Chissà perché nell’arresto di Salah Abdeslam qualcosa suona falso. Ricercatissimo, doveva essere in Siria nei ranghi di Daesh, invece era nel quartiere dov’è nato e vissuto, Molenbeek, Bruxelles. Ma non aveva amici nel Califfato? Del resto anche il 14 novembre 2015, dopo che lui e la banda jihadista avevano fatto le stragi del Bataclan e del Caffè Voltaire, più quella mancata allo Stade De France, se n’era scappato con i complici a Molenbeek, da Parigi; tre ore di auto, la macchina viene fermata dalla polizia a Cambrai, e lasciata ripartire verso il Belgio, perché a quell’ora – dice la versione ufficiale – non erano ancora ricercati. E Salah dà all’agente persino il suo indirizzo di Molenbeek. Decisamente è affezionato al suo quartiere. E perché riparare in Siria, dove non conosci nessuno?
E la notte del 15-16 novembre 2015? La polizia belga localizza Abdeslam in un strada – di Molenbeek, naturalmente – e ormai gli agenti sono pienamente allertati della strage avvenuta a Parigi, pronti dunque a catturarlo….ma no, cosa andate a pensare. A Bruxelles non si possono far irruzioni poliziesche tra le 23 e le 5 del mattino, si disturba il vicinato. Così il mattino dopo, fatta irruzione in vari appartamenti, il tremendo terrorista non si trova più.
Caccia spietata, comunque. Mesi e mesi. Due polizie, la belga e la francese, ventre a terra sulle sue tracce. Inutile, l’assassino ormai è in Siria, a combattere.
I rapporti fra lo stato francese e i terroristi islamici non sono sempre stati così conflittuali. Anzi.
1 marzo 2012: il governo siriano riferisce di aver catturato una brigata di 120 soldati francesi, colti sul fatto mentre aiutavano i ribelli (ne erano il reparto trasmissione) nella regione di Homs. Di questi francesi, 18 erano ufficiali, secondo Al Arahm, erano 13secondo il Telegraph; certo è che combattevano a fianco dei jihadisti. Sono stati catturati. Parigi smentisce.
Aprile 2014. L’ambasciatore siriano all’Onu, Bachar Ja’afari, alle Nazioni Unite accusa di uovo la Francia: “militari francesi sono stati uccisi mentre, alla testa di gente «di Al Qaeda», assaltavano il villaggio cristiano di Sadniye. I cadaveri trovati dalle truppe di Assad portavano una bandiera francese tatuata sulla spalla. L’ambasciatore francese Araud, presente, non smentisce.
22 febbraio 2015: altri ufficiali francesi catturati dall’armata di Assad. L’ammiraglio l Édouard Guillaud, capo di stato maggiore, ammette che si tratta di « ex » legionari. Il ministro francese della Difesa, Jean-Yves Le Drian, conferma a Radio France che “ex” militari francesi combattono a fianco dei jihadisti in Siria. Il governo Assad restituisce gli ex alla Francia. Gli ex vengono accolti dai generali con tutti gli onori.
Il ben informato Thierry Meyssan, figlio di un capo dei servizi francesi, spiegherà: «Nel gennaio 2014, Francia e Turchia hanno armato Al Qaeda per attaccare l’“Emirato Islamico in Iraq e Levante” [il futuro Stato Islamico,Daesh]. Si trattava allora di silurare il piano americano di creazione di un Kurdistan indipendente in Iraq e nel Nord della Siria. Ma a seguito di un accordo con gli USA, nel maggio 2014, la Francia cessava le ostilità contro lo EEIL. Con i bombardamenti della coalizione anti-Daesh, Parigi e Washington hanno cura di respingere gli islamisti sulla linea loro assegnata (Piano Wright) senza infliggere loro perdite sostanziali”.
I francesi aiutavano Al Qaeda contro Daesh, ciò che non piaceva agli americani. Interessante. Poi hanno smesso. Dev’essere per questo che,
nell’ottobre 2014, i media Usa raccontano: un drone americano ha ucciso un ex militare francese che guidava il gruppo “Al Qaeda Khorasan”. Costui si chiamava David Drugeon – non era nemmeno di origine islamica – era esperto di esplosivi e, secondo i media americani, era un agente infiltrato da Parigi fra i jihadisti in Siria. Particolare istruttivo i media Usa dicono che l’assassinato Drugeon “aveva mandato aspiranti jihadisti dall’Europa in Siria”. Magari qualcuno anche da Molenbeek? Sarebbe bello saperlo, ma il povero Drugeon, soldato francese ucciso dal massimo alleato, non può più raccontare.
24 maggio 2014: ricordate? Bruxelles. Un giovanotto con passo elastico entra in pieno giorno nel Museo Ebraico di Rue Minimes,e freddamente uccide quattro persone. Due delle vittime, i coniugi, Emanuel e Miriam Riva, sulla cinquantina, “lavoravano per il Mossad” (così l’ebraico Tikkun Olam, 26 maggio 2014): poi l’uccisore ripone il kalashnikov nel borsone che aveva con sè, esce tranquillo e con passo elastico e scompare svoltando per Rue Haute.
Il tutto è durato nemmeno 2 minuti, dalle 15.27.44 alle 15.29.06. Lo sappiamo perché le telecamere di sorveglianza hanno registrato la scena e l’ora fino al decimo di secondo. Si vede anche il sicario mentre imbraccia l’arma; ha un cappellino da golf in testa e qualcosa appuntato sul petto: una telecamere GoPro da pochi soldi – si saprà dopo – come se volesse, o dovesse, documentare l’avvenuta esecuzione ai suoi capi e mandanti.
Poi il personaggio sale su un pulman di linea da Bruxelles fino a Marsiglia, 800 chilometri più a sud, dove “per caso” la polizia francese lo arresta. O meglio: lui si consegna, con tutto il contenuto del borsone: oltre il kalashnikov con calcio pieghevole, un revolver cal-38, maschera antigas, 330 proiettili, ricambi per le armi, e la telecamera GoPro che s’è applicato al petto per riprendere – ossia per comprovare – i propri omicidi. A chi doveva comprovarli? Si saprà che si chiama Mehdi Nemmouche, francese di origine algerina, radicalizzatosi in carcere. Nel dicembre 2012 si era recato in Siria passando per il Belgio, e lì ha combattuto per Al Nusra (arruolato dal capitano Drugeon?); poi è tornato in Europa ma passando per Singapore e Bangkok; nel marzo 2014 era stato segnalato in Germania.
Qualcosa nel comportamento (e nell’armamento) di Nemmouche suggerisce una strana idea: che non sia un terrorista sciolto, ma un soldato da operazioni speciali, che compie l’azione, la documenta, e consegna sé stesso e le armi non in Belgio ma in Francia, dove aveva i suoi comandanti…
7 gennaio 2015: la strage di Charlie Hebdo
Due uomini con passo elastico, calmi e professionali, sparano all’intera redazione. Sparano da professionisti, brevi raffiche di due-tre colpi. Poi salgono tranquilli sulla Citroen C3nera su cui erano arrivati; cambieranno l’auto a Rue Pantin rubando il veicolo ad un civile a cui diranno di essere due terroristi della cellula yemenita di Al Qaeda. Purtroppo per loro, sulla Citroen nera abbandonata uno dei due ha dimenticato la carta d’identità: chi l’avrebbe mai detto? Così viene identificato:Said Kouachi, in fuga col fratello.
I due fratelli Kouachi, una volta che le tv fanno il loro nome, non paiono più i freddi professionisti di prima; scappano qua e là, lasciano scie di tracce, hanno evidentemente paura e non sanno dove andare. Alla fine si asserragliano in una tipografia a Dammartin-en-Goële.
Fatto notevole, è una tv israeliana, la i24 (l’equivalente israeliano di SkyNews 24), ad annunciare per prima le generalità dei due assalitori; fin dalle ore 15, molto prima di tutti gli altri media. Il sito JSS, un web magazine ebraico che dà notizie in francese (JSS sta per il nome del fondatore, Jonathan Simon Sellem) dà addirittura i nomi dei due ricercati franco-algerini, prima che lo facciano i media francesi. Verranno uccisi dalle teste di cuoio il 9, dopo le cinque della sera. E’ buio. L’ordine dell’attacco l’ha dato Hollande in persona; in contemporanea con l’altro attacco, in piena Parigi, per liberare un piccolo supermercato ebraico, Hypercacher, dove s’è asserragliato un giovane terrorista africano, Ahmedy Coulibaly, che ha ucciso degli ostaggi. Coulibaly viene ucciso sotto gli occhi delle telecamere; i fratelli Kouachi no, tutte le telecamere del mondo sono davanti all’Hypercacher. Ma lo assicurano le autorità. Hanno voluto morire da martiri. Ufficialmente, sono stai seppelliti in località segreta. Non è strano?
Qualcosa di politicamente scorretto frulla per la testa: che l’attentato a Charlie sia stato una vendetta contro l’attentato al museo ebraico di Bruxelles, in una guerra senza quartiere tra servizi segreti “amici”? Che i fratelli Koauchi siano stati incastrati dai veri esecutori della strage di Charlie, che hanno fatto trovare la carta d’identità di uno di loro; e che i loro capi, per salvarli, hanno dovuto “sacrificare” Coulibaly mandandolo ad aggredire il negozio ebraico.
13 novembre 2015: gli attentati al Bataclan, al caffè Voltaire e allo Stadio di Francia. In quest’ultimo,stranamente, ben tre jihadisti si fanno scoppiare (hanno una cintura esplosiva) fuori dallo stadio, prima che il pubblico ne esca. Risultato, ammazzano solo se stessi. Ma nello stadio c’è Hollande che guarda la partita Germania-Francia; esce scortato a si precipita a firmare il decreto che proclama lo stato d’emergenza (la strage del Bataclan non è ancora avvenuta). Un quarto, Ibrahim Abdeslam , s’è fatto esplodere da solo, seduto ai tavolini del bar Comptoir Voltaire. Anche lui era di Molenbeek, dove aveva un bar chiuso da pochi giorni prima del 13 novembre per ordine della polizia, per spaccio. Ibrahim era un picolo delinquente, alzava il gomito e si faceva di canne, caratteri non proprio da jihadista wahabita.
Era il fratello di Salah Abdeslam. Anche quest’ultimo doveva farsi esplodere con la cintura? Dicono che ha ammesso tutte le sue colpe, voleva farsi saltare (anche lui) allo stadio ma ha rinunciato (o forse ha preso paura? E s’è tolto la cintura esplosiva prima che un telecomando la facesse esplodere?), , ma cerca di non farsi estradare in Francia. Vedremo. E’il primo jihadista preso vivo in tutta questa orribile storia, speriamo che parli. E non si faccia trovare suicidato.
Frattanto, alcuni giornali belgi ironizzano: Abdeslam il fuggiasco-record: in tre mesi ha fatto 400 metri. Tale è la distanza da casa sua all’appartamento dove è stato scoperto. E la polizia l’ha ritrovato a 300 metri da dove aveva perso le sue tracce quattro mesi orsono. Del resto, Bruxelles è piccola: il quartier generale della NATO, la sede della Unione Europea, sono a tre chilometri dal Molenbeek. Ci sono tutti i servizi