(Immediata e furente la replica di Danilo Fabbroni al testo pasoliniano del 1974….)
La regressione suicidaria dell’illuminismo. Pasolini, dall’ateismo alla ‘religio mortis’. Modernità di un antimoderno. La lettura delnociana di Pasolini.
di Gianni Collu, 1980
La qualità di un filosofo dipende dall’attitudine a raccogliere e rielaborare [spezzoni] che appartengono a un orizzonte diverso dal suo.
La grandezza di Tommaso d’Aquino, per addurre l’esempio ovvio, sta nell’aver egli integrato ed elevato alla dottrina dell’atto d’essere, concetti platonici e aristotelici (la partecipazione, il dualismo potenza-atto), che, nei testi dei genî greci, alludevano, oscuramente e non senza ambiguità al ‘divino’ e alla formazione del mondo. ‘Divino’ Platone e sommo Aristotile, ma diversa, nuova e più alta la sintesi tomista.
Senza far sconfinare la stima e l’amicizia nell’adulazione postuma, è lecito paragonare il metodo delnociano a quello tomista. Del Noce, infatti, fu geniale nell’appropriazione di concetti esposti da autori non cristiani, concetti che egli plasmava e adattava al senso cristiano, talora in chiave ‘architettonica’, più di frequente in chiave di sottile polemica.
Egli non era solo un grande storico della filosofia ma filosofo e filosofo dotato di una straordinaria efficacia nella rielaborazione di idee radicate in un contesto estraneo alla sua fede. L’autentico filosofo (e Del Noce lo era) non si limita a recensire fedelmente dottrine altrui ma rettifica e ristruttura il pensiero degli altri e così lo adatta a nuove e diverse esigenze.
Ora la modernità cristiana dell’antimoderno Del Noce consiste specialmente nell’aver confutato il pensiero ateo utilizzando ironicamente le sue espressioni estreme e ‘suicide’. L’acutezza di Del Noce ha scoperto i semi dell’auto-confutazione nell’opera di autori che egli contrastava: Cartesio, Croce, Gramsci e Gentile. E ha dimostrato che il loro involontario ‘suicidio’ è un valido preambolo alla riscoperta del tomismo essenziale. Non l’infedeltà a San Tommaso, come affermano alcuni lettori superficiali e neppure la retrocessione della cultura cattolica al XIII secolo ma il contrario: Del Noce progettava l’edificazione di un ponte moderno per la filosofia cattolica.
La valutazione del metodo delnociano si estende anche all’approccio dell’opera ‘corsara’ di Pasolini. Il Pasolini ambiguo, ‘religioso’ e ‘tradizionale‘ degli scritti pubblicati su “Il Corriere della Sera“, scritti nei quali l’illuminismo porta impressa la forma postmoderna e conclusiva della dissoluzione. Ritenere che Del Noce abbia approvato il pensiero pasoliniano, che è religioso e tradizionale ma ferocemente anticristiano, equivarrebbe a fraintendere e ridicolizzare il procedimento ironico e paradossale di un grande della filosofia contemporanea.
L’interpretazione delnociana dei testi ‘corsari’ di Pasolini e lo sporadico impiego di vagante ‘materiale di recupero’ è altro da accoglienza di un pensiero che sta interamente nel campo della sovversione anticristiana. Ne significa, infatti, la confutazione mediante lo svelamento e la sottolineatura del suo catastrofico esito.
Anche nella nostra ‘area’ uno studioso di grande valore, Adalberto Baldoni, ha portato a termine un eccellente lavoro di ‘recupero’ di stralci pasoliniani, astratti da un contesto ferocemente antifascista. E tuttavia nessuno, nella nostra area, sostiene che Pasolini è un autore o un quasi profeta.
È dunque sconcertante che l’ingenua accoglienza della produzione pasoliniana da parte degli intellettuali che militano nel campo cristiano o in quello dell’onesta filosofia. La dietrologia è sempre fuori luogo, ma in questo caso non possiamo tacere che, a ‘monte’ dell’equivoco su Del Noce ‘garante’ del pasolinismo, ci sembra di vedere se non un architetto un suggeritore sprovvisto di bussola. I
l ‘suggeritore’ nascosto che ha messo in piedi l’edificio per il culto pasoliniano – ‘lucciole per lanterne’ e loculo a due piazze – rammenta l’architetto irresponsabile che ha progettato l’obliquo edificio della scolastica nominalista ed essenzialista. Se l’aristotelismo integrale del XIV secolo e il platonismo ‘puro’ del XV hanno prodotto confusione e rovine durature, è facile immaginare quali conseguenze potrebbe avere una massiccia infatuazione per Pasolini. È obbligo cristiano sospendere il giudizio ‘ultimo’ sulle persone. La misericordia cui siamo tenuti non può, tuttavia, rovesciarsi nell’irenismo e nella melensa complicità, non può tacere il fatto che la sregolatezza di Pasolini fu signficazione compiuta di un’ideologia in disfacimento, ossia del teorema illuministico nella fase di approdo del ‘cupio dissolvi’.
La vita e l’opera di Pasolini costituiscono un ‘unicum’ che si comprende soltanto quale esito coerente dell’illuminismo. La polemica ‘corsara’ rivolta alle retrovie illuministe (Italo Calvino) pone in evidenza l’ulteriorità del libertino religioso e convulsionario.
Pasolini uomo-pensatore-poeta supera, nella direzione dionisiaca-shivaitica, il capovoltismo sadiano. È il ‘passo’ ultimo del rituale settecentesco, della ‘classica’ celebrazione della natura. È l’essenza dell’illuminismo è naturalistica e ‘religiosa’ come era ‘religiosa’ la pratica della ‘Venere bestiale‘ presso i ‘buoni’ selvaggi. Ci sono luoghi in cui la pietà vive quand’è morta. Nella sua ‘totalità’ l’opera pasoliniana è uno di questi ‘luoghi’. Sia chiaro: tale opera non rappresenta il disperato tentativo di innocentare l’omosessualità ma propone l’uso ‘rituale’ e brutale del vizio. Un rituale che mescola la più molle lussuria alla più dura ferocia (Quid enim mollius quam illa luxuria? Quid durius quam ista crudelitas?, Sant’Agostino, Sermo 391,4).
Il pensiero pasoliniano non ha parentele con l’irenismo dei nuovi teologi, che sferrano attacchi furiosi contro San Paolo alfine di riabilitare le tendenze omosessuali irresistibili. I sodomiti che escono dall’anonimato e pubblicano gli indirizzi dei loro ritrovi su riviste teologiche torinesi sono rigurgiti di avanspettacolo. La sodomia di Pasolini è tragica e ‘sacra’: appartiene al ‘tempio’, al fanum arcaico.
In Pasolini non emerge la debolezza naturale alla carne, ma la truce frenesia dell’iniziazione alla magia nera. Niente incoraggia l’indulgenza che l’antropologia (la quale ai ‘nuovi’ teologi si rivela sul lettino dello psicoanalista) e che si applica agli omosessuali ‘strutturali’. Nessun segno di debolezza e di effeminatezza. Al contrario: la costruzione (in palestra) e l’esibizione (negli umidi e nascosti ‘ritrovi’) di una gagliardia atletica e guerriera.
Tra il pasolinismo e l’amore, poi, corre un’abissale distanza. Nell’amore secondo natura si esprime un’ammirevole tendenza oblativa, mentre nella sodomia (ma sarebbe più esatto dire parafilia) si accende il morbo-narcisista, che nell’altro cerca il se stesso mancato. Una negazione autistica e distruttiva, tanto è vero che l’atto sodomitico si conclude e si perfeziona mediante l’atto onanistico, ripetuto e ritualizzato fino all’estenuazione.
È triste, doloroso spingere lo sguardo nel torbido, ma sono le biografie pasoliniane scritte dai suoi amici a sottolineare la furiosità della ‘performance’ omofile e onanistiche del poeta friuliano. Il discorso si fa più serio quando si passa all’analisi (qui necessariamente sommaria) delle fonti spirituali della ‘sacralità’ che Pasolini celebrò fino allo sconvolgente epilogo di Ostia. Giuseppe Zigania, che fu amico di Pasolini fin dal 1946 e che, dopo la sua morte, studiò a fondo tutti i documenti che lo riguardavano, è autore di una biografia ‘spirituale’ – Pasolini e la morte – dove, fin dal sottotitolo – Mito, alchimia e semantica nel nulla lucente – appariscono fonti inquinate dal ‘sacro’ nichilismo. Zigania afferma e dimostra esibendo una mole ingente di testi, che, per Pasolini ‘l’incontro con Eliade (che lo costringe a rileggere Jung) e il mondo arcaico dei miti diventa esplosivo. È il rapporto Eliade-Jung (cioè il contagio, si è tentati di dire), tra passato e presente, tra le società tradizionaali e il mondo moderno, emblematicamente tra processo alchimistico e processo psichico, che incendia il cervello ‘scoperchiato’ di Pasolini (cfr. Zigania). Ora il pensiero junghiano è strictu sensu ‘scoperchiatore’ di cervelli. In esso tutto si riduce alla combinazione di gnosticismo e orgiasmo tantrico. L’opera di Jung indica il sentiero ‘terapeutico’ della follia. Sentiero sul quale Jung pose la fondatrice della sua scuola in Italia: una povera schizofrenica. Quanto ad Eliade è appena il caso di rammentare, che nell’esercizio della sua professione di storico delle religioni, non ha fatto altro che incoraggiare la ‘tradizione’ regressiva, il ‘grande ritorno’ alla madre tenera e feroce. Giambattista Vico (un autore che ha strenuamente combattuto il naturalismo albeggiante e che Del Noce ha ampiamente utilizzato) ha chiarito il significato autentico della cosidetta ‘sapientia antiquissima‘ che fu ammirata dai maestri di Pasolini: l’ossessione autodistruttiva, ‘gestita’ sullo sfondo di una bestialità sensualità. È la linea pasoliniana, il ‘tradizionalismo’ anticristiano: concepire l’esistenza come ‘destino d’oro costruito su Eros e su Thanatos;[1] cfr. Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa.
Data la lucida formulazione di un programma rosacruciano, non stupisce il fatto che Pasolini abbia realmente costruito la propria esistenza come si monta un film alla moviola. Un film dionisiaco, una sinistra parodia del Calvario, parodia culminante nella spaventosa sequenza di Ostia, epilogo annunciato e cercato di una storia intonata alla mortualità: ‘solo grazie alla morte la nostra vita ci serve per esprimerci; cfr. Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico. Zigania afferma che Pasolini presagiva e desiderava ardentemente la morte e ‘quella’ morte rituale e cita un testo pasoliniano che descrive (anche nei dettagli) lo sconvolgente finale. È un’ipotesi estrema ma credibile: Pasolini autore del ‘film’ della propria dissoluzione.
È serio pensare che Del Noce ignorasse gli aspetti tenebrosi di Pasolini ‘iniziato’? Ed allora: dove trova fondamento la favola di Del Noce estimatore di Pasolini? Nell’oblio dell’avversione di Del Noce per il libertino ‘naufragio nel mare dolcissimo delle passioni’? Per brevità sciogliamo i lacci dell’assurdo e ammettiamo che Del Noce fosse ignorante dei significati ‘profondi’ dell’opera di Jung, di Eliade e di Pasolini. Ma neppure l’assurdo può concedere che ignorasse i contenuti dei scritti ‘corsari’, dal momento che li ha citati più volte. Ora è vero che nei testi corsari ricorre l’apologia della civiltà contadina e la condanna del totalitarismo tecnicistico e consumistico, colpevole dell’appiattimento del popolo italiano. È indubbio che questi spezzoni di argomenti ‘nostri’ sono utilizzabili e che Del Noce è ricorso ad essi per dar forza alle proprie tesi.
Operazione legittima, se ci si limita ai frammenti e usati polemicamente, come fece Del Noce. Ma sarebbe follia prendere sul serio il discorso in cui si trovano e l’apologia dell’Italia pre-industriale e la condanna dell’omologazione americana.
Pasolini, infatti, anticipa i giudizi fondamentali del mondialismo ultimo e assimila cultura cattolica e cultura tecnocratica. Egli, in questo, è autentico anticipatore, ma anticipatore conformista (le pagine del “Corriere” non sono aperte ai navigatori controcorrente…) di tesi incubate dal ‘Club di Roma’ e dalla ‘Trilateral’: la reazione, l’oscurantismo è lo spirito tecnico di cui è erede la Chiesa Cattolica. (Quindi ‘moderno’ è l’ecologismo e il neo-malthusianesimo). Le assonanze e le fruibili invettive sono sporadiche e da prendere con le molle. Il vero Pasolini ‘corsaro’ è, nella sostanza, più americano di Kissinger. È vero che egli afferma di amare la Chiesa che diventerà inutile al potere. Ma cosa è la Chiesa per lui? Ecco il punto: ‘la storia della Chiesa è una storia di potere e di delitti di potere: ma, quel che è ancora peggio è, almeno per quanto riguarda gli ultimi secoli, una storia di ignoranza […] è su di essa che si è modellata l’ignoranza qualunquistica della borghesia italiana’. I documenti della gerarchia cattolica costituiscono ‘un enorme corpus di documenti che dimostrano l’arbitrarietà spiritualistica e formalistica da una parte e dall’altra, il tetro ‘praticismo’ (che rasenta addirittura forme di fanatico behaviorismo) con cui la Chiesa guarda le cose del mondo’; Pier Paolo Pasolini, Nuove prospettive storiche in Scritti Corsari, 6 ottobre 1974.
Significa questo che la Chiesa deve purificarsi dalle contaminazioni modernistiche? I preti della Chiesa che Pasolini amerà ‘non potranno che esseri uomini colti, formatisi in un mondo […] che si fonda sui grandi testi della cultura moderna’, ibidem. Il behaviorismo, forma radicale, pragmatica del naturalismo, non è forse moderno? Quali sono i grandi testi della cultura moderna? Evidentemente quelli che celebrano il rifiuto del ‘praticismo’, cioè la tendenza cattolica a lottare per un mondo migliore. Il ‘progetto Scalfari’, diremmo oggi in sintonia con Del Noce. Il contrario del programma di Comunione e Liberazione, che vuole i cristiani attivi nella lotta per la vita e la dignità dei popoli. Vita che Pasolini giudicava ‘sacra’ solo per ironia, come chiarisce in una famosa replica a Calvino; cfr. Cuore in Scritti Corsari, 1975.
La vita, per Pasolini non era sacra ma pericolosa. Un attentato al ‘nulla lucente’. Egli non a caso parla di ‘tragedia demografica’ e ne parla in un ‘orizzonte ecologico’ dove si staglia il suo ‘sacro’. Un sacro antifascista, ché la confessione pasoliniana inizia con un furibondo attacco al codice Rocco e finisce nell’esaltazione ecologica della sodomia: ‘[…] è il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo peer la specie. Mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza’, op. cit. Sorvoliamo sulla sicurezza del rapporto omosessuale: nel 1975 l’AIDS era un male sconosciuto. È però evidente che Pasolini esaltava la sodomia come strumento del nichilismo malthusiano. Il ‘popolarismo’ di Pasolini gronda sudiciume.
Pasolini amava gli umili come si può amare una merce. Non si limitava a condannare lo sviluppo (fascista e clerico-fascista), la tendenza a migliorare le condizioni di vita della povera gente ma spingeva il suo pseudo-tradizionalismo fino al rimpianto sulla mutazione antropologica che il benessere causava nelle borgate: ‘era un mondo degradato e atroce, ma conservava un suo codice di vita e di lingua al quale nulla si è sostituito’, intervista a “La Stampa’, il primo gennaio del 1975.
Il fascismo infine. Per lui era solo ‘merda’ (elegante definizione, che si legge sempre nel sopra citato Cuore). Pasolini non rimpiangeva il carattere fascista (‘omologato’) ma la merda, per lui oggetto di culto feticistico e occasione poetica (pensiamo al film Salò). È indubbia la possibilità di ritagliare frasi ‘corsare’ utili nella polemica contro il delirante antifascismo degli anni di piombo. Purché una mano regga le forbici e l’altra tenga turate le narici. Pasolini aveva fiutato il vento della storia, spirante in direzione di un ecologismo malthusiano e pederastico. Aveva anticipato una moda interpretando le suggestioni dei vertici mondialisti. E aveva mescolato le sue carte in modo da ottenere consensi in ogni campo. Un consenso giustificabile quando si tratta di ritagli. E solo di ritagli: nella sua globalità l’opera pasoliniana appartiene alla fogna.