che dobbiamo a noi stessi e alla grande civiltà di cui siamo i figli estremi. La notte finirà, qualcuno vedrà l’alba. A noi il compito di conservare le pietre sparse. Non possiamo permetterci la semplice lamentazione, ed è tardivo qualunque tentativo – pur generoso- di reazione. La civilizzazione morente che vuole suicidarsi, lo faccia: siamo disposti a dare una mano, tanto più che è diventato legale. La premiata agenzia funebre funziona a pieno ritmo. Corra ancora più veloce: i morti seppelliscano i morti. Che cosa dobbiamo difendere, se non le pietre, le vestigia, nel mondo invertito in cui il male è bene e il vizio virtù?
Una serie lunghissima di eventi e circostanze dimostrano che è stato raggiunto il punto di non ritorno: la nostra civilizzazione è clinicamente morta. E’ finita l’attività cerebrale; in linea con lo spirito del tempo, basta inutili tentativi di rianimazione, meglio staccare la spina e celebrare il funerale. Facciamo presto serbando nel cuore e nello spirito la forza morale, la certezza di essere nel giusto. Servirà “dopo”. Non può essere più buio di mezzanotte, la luce prevarrà. Perfino l’Onnipotente dovette abbattere Babilonia, la città superba che voleva raggiungere il cielo. Sodoma e Gomorra furono distrutte per opera divina perché avevano abbandonato il patto dell’Eterno. (Deuteronomio 29,25).
L’Occidente si è condannato all’estinzione per un misto incredibile di arroganza e di odio di sé. La prima può essere combattuta, il secondo no, poiché irrazionale e innaturale. Ci si può solo stringere più forte nelle spalle, unirsi con gli altri – dispersi, ma numerosi- che si mantengono in piedi e avanzare a zig zag tra i frantumi che restano. Un grande conservatore, Roger Scruton, sperimentò su di sé l’ostracismo di un mondo in cui per davvero i pazzi guidano i ciechi, come disse Gloucester in Re Lear, tragedia dell’abbandono del padre. Scruton scrisse qualcosa che dovremmo scolpire nella mente.
“Il conservatorismo nasce da un’intuizione che tutte le persone mature possono condividere facilmente: la percezione che le cose buone sono facili da distruggere, ma non facili da creare. Ciò è particolarmente vero per le cose buone che ci giungono come patrimonio comune: la pace, la libertà, il diritto, la civiltà, lo spirito pubblico, la sicurezza della proprietà e la vita familiare, in tutte le quali dipendiamo dalla collaborazione degli altri senza i mezzi per realizzarli da soli. In relazione a tali cose, l’opera di distruzione è rapida, facile ed esaltante; il lavoro della creazione, lento, laborioso e noioso. Questa è una delle lezioni del XX secolo. È anche uno dei motivi per cui i conservatori affrontano un tale svantaggio quando si tratta dell’opinione pubblica. La loro posizione è corretta ma noiosa; quella dei loro detrattori, eccitante ma falsa. A causa di questo handicap retorico, i conservatori spesso difendono la loro posizione con il linguaggio del lamento. Le lamentele possono abbracciare tutto, come le Lamentazioni di Geremia, proprio come la letteratura rivoluzionaria abbraccia l’intero mondo delle nostre fragili conquiste. E a volte è necessario lamentarsi. Senza il “lavoro del lutto”, come lo definì Freud, il cuore non può avanzare da ciò che ha perso a ciò che lo sostituirà. Tuttavia, la difesa del conservatorismo non deve essere presentata in toni di elegia. Non si tratta di ciò che abbiamo perso, ma di ciò che abbiamo conservato e di come mantenerlo. ”.
Scruton in gioventù inclinò al progressismo, poi fece suo il pensiero conservatore quando visse a Parigi in prima persona il maggio del Sessantotto e percepì che quel movimento, che pareva una temporanea esplosione di infantilismo rivoluzionario, aveva come obiettivo la demolizione della civiltà occidentale per mano degli intellettuali figli della borghesia mercantile. Oggi di fronte al pensiero unico e politicamente corretto, dinanzi al cadavere ideologico dell’ex sinistra punta di lancia della dissoluzione, essere trasgressivi, controcorrente e rivoluzionari è essere conservatori. Scruton ci parla di patrimonio comune trasmesso da generazioni come la vita, la libertà, il diritto, lo spirito, la sicurezza della proprietà e la famiglia. Quei principi fondamentali sono ciò che deve essere preservato, curato, protetto, accarezzato e trasmesso.
A ben guardare, non è difficile: la cultura della cancellazione, la premiata agenzia funebre hanno un unico sbocco, la morte. Niente altro può attendere chi innalza bandiere che hanno un denominatore comune, la sterilità, come ha intuito la deputata spagnola denunciando la ripugnante propaganda del sesso anale a spese del contribuente. Aborto come diritto universale, ossia banalizzazione dell’interruzione volontaria del ciclo naturale di riproduzione biologica; eutanasia come ultimo diritto, morire perché la vita non ha più “qualità”; sessualità compulsiva sganciata dai sentimenti e insieme ridicolmente proibizionista ( la pacca sul sedere, un pessimo gesto, fa più orrore di veri delitti); la negazione di verità evidenti come il dimorfismo sessuale sino a grottesche contorsioni verbali tipo chiamare “latte umano “ il latte materno e “genitore alla nascita” chi ci ha messo al mondo; glorificazione di tutto ciò che è eccessivo, non conforme a natura; indifferenza, condiscendenza quando non aperta accettazione delle droghe e delle dipendenze.
Tutto ciò è cultura di morte. E’ consolante sapere che non può durare per evidenza biologica, giacché in natura prevale l’istinto di vita, di conservazione e propagazione. Quella che viviamo è una entropia sociale, una dissipazione di energia vitale che conduce inevitabilmente alla fine. Quel che resta dell’Occidente sta insieme per caso, generazioni di passanti, casuali compagni di viaggio in un transatlantico privo di meta, criceti che corrono nella ruota dentro la gabbia.
In un liceo di Torino le comunicazioni interne avvengono ponendo l’asterisco sulle desinenze che potrebbero richiamare il genere maschile e femminile. Lo chiamano linguaggio inclusivo, ma è il bavaglio auto imposto di chi non crede in se stesso e, a forza di non offendere, includere tutto e tutti, non sa più chi è e giunge nudo alla meta, ovvero alla decomposizione. Si diffonde nella comunicazione scritta un segno grafico noto solo ai linguisti di professione, lo “schwa” o scevà, una sorta di “e” rovesciata che i sedicenti “risvegliati” (a cui meglio si addice il sonno ristoratore) usano per combattere, dicono, il predominio del genere maschile. Non lo possiamo mostrare: manca, ahimè, sulla nostra antiquata tastiera.
Guerra alla grammatica eteropatriarcale, linguaggio inclusivo, baci omo, travestitismo verbale e materiale, glorificazione dell’inversione: sono le priorità del mondo nuovo, lampi grotteschi che non saranno seppelliti da una risata. Basterà attendere le fatali conseguenze. Il lavoro delle termiti, impegnate a distruggere dal basso, è quasi completato. L’abisso è spalancato, un ultimo colpo di vento inghiottirà chi si è sporto sul nulla.
Conta che sia lì, ancora in piedi, chi sa ricostruire, raccogliere e numerare i detriti, come coloro che hanno prima riconosciuto, poi amorosamente rimesso insieme le pietre delle cattedrali crollate. Le agenzie funebri sanno solo organizzare sepolture; le civiltà creano, edificano e ricostruiscono. Dobbiamo essere fieri di essere tra coloro che riconoscono le pietre della cattedrale e vedono oltre l’opaco della nebbia. Ha da passà ‘a nuttata, scriveva Eduardo De Filippo nel 1945 in Napoli milionaria, tra le rovine di una guerra perduta. Finiranno gli ultimi rantoli dell’Occidente suicida, perché non tutto è perduto se tra le pietre sparse di un cantiere o in mezzo alle macerie c’è un uomo, anche uno solo, che sa pensare a una cattedrale. (Antoine Saint Exupéry, Pilota di guerra). Noi ci siamo, e guardiamo con occhi asciutti la fine ingloriosa di una civilizzazione senz’ anima né trascendenza né speranza. I morti, gli spettri, hanno