di CdP Ricciotti. RadoSpada, 7 gennaio 2013
Dalla pagina 207 del testo: Joseph Aloisius Ratzinger. L’altra teologia del “papa emerito”
[…] Nel suo libro «Introduction of Christianity», anno 2004, pagina 326, J. Ratzinger scrive: «[…] Tale visione dimentica un decisivo aspetto della Cristianità, che è quindi ridotto per tutti gli scopi pratici a moralismo ed ha derubato della speranza e gioia che sono il vero respiro della sua vita. Forse dovrà essere ammesso che la tendenza a tale falso sviluppo, che solo vede i pericoli della responsabilità e non più la libertà dell’amore, è già presente nel Credo, in cui l’idea della seconda venuta di Cristo è ridotta, in ogni caso verbalmente, all’idea di giudizio: “Egli verrà ancora a giudicare i vivi e i morti”. Ovviamente, nei circoli che formavano la casa spirituale del Credo, la tradizione Cristiana originale era ancora molto viva; la frase circa il Giudizio Finale fu presa in auto-evidente congiunzione con il messaggio di misericordia».
Scusate se trattando di argomenti così tristi mi permetto talvolta di fare della satira, ma davvero sono portato a pensare che qui siamo davanti non solo ad un eresiarca ma anche ad un megalomane che avrebbe dovuto farsi curare. Dio mi perdoni se sto eccedendo nel giudizio.
Amiamoci tutti, dunque, non come vuole Dio ma come vuole J. Ratzinger, poiché ci sarebbe un «falso sviluppo [del Giudizio], che solo vede i pericoli della responsabilità e non più la libertà dell’amore». Ma cosa vuol dire amare? «[…] perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Giovanni 5,3).
Nel suo libro «Principles of Catholic Theology», alla pagina 381, J. Ratzinger sostiene: «Se è desiderabile offrire una diagnosi del testo per intero, potremmo dire che (in congiunzione con i testi sulla libertà religiosa e le religioni del mondo) è una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di controsillabo. Harnack, come sappiamo, ha interpretato il Sillabo di Pio IX come nulla più di una dichiarazione di guerra contro la sua generazione. Questo è corretto in quanto il Sillabo stabilì una linea di demarcazione contro le forze determinanti del diciannovesimo secolo: contro la visione scientifica e politica del mondo del liberalismo. Nello sforzo contro il modernismo questa duplice delimitazione fu ratificata e rinforzata. Da allora molte cose sono cambiate. La nuova politica ecclesiale di Pio XI ha prodotto una certa apertura verso la comprensione liberale dello stato (?????). In un silente ma persistente sforzo, l’esegesi e la storia della Chiesa hanno adottato più e più postulati di scienza liberale, e liberalismo, anche, fu obbligato a sottoporsi a molti significativi cambiamenti nel grande sconvolgimento politico del ventesimo secolo».
Secondo le interpretazioni di J. Ratzinger, Papa Pio XI sarebbe un liberale («la nuova politica ecclesiale di Pio XI ha prodotto una certa apertura verso la comprensione liberale dello stato») ed il Sillabo[1] di Papa Pio IX sarebbe invece «una dichiarazione di guerra contro la sua generazione». Qui è J. Ratzinger stesso che ammette, con favore, che i testi del “concilio” Vaticano II contraddicono la Tradizione. Altro che «rilettura alla luce della Tradizione». Un vero imbroglio!
Nel mio studio «Rileggere i Documenti del “concilio” alla luce della Tradizione»[2] scrivevo: In J. Ratzinger leggiamo: «Lettura all’interno della tradizione […]», «Lettura nel solco del magistero precedente […]». Mi domandavo: ma perché tutta questa necessità di dover leggere il “concilio” alla luce della Tradizione? Perché con tutti i Concilii precedenti non c’era questa necessità? Perché i Concilii precedenti servivano proprio per riportare con chiarezza le questioni (sollevate eventualmente dagli eretici) nel solco della Tradizione, invece in questo caso è il contrario, cioè è il “concilio” ad aver bisogno di un “aiutino” per essere “riportato nei gangheri”?
Perché la “Chiesa che parla” è sempre stata la guida per preservare i “lettori” nella Tradizione, invece in questo caso sarebbe la “chiesa” che parla a dover essere riportata nella tradizione da chi legge? Dal “pincopallino” qualsiasi che legge, sia esso teologo, idraulico, medico, presule o frate, ecc …? “Chi ascolta voi ascolta me” e, come dicono Pio IX, Leone XIII, etc., queste parole vanno intese anche per il Magistero ordinario, e lo abbiamo ampiamente studiato/dimostrato.
Ora, perché fino a 50 anni fa era Cristo che, parlando (per mezzo della Chiesa), guidava le anime nel solco della Tradizione, mentre invece adesso sarebbe Cristo ad avere bisogno di essere riportato nel solco della Tradizione dal lettore qualunque? Perché prima era Pietro che guidava le pecorelle nel pascolo tradizionale, per non farle uscire fuori, per non farle precipitare nel burrone, mentre ora sarebbero le pecorelle a dover guidare Pietro (leggendo i suoi “documenti”) nel pascolo della Tradizione, per non farlo sconfinare?
Ma allora mi domando: il problema è di chi legge o è del testo? Il testo è cattolico? Allora che bisogno c’è di questo grande e continuo richiamo alla necessità di leggerlo nella Tradizione (Tradizione che peraltro J. Ratzinger ha anche condannato – così come abbiamo precedentemente letto nei suoi libri). Anzi! Sarebbe il testo stesso a ricondurre i lettori in essa, come infatti accadeva per tutti i testi di tutti i Concilii precedenti, evidentemente di fede cattolica. Fede cattolica che altrettanto evidentemente, parimenti, manca ai testi del “concilio” Vaticano II. Pio VI in Auctorem Fidei ci insegna: «Se questa involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il cui primo merito deve consistere nell’adottare nell’insegnamento un’espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al pericolo di contrasti».
E di quale viziosa, involuta e fallace maniera di dissertare sta parlando qui Papa Pio VI? Di quella degli eretici ovviamente: «[…] l’arte maliziosa propria degli innovatori, i quali, temendo di offendere le orecchie dei cattolici, si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l’errore, nascosto fra senso e senso (San Leone M., Lettera 129 dell’edizione Baller), s’insinui negli animi più facilmente e avvenga che – alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima aggiunta o variante – la testimonianza che doveva portare la salute, a seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte […] Però se nel parlare si sbaglia, non si può ammettere quella subdola difesa che si è soliti addurre e per la quale, allorché sia stata pronunciata qualche espressione troppo dura, si trova la medesima spiegata più chiaramente altrove, o anche corretta, quasi che questa sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore, non dovesse valere piuttosto per denunciare l’errore anziché per giustificarlo: come se alle persone particolarmente impreparate ad affrontare casualmente questa o quella parte di un Sinodo esposto a tutti in lingua volgare fossero sempre presenti gli altri passi da contrapporre, e che nel confrontarli ognuno disponesse di tale preparazione da ricondurli, da solo, a tal punto da evitare qualsiasi pericolo d’inganno che costoro spargono erroneamente. È dannosissima quest’abilità d’insinuare l’errore che il Nostro Predecessore Celestino (San Celestino, Lettera 13, n. 2, presso il Coust) scoperse nelle lettere del vescovo Nestorio di Costantinopoli e condannò con durissimo richiamo. L’impostore, scoperto, richiamato e raggiunto per tali lettere, con il suo incoerente multiloquio avvolgeva d’oscuro il vero e, di nuovo confondendo l’una e l’altra cosa, confessava quello che aveva negato o si sforzava di negare quello che aveva confessato».
Ricordiamoci quello che abbiamo pocanzi letto in J. Ratzinger: «Se è desiderabile offrire una diagnosi del testo [del documento Gaudium et Spes del Vaticano II] per intero, noi possiamo dire che (insieme con i testi sulla libertà religiosa e le religioni del mondo) è una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro sillabo […]».
Assolutamente non è mia intenzione, in questo capitolo, andare oltre i brevissimi cenni. Riferirò in maniera assolutamente schematica delle conclusioni tratte da numerosi teologi e prelati. Essi dicono: – Dignitatis Humanae (comanda che l’uomo ha diritto alla libertà religiosa privatamente e in pubblico sia da solo sia associato ad altri e rompe con il Magistero); – Nostra Aetate (inventa una falsa dottrina sulle “false religioni” e rompe con il Magistero); – Lumen Gentium (inventa la collegialità mai esistita ed esplicitamente condannata e rompe con il Magistero); – Gaudium et Spes (modifica la Fede dal culto di Dio al “culto dell’uomo” e rompe con il Magistero); – Dei Verbum (fa convergere la Tradizione e il Magistero nella sola Scrittura e rompe con il Magistero); – Unitatis Redintegratio (comanda alla Chiesa la pratica del falso ecumenismo pancristiano e rompe con il Magistero); – Codex Juris Canonici del 1983 (contiene degli ordini dati al clero che, se li si esegue, ci si trova in peccato mortale (v. comunione ai non-cattolici reprobi in alcune situazioni); – Novus Ordo Missae (rito studiato e scritto con i pastori protestanti in visione falso ecumenica – altera l’Offertorio, esclude il Sacrificio e modifica il racconto dell’Istituzione) [Leggasi Breve esame critico al Novus Ordo Missae].
Questi sono tutti frutti della primavera ‘conciliare’.
di CdP Ricciotti. Altri articoli su Ratzinger qui.
Dalla pagina 207 del testo: Joseph Aloisius Ratzinger. L’altra teologia del “papa emerito”
Il libro su J. Ratzinger (C. Di Pietro) acquisito da Harvard University, Yale e NY Library
[1] Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (in italiano Elenco contenente i principali errori del nostro tempo, chiamato per antonomasia Sillabo) è un elenco di ottanta proposizioni che Papa Pio IX pubblicò insieme all’Enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre 1864. Volendo difendere l’OGGETTO MATERIALE DELLA FEDE dalle eresie e dalle pretese del tempo, eresie e pretese che oggigiorno sono solo aumentate e non diminuite, il Sillabo non può essere considerato un documento “a scadenza”, come vorrebbe J. Ratzinger, ma ha tutta la sua attualità.