A chi avesse ancora qualche dubbio sulla distanza siderale che separa le urgenze concrete del nostro Paese e quelle dell’élite borghese progressista oggi al potere, suggerisco la lettura e l’analisi di due articoli apparsi di recente su la Repubblica. Il primo è un editoriale dello stesso direttore del quotidiano, Mario Calabresi, dal titolo Sei riforme da non tradire (31.V.2017). “Approvarle prima di andare alle urne”, si spiega nel sommario, “sarebbe un atto di sensibilità oltre che segno di civiltà”.
Tenuto conto della situazione in cui siamo, uno penserebbe che il direttore de la Repubblica si stia riferendo agli irrisolti problemi cruciali che pesano sulla vita quotidiana di ognuno di noi: dalla crisi economica da cui, salvo l’Italia, tutto gli altri stanno uscendo fino al peso del debito pubblico; dall’inefficienza della macchina amministrativa dello Stato alla sua strutturale incapacità di affrontare in modo efficace qualsiasi emergenza, si tratti dell’afflusso incontrollato di immigranti irregolari o della ricostruzione delle aree dell’Italia centrale danneggiate dai terremoti del 2016.
Nient’affatto. Agli occhi di questa élite – sulla cui vita quotidiana d’altra parte tutti questi problemi pesano ben poco – questioni del genere meritano solo un cenno, non più di qualche riga: “Andiamo di corsa verso le elezioni accelerate, senza mostrare troppa preoccupazione di mettere in sicurezza i conti del Paese. Chi vuole portarci alle urne all’inizio dell’autunno ha innanzitutto il dovere di approvare la legge di stabilità prima dello scioglimento delle Camere. (…)”.
Detto questo il direttore de la Repubblica passa ad altro, alle cose davvero importanti cui dedica tutto il resto del suo editoriale: “per essere decoroso questo finale di legislatura”, egli continua, “dovrebbe evitare di buttare all’aria i provvedimenti che attendono di essere varati da anni (…) soprattutto le leggi che riguardano i diritti dei cittadini, approvarle sarebbe un atto di sensibilità oltre che un segno di civiltà. Ne abbiamo individuate sei a cui manca il voto finale e da oggi le ricorderemo tutti i giorni, affinché lettori ed elettori possano valutare i comportamenti delle varie forze politiche che si preparano a chiedere il loro voto”.
Andando allora a vedere, con comprensibile ansia, di che cosa si tratti scopriamo che: “sono l’attesissima legge sul biotestamento; quella sulla cittadinanza, ferma al Senato dalla fine del 2015,(…); l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; l’approvazione del nuovo codice antimafia; la legalizzazione della cannabis e infine la riforma del processo penale che introduce soprattutto le nuove norme sulla prescrizione, per diminuire il rischio che indagini e processi vengano vanificati dalla lentezza dei tempi della giustizia penale”. ”Gettare il lavoro fatto fin qui è un delitto e tutti ne sarebbero responsabili”, conclude Calabresi.
Già lascia di sasso solo il sentir definire “attesissima” la legge sul biotestamento, oppure sentir spacciare ancora una volta per necessarie e urgenti delle modifiche della prescrizione che scaricano sulle spalle degli imputati il peso dell’inefficienza della macchina della giustizia penale, di cui la magistratura è il primo responsabile. E lo stesso tanto più vale per quanto concerne la legalizzazione dell’uso della cannabis, ossia di una droga, e così pure progetti all’apparenza nobili ma in effetti molto ambigui come l’introduzione del “reato di tortura” e il “codice antimafia”. Innovazioni controproducenti – buone solo come solenni spunti per convegni e marce per la legalità – che in fin dei conti servirebbero solo a rendere più difficile la lotta contro il terrorismo e la delinquenza organizzata.
Passa qualche giorno e il 4 giugno sulle colonne del medesimo quotidiano scende in campo nientemeno che il presidente del Senato, Piero Grasso, seconda carica dello Stato. Alla domanda della cronista de la Repubblica, che lo coglie circondato da “famiglie vogliose di selfie” mentre “si concede ai bambini sorridente”, Grasso assicura: “Sì, condivido l’elenco di Repubblica. Io stesso ne feci uno molto simile in un’intervista del gennaio scorso. Alle vostre sei leggi vorrei aggiungere anche quella contro l’omofobia”. Solo più avanti, una volta che sia chiaro che sta dalla parte giusta, si permette poi di dire in punta di piedi “Aggiungerei anche la riforma della giustizia civile, che è qui al Senato, fondamentale per attrarre maggiori investimenti stranieri”. Questa però è una cosina che viene dopo. Le riforme da non tradire, approvare le quali sarebbe “un segno di civiltà” sono altre. Il resto può attendere.
da radiospada.it
(Aggiungo un commento di Luigi Copertino)
Mario Calabresi è il figlio di Luigi Calabresi, il commissario ingiustamente accusato della morte dell’anarchico Pinelli ed assassinato da militanti di Lotta Continua dopo una infamante campagna di stampa che lo additava quale “torturatore di Stato”. Alla campagna diffamatoria contro Calabresi partecipò in prima fila il “premio Nobel” (ed ex SS italiana) Dario Fò che, non pago di piece teatrali che distorcevano la figura storica e spirituale di Francesco d’Assisi, per l’occasione mise su la sua rappresentazione “morte accidentale di un anarchico” nella quale il povero Calabresi veniva dipinto come colui che aveva letteralmente gettato giù dalla finestra del commissariato Pinelli e poi aveva coperto tutto con la motivazione ufficiale del suicidio. Le inchieste della magistratura discolparono completamente Luigi Calabresi ma la campagna pubblica di odio contro di lui non si placò, fino appunto all’assassino. Al momento della morte Calabresi lasciava moglie e due figli, uno dei quali era Mario. Luigi, il padre, era un cristiano, spiritualmente legato a padre Virgilio Rotondi, e per lui è stata anche proposta una causa di beatificazione. Non ha purtroppo avuto il tempo di educare i figli alla fede. Sua moglie si risposò con un tizio di altra formazione culturale e spirituale. Mario, dunque, fu allevato in modo diverso da come avrebbe voluto il padre. E, purtroppo, i frutti si vedono molto bene in questo articolo di Robi Ronza che esamina i contenuti dell’ultimo editoriale di Mario Calabresi, ora all’apice della sua carriera di giornalista dato che, dopo esserlo stato de La Stampa, è adesso direttore de La Repubblica. Ossia dei massimi quotidiani della “sinistra borghese”, quella dell’élite al servizio del capitale finanziario transnazionale ed apolide, che più di ogni altra lobby culturale ha fatto per la modifica antropologica degli italiani in senso radical-chic. Con lo scopo, chiamato “modernizzazione”, di aprire, popperianamente, la società italiana – troppo “bigotta”, troppo cattolica, persino troppo “old-comunista” – alla globalizzazione. Esattamente quanto, da un contrario punto di vista, lamentavano i pur differenti tra loro, per appartenenze culturali, Augusto del Noce e Pier Paolo Pasolini. Luigi Copertino.