di Giulietto Chiesa
Il G-20 di Osaka sarà probabilmente ricordato come quello della prima, vera “offensiva ideologica” post-comunista e anti-liberale. L’autore di questa svolta è Vladimir Putin.
Nell’intervista al Financial Times del 27 giugno il leader russo ha, per la prima volta nel suo quasi ventennale “regno”, abbandonato i panni angusti di un paese che “si difende” dalla pressione esterna del mondo occidentale, per assumere quelli del difensore globale dei popoli di tutto il mondo, che stanno lentamente uscendo dall’ipnosi globalista e cominciano a fronteggiare, sempre più spavaldamente le élites autodefinentesi — con un orribile ossimoro — come “minoranze democratiche”.
C’è stato, prima di questo, solo un altro grande discorso ideologico di Putin, paragonabile a quello di Osaka: quando, a Monaco, nel 2007, lasciò di stucco tutti i suoi interlocutori/avversari occidentali annunciando, senza mezzi termini, l’intenzione della Russia di tornare a svolgere un ruolo mondiale. “Non accetteremo di diventare vassalli dell’Occidente”. E fu, da quel momento, considerato un nemico, anzi “il nemico” del “mondo libero”. Fu un brutto risveglio per l’America e per l’Europa, che avevano già derubricato la Russia, uscita dal crollo dell’Unione Sovietica, come niente di più che partner secondario del loro ordine mondiale.
Ma quello di Osaka non ha più nulla di difensivo, anche se ha conservato molto di russo. Una Russia che definisce essa, per la prima volta, la linea di demarcazione tra l’Occidente e il resto del mondo, mettendosi idealmente alla testa di tutti i movimenti e di tutte le pulsioni antiliberali che stanno maturando in molte parti dello stesso occidente. Da accerchiata a accerchiante. Al limite dell’inaccettabile, del blasfemo, per le élites che si ritengono ancora al posto di comando.
Esiste ancora — ha detto in toni palesemente sprezzanti — una cosiddetta idea liberale. Ma essa è ormai moribonda”. Le sue componenti, ha aggiunto, “sono semplicemente irrealistiche”, a cominciare dal multiculturalismo. “l’idea liberale presuppone che non si deve fare nulla”; che ”i diritti dei migranti debbono essere in ogni caso difesi”. Ma una tale idea presuppone il rifiuto del principio che “ogni delitto deve essere seguito dalla punizione” e cioè essa “entra in conflitto con gl’interessi della stragrande maggioranza delle popolazioni”.
Il secondo punto della requisitoria di Putin tocca i valori della tradizione. “Non intendo offendere nessuno, tanto più che già, per molto meno, ci qualificano come omofobi. Noi non abbiano nulla da dire contro le persone che hanno orientamenti sessuali non tradizionali. Ma ci sono cose che a noi appaiono come eccessive. Per quanto concerne i bambini, da qualche parte ci dicono che i sessi sono diventati cinque, se non sei. Non so nemmeno come si chiamano. Penso che non si può dimenticare la cultura, le tradizioni, le basi tradizionali della famiglia, che fondano la vita dei milioni d’individui che costituiscono i popoli”.
A più riprese torna, nel discorso di Putin, il tema del diritto del popolo a vivere secondo i principi che sono definiti dalla sua storia. Milioni di persone, la enorme maggioranza del popolo, rispettano certe regole; esse racchiudono le norme della convivenza sociale. Come lo è la stessa religione. “Si può non ricordarla ogni giorno — ha esclamato il presidente russo — si può non andare in chiesa, ma non si può dimenticare che nel cuore, nelle profondità dell’animo, esistono leggi umane fondamentali, valori morali dai quali non si può prescindere”. In Russia noi siamo ortodossi. “Possiamo dimenticare di vivere in un mondo che è il prodotto dei valori biblici?”.
Si deve impedire alla gente di esprimere punti di vista diversi? Niente affatto, ma “ non si possono offendere i sentimenti della popolazione nel suo insieme”. Per quanto concerne le idee liberali — questa la conclusione di Putin —”non si tratta di cominciare immediatamente la loro liquidazione. Il fatto è che ormai i liberali non hanno più niente da imporre a nessuno, che è ciò che hanno cercato di fare negli ultimi decenni”.
E, nel corso dell’intervista, Putin ha trovato il modo di riconoscere a Donald Trump il merito di avere “scoperto” un’altra America, quella del popolo, ben diversa da quella delle élites. È stata questa America quella che ha portato al potere Trump. Il quale, tra l’ilarità generale dei partecipanti al G-20, ha ricambiato l’omaggio ammonendo scherzosamente Vladimir Putin a “smetterla di influenzare le decisioni dei popoli” con il suo esercito di hackers. Almeno a quel livello nessuno crede più alle panzane dei media. Salvo i giornalisti.