di Luigi Copertino
Questa è una importante riflessione di un amico cattolico “liberal-conservatore”, a proposito del tema ecologico affrontato dall’ultima enciclica di Papa Bergoglio. Con questo amico ho spesso confronti, in amicizia, sui temi più controversi del rapporto tra cattolicesimo e cultura liberale, un rapporto circa il quale evidentemente le nostre posizioni divergono, anche se da parte mia riconosco a questo amico un sostanziale “moderatismo” rispetto al radicalismo di tanti liberisti e neocons.
L’articolo qui sotto è degno di ogni considerazione per una serie di ragioni:
1) evidenzia la differenza invalicabile tra l’ecologismo neopagano ed i fondamenti di una concezione cristiana del rapporto con il creato (tuttavia Agostino, ottimamente citato nell’articolo, deve essere integrato con Francesco d’Assisi, il quale se da un lato, nel suo Cantico delle creature, polemizzava implicitamente con gli gnostici del suo tempo, ossia i catari, dall’altro lodava il Verbo/Principio dal Quale tutte le creature sono ontologicamente partecipate);
2) l’articolo evidenzia che esistono due forme di gnosi: una di tipo panteista ossia tendente alla divinizzazione olistica della natura, l’altra nichilista ossia de-creazionista, ovvero tendente a svalutare come male il creato (e tra le due forme, l’amico in questione lo sottende senza dirlo, vi sono strette interconnessioni). Aggiungerei, da parte mia, che l’ecologismo neopagano attinge alla prima forma, lo scientismo tecnocratico e devastatore alla seconda;
3) l’articolo ricostruisce molto bene le radici filosofiche dell’ecologismo neopagano, che altro non fa che riproporre antichi culti tellurici.
Detto questo alcune osservazioni critiche:
1) l’autore guarda troppo al passato quando parla di forme politiche moderne della gnosi, in sostanza tutto puntando sul solo marxismo (per “gnosi”, qui, lo scrivente, e credo anche l’autore, intende tutte quelle posizioni “teologiche”, filosofiche, culturali e politiche, che mirano all’auto-deificazione dell’uomo o in forma di assolutizzazione prometeica dell’umanità o in forma di dissolvimento dello specifico umano nel tutto panteista). Ho fatto presente all’autore, più volte, che ad un approfondito esame il marxismo non può darsi senza prioritariamente il liberalismo, sia nella sua versione contrattualista anglosassone sia in quella idealistica tedesca. Sicché bisognerebbe, in questa nostra epoca postmoderna nella quale il (neo)liberismo si è imposto come “superamento per inveramento del marxismo” (Augusto Del Noce), indagare sul carattere “gnostico” del liberalismo stesso, sin dalle sue origini (Voegelin, qui, deve essere integrato in una chiave non più dipendente dalla filosofia conservatrice alla Burke ed alla Kirk);
2) Se le chiese sono oggi vuote in Occidente forse, più che nel marxismo (che, per certi versi, porta all’estremo posizioni liberali e su questo filone hanno prosperato gli anarco-liberisti che si dichiarano apertamente “marxiani”), le cause dovrebbero cercarsi anche e principalmente nel liberalismo che – nonostante i molteplici tentativi di parte cristiana di richiamarne i fondamenti teologici ma sul presupposto che la libertà non può darsi senza Verità rivelata – nasce proprio nella rivendicazione antropocentrica della libertà umana senza alcuna Verità rivelata: e da tale antropocentrismo, non più teo-andrico, deriva anche l’approccio strumentale ed utilitario dell’Occidente moderno nei confronti del creato;
3) Penso che sia inesatto definire l’enciclica di Papa Bergoglio un guazzabuglio eco-terzomondista (giudizio che risente di una troppo debole considerazione, tipica del conservatorismo, dell'”anticristicità” dell’Occidente primo-mondista). In essa è ribadito il primato dell’uomo nel creato ma in dipendenza del Creatore, quindi secondo un approccio teoandrocentrico che è esattamente il contrario dell’ecologismo neopagano e dell’antropocentrismo liberale (anzi che l’antropocentrismo tautologico liberale, ossia l’uomo per primo in quanto uomo, e non in quanto Imago Dei, finisca nella dissoluzione dell’uomo nel panteismo naturalistico è in fondo conseguenziale con le premesse: non vedo contraddizione ma coerente sviluppo dello stesso principio di immanenza senza trascendenza);
4) quanto detto al punto 3, trova conferma nel richiamarsi del Papa alla rivelazione contenuta, per immagini, nel racconto del Genesi (Papa Bergoglio muove dall’interno della Rivelazione, il suo sforzo è quello di leggere i problemi dell’ecologia alla luce della Rivelazione, nulla chiedendo in prestito ad ideologie ad Essa estranee). Esiste un rapporto tra uomo e natura fondato nell’accettazione da parte umana della partecipazione ontologica ovvero nel riconoscimento, da parte dell’uomo, del suo statuto creaturale. Fino a quando l’uomo si riconosce creatura, eletta e privilegiata ma creatura, Dio “passeggia con lui nel Giardino” ossia Dio alberga ed agisce “nel giardino del cuore umano” e la stessa natura, ovvero il Giardino dell’Eden, la terra, gli è docilmente sottomessa sicché lui, l’uomo, lo “coltiva”, può “coltivarlo”. Come sottolineava Attilio Mordini, bisogna saper cogliere lo stretto nesso, biblicamente ma anche etimologicamente, sussistente tra il “coltivare”, la “cultura” ed il “culto a Dio”. Nel Genesi non si parla solo del coltivare inteso come lavoro umano ma innanzitutto come contemplazione di cui il lavoro è poi espressione ed infatti anche il lavoro, fino a quando l’armonia è intatta, non presenta carattere di sofferenza ma di realizzazione spirituale. Ma nel momento in cui l’armonia è persa, a causa della pretesa umana di auto-deificazione (“eritis sicut Dei”, così suona la perenne tentazione ofidica, che non a caso ritorna anche nell’ideologia tecnocratica e scientista e non solo, in questo caso in termini di dissolvimento panteista, nell’ecologismo neopagano), la stessa natura, prima docile, diventa ostile: “maledetto sia il suolo per causa tua!” (Gen 3, 17). Ed il lavoro umano diventa “fatica”, “sudore della fronte” per sopravvivere. La terra non si salva da sé, verissimo, ma biblicamente il suo destino è segnato da quello dell’uomo e quindi essa si salva se si salva l’uomo, se l’uomo non infrange l’armonia con il Creatore. Essa non deve essere “sconquassata” ma – appunto – “coltivata”. Nel creato, in ogni creatura, è posto un “segno” del Creatore, nell’uomo, poi, è posto il massimo segno ossia l’Iconicità di Dio. Lo afferma l’evangelista Giovanni, nell’incipit del suo Vangelo, “In principio era il Verbo” … tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv. 1,1-3), lo ribadisce san Paolo nell’Inno cristologico in Colossesi 1,15-17 (“Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose … tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui”), lo conferma Francesco d’Assisi quando del sole canta “Di Te, Altissimo, porta significatione”. Questo non è panteismo ma lode del Verbo di Dio, Principio e Creatore di tutte le cose e quindi “informatore”, nel senso di Colui che da forma e pertanto imprime sulle e nelle cose un segno di Sé. L’Eden, la terra, è un giardino ossia il risultato di un’opera ordinatrice dell’uomo ad immagine dell’Opus creatore ed ordinatore di Dio. L’uomo è, in tal senso, “custode dell’Eden”, “giardiniere”, nella misura in cui resta in Dio, altrimenti si trasforma nel devastatore, nello “sconquassatore”, ovvero nell’uomo niccianamente faustiano e nichilisticamente prometeico che proprio in Occidente, in nome della tecnica, delle ideologie totalitarie ma anche e soprattutto in nome dell’“imperialismo internazionale del denaro” (Pio XI), ha trovato la sua espressione storica più compiutamente “luciferina”. Dimenticare questo porta ad un approccio incapace di interpretare adeguatamente il percorso storico dell’Occidente, attraverso il totalitarismo, lo scientismo tecnocratico fino al suo esito neoliberista, che è, appunto, una sequela di scimmiottature filosofiche, culturali, politiche, economiche, comunque intra-mondane, di Dio;
5) Non considerare adeguatamente anche il pericolo tecnocratico per concentrarsi solo su quello neopagano, fa rischiare un approccio strabico e non “cattolico” ossia non fondato sull’et et. So bene che questo è il rischio di qualunque cristiano che è sempre portato ad accentuare un aspetto piuttosto che l’altro, a seconda delle proprie preferenze culturali, ma è esattamente questo che bisogna sforzarsi di evitare. Il cristiano deve camminare “dritto” cercando di non deragliare da un lato o dall’altro, per quanto, è evidente, a seconda delle epoche e circostanze possa essere necessario porre l’accento più su un pericolo che su un altro. Ma lo si deve fare senza dimenticare la “complexio”.
(Chiudo dicendomi sempre più meravigliato di trovarmi ogni volta a dover difendere papa Bergoglio, che in fondo non mi è nemmeno tanto simpatico)
Luigi Copertino