Costantino Ceoldo
Il dittatore è una figura transitoria e temporanea nella vita di una Nazione per cui quando il potere passa da padre in figlio in nipote non si può più parlare di dittatura. In un simile caso è più corretto parlare di monarchia e di dinastia regnante per descrivere la situazione in cui il potere su un popolo è amministrato dalla stessa famiglia, con continuità, attraverso le generazioni.
Da questo punto di vista, l’attuale governante della Corea del Nord è re e non dittatore. Kim Yong-Un ha infatti ereditato il potere da suo padre Kim Jong-Il che lo aveva ereditato a sua volta dal proprio padre, il Kim Il-Sung fondatore della Repubblica Democratica di Corea (i cattivi comunisti, per intenderci). Quella dei Kim è quindi una dinastia ben radicata in Corea del Nord, una linea di sangue i cui membri maschi regnano sul Paese fino alla morte e godono agli occhi della gente comune perfino di una forma di divinizzazione grazie ad un’abile propaganda politica e forse ad una certa inclinazione dell’animo umano, nord-coreano in questo caso.
Una monarchia ha bisogno di una classe aristocratica che le faccia da supporto e permetta il controllo locale del territorio. Se è fin troppo facile individuare la famiglia reale, individuare gli esponenti dell’aristocrazia può essere invece più complicato. Tuttavia possiamo chiederci chi siano i direttori dei grandi impianti industriali, dei magazzini di Stato, delle aziende agricole, chi siano i responsabili della manutenzione della rete stradale o elettrica, delle telecomunicazioni, possiamo chiederci chi siano i professori universitari più prestigiosi. A seconda dei nomi e della frequenza con cui i dirigenti vengono sostituiti nei loro incarichi, si potrebbe dedurre uno schema che ci aiuti a capire qualcosa sui meccanismi interni del potere e quindi sulla struttura della classe aristocratica nord-coreana.
C’è poi l’apparato militare che, da che mondo è mondo, è sempre lo strumento con il quale un governo, anche il più “democratico”, mantiene il controllo sulla popolazione e sul territorio, al contempo parando eventuali attacchi esterni. La Corea del Nord non fa differenza da questo punto di vista ed aspettarsi il contrario sarebbe illogico.
Se qualcuno allora mi chiedesse che cos’è la Corea del Nord, risponderei che è un Paese ad economia comunista, retto da una monarchia di tipo assolutistico che viene coadiuvata nel suo governare da un consiglio politico a cui partecipano i rappresentanti sia delle forze armate che di una classe nobiliare composta da apparatchik più o meno importati. Un caso unico nella storia umana.
Questa mia definizione della Corea del Nord non piacerà a certi suoi estimatori di stampo stalinista, qui in Occidente, ma sono convinto che sia più vicina alla realtà della semplice etichetta di “dittatura”.
Che cosa fa di solito la Corea del Nord della famiglia Kim? Resiste. Agli americani. La fine delle ostilità sul campo nel 1953 e la creazione della zona demilitarizzata al 38° parallelo non hanno portato alla fine della guerra ma alla sua sospensione a tempo indeterminato grazie alla più lunga tregua nella storia umana: 64 anni. Lo stato di guerra tra le due Coree (e tra la Corea del Nord e la coalizione occidentale che la aggredì) permane ancora adesso: tra le parti in causa vige un armistizio, non un trattato di pace. Tuttavia si può dire che Washington non abbia vinto la guerra di Corea mentre la Corea del Nord sì, almeno finché continua ad esistere come nazione sovrana.
La Corea del Nord ha patito sofferenze immani durante la guerra voluta dagli americani, in preda alla loro assurda teoria del domino: se un paese asiatico cade in mano ai comunisti, cadono anche tutti gli altri e ci ritroviamo i rossi in Australia. La quantità di bombe che gli americani scaricarono sulla Corea del Nord fu superiore a quella che sganciarono sull’intero teatro orientale della seconda guerra mondiale, per loro stessa ammissione e vanteria. Non risparmiarono nulla e come regalo di momentaneo addio sparsero anche il carbonchio al confine tra Corea del Nord e Cina, così da colpire gli armenti e affamare le popolazioni. Tuttavia Pyongyang resistette. Il popolo coreano resistette, grazie anche all’aiuto non trascurabile dell’Unione Sovietica e della Cina.
L’armistizio del 1953 non ha mai impedito a Washington di tenere due grandi esercitazioni militari assieme all’alleato sud-coreano: una nella prima metà dell’anno ed una nella seconda metà. Una quando si semina il riso ed una quando lo si raccoglie. La Corea del Nord deve quindi stornare forza lavoro per rafforzare le sue difese proprio nei periodi in cui l’agricoltura ha più bisogno di braccia e mani che lavorino.
Rivolgersi all’arma atomica è quindi la naturale conseguenza di un continuo stato d’assedio, in cui la guerra (convenzionale) potrebbe riprendere in qualsiasi momento.
D’altra parte, chi non è dotato di armi atomiche fa una brutta fine: lo hanno imparato a proprie spese Gheddafi, morto con un coltello infilato nel didietro, Saddam Hussein e, recentemente, la Siria degli Assad (che si è salvata per miracolo e solo per il momento).
La Corea del Nord è anche lo Stato cuscinetto che separa la Cina dalle basi americane nel Sud. Se cadesse, i cinesi si troverebbero i marines direttamente sul confine meridionale, con tutti gli annessi e connessi. Non credo sarebbe una situazione più piacevole dell’attuale.
E questo ci porta alla situazione odierna: ai test nucleari sotterranei e al lancio di missili sempre più potenti e precisi. Non si tratta di razzi di ultima generazione ma di progetti migliorati che risalgono agli anni ’60, di origine sovietica. Sembra però che nessun sistema di difesa americano riuscirebbe ad intercettare una testata nord-coreana in arrivo.
Da qui la pressione americana su Pechino, perché faccia rinsavire il Kim del momento. Solo che nessuno è pazzo nel governo della Corea del Nord. In effetti Pechino ha fatto qualcosa, tipo appoggiare le sanzioni internazionali, chiudere il ponte dell’Amicizia e sospendere alcune attività lavorative in Corea del Nord ma per il momento niente altro di davvero significativo. Circolano voci di una possibile invasione cinese della Corea del Nord, per mettere in sicurezza l’arsenale atomico di Pyongyang. È credibile? Per carità, tutto è possibile, anche le cose più assurde. Ma un’invasione cinese della Corea del Nord, seguita magari dall’uccisione di Kim Il-Un o anche solo dalla sua prigionia, diventerebbe de facto il tradimento di un alleato di lunga data. Un tradimento realizzato per compiacere un nemico esterno, gli Stati Uniti d’America, che non è famoso per mantenere la parola data. Come potrebbe giustificarsi la Cina con altri suoi alleati, magari proprio quelli dubbiosi che cerca di convincere in Africa? L’esercito nord-coreano rimarrebbe tutto a guardare, d’accordo con Pechino, o combatterebbe contro i cinesi, che vedrebbero per gli invasori che effettivamente sarebbero? Domanda non eludibile.
La televisione coreana ha mostrato i nuovi veicoli TEL a cinque o sei assi, per il trasporto dei razzi e il loro lancio. Si tratta di veicoli cinesi, costruiti su licenza nella Corea Democratica. È evidente che a Pechino tutti sapevano che i nord-coreani avrebbero impiegato quei veicoli per lo scopo per cui sono stati progettati. Analogamente, l’ultimo grande TEL a 9 assi, con cui è stato lanciato il primo vero missile intercontinentale di Pyongyang, è una evoluzione dei veicoli più piccoli. Ancora una volta, a Pechino nessuno sapeva o intuiva? Difficile crederlo.
Sia Mosca che Pechino hanno aderito alla moratoria sui test nucleari preferendo usare simulazioni al computer come fanno gli americani. Tuttavia non basta un super computer per questo genere di simulazioni: è necessario un continuo studio dei modelli di simulazione e un software continuamente aggiornato. Ma la Corea del Nord può offrire qualcosa di enorme valore a Mosca e Pechino: la telemetria delle sue esplosioni sotterranee. Cioè tutti i dati raccolti dai rivelatori di particelle e di radiazioni (neutroni, raggi alfa, raggi gamma), lo spettro termico dell’esplosione, i dati raccolti dai sismografi vicino al luogo dell’esplosione e chissà che altro. Tutti dati che sono utilissimi per migliorare il modello predittivo della degenerazione naturale dell’esplosivo nucleare e del comportamento di una bomba atomica o termonucleare a seconda delle sue dimensioni e potenza. Tutti dati che hanno un grande valore.
Penso quindi che siamo di fronte ad un gioco delle parti, tragico certamente, che però non offre reali alternative a chi vi è coinvolto.
La Cina non può rinunciare a cuor leggero alla Corea del Nord come Stato cuscinetto e la rimozione di Kim Yong-Un con la forza o l’inganno sarebbe gravida di conseguenze tutt’altro che positive per Pechino, per un tempo non facilmente quantificabile.
Anche Mosca ha tutto da perdere da una caduta della Corea del Nord: la potenza americana nella zona risulterebbe rafforzata e i detrattori della odierna politica russa, così orientata ad un mondo multipolare, vedrebbero confermate le loro simpatie atlantiche e Washington-centriche.
Un attacco militare americano contro la Corea del Nord porterebbe ad una guerra su vasta scala: il rischio di un reciproco scambio di colpi nucleari è troppo alto per non essere preso seriamente in considerazione. Voglio sperare che nessuno sia così scemo da credere che le nubi atomiche resterebbero confinate in Corea del Nord: al contrario, esse si spanderebbero su tutta la penisola coreana e contaminerebbero anche i Paesi circostanti. Se anche ciò non fosse (ma in realtà è proprio quello che accadrebbe) a pagare con la vita sarebbe tutto il popolo coreano: proprio quel popolo che si vorrebbe “liberare” e consegnare ad un futuro migliore. Non c’è libertà attraverso lo sterminio.
Oltre chiaramente ai danni commerciali a livello mondiale: la Corea del Sud produce una quantità enorme di beni che vende in tutto il mondo. La sua scomparsa repentina non passerebbe inosservata.
Soluzioni? L’unica sensata mi pare quella di non fare nulla di azzardato. Che in questo caso vuol dire non fare niente. Gli americani continueranno con l’ “opzione gorilla”: si batteranno il petto villoso gridando come scimmioni nella giunga ma solo proforma. Sanno bene che non esiste alcuna possibilità concreta di neutralizzare l’esercito nord-coreano senza che questo scateni un contrattacco poderoso che incendi tutta la regione. D’altra parte Pyongyang sa altrettanto bene che non può attaccare per prima: si limiterà alla deterrenza continuando a sviluppare i suoi armamenti missilistici e atomici.
Certo, se fossimo in un mondo normale, alla Cina sarebbe riconosciuto il suo ruolo di potenza ed il suo diritto ad uno sviluppo economico e politico non subordinato agli umori di Washington. È questo il problema di fondo. Ma come ho scritto: se fossimo. Chiaramente.
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Costantino Ceoldo – Pravda freelance