“Dobbiamo essere chiari. Più di 750.000 posti di lavoro in Germania dipendono dalle esportazioni verso la Gran Bretagna. Le catene di produzione e approvvigionamento just-in-time sono a rischio “: così Eric Schweitzer, capo delle Camere di commercio e industria tedesche (DIHK), ha avvertito che “la Brexit minaccia enormi conseguenze per l’economia tedesca”. “Abbiamo solo tre mesi e nessuno dovrebbe scherzare. Senza un accordo non c’è fase di transizione, di cui le nostre aziende hanno fortemente bisogno “: così Dieter Kempf, presidente della Federazione dell’industria tedesca (BDI). L’indice IFO sul senimento degli esportatori tedeschi è precipitato. “Sono assaliti dal timore di un Brexit duro”, diagnostica l’IFO. Che è il potente istituto-consigliere della Cancelliera, quello presieduto de Clemens Fuest, che da mesi minaccia l’Italia: “La pazienza di Berlino è finita”.
Mettiamoli sotto la categoria “Risvegli”, titolo come si sa di un celebre esperimento psichiatrico. Come spiega Evans-Pritchard in uno dei suoi magistrali articoli sul Telegraph, sul Brexit le lobby industriali germaniche hanno guardato con degnazione: poveri inglesi, danno spettacolo di autolesionismo economico… ed hanno lasciato che la Commissione UE ponesse in atto il processo che mira a punire, ed umiliare, Londra per ammaestrare tutti gli altri di quanto sia costoso e pericoloso uscire dalla loro gabbia. Ciò che la dirigenza tedesca – così tanto lungimirante – non immaginava era che il parlamento britannico potesse bloccare l’accordo di ritiro che Juncker (meglio, il suo badante Selmayr, uomo-Merkel) avevano fatto ingoiare alla MaY, umiliandola e trattandola da serva.
Ricordiamo cosa i dèspoti hanno fatto ingoiare alla May: pagamento di 39 miliardi di sterline alla Kommissione, per avere in cambio il privilegio di dover accettare tutte le nuove direttive UE per due anni, non avendo più su di esse né voce in capitolo né diritto di veto. In più, gli “strappano” l’Irlanda del Nord (parole di Selmayr) che resta nella UE. In più, il derelitto Regno Unito, ridotto a stato-paria, avrebbe dovuto rinegoziare un nuovo accordo di commercio con ciascuno dei 27 stati della UE, compresi ovviamente i baltici, Slovenia e Croazia: “un incubo negoziale”, dice Evans Pritchard, “alla fine del quale il Regno Unito probabilmente finirà per dover accettare l’intero mercato unico per le merci e l’unione doganale, la libertà di circolazione, le quote di pesca e l’intero testo della Corte europea, al fine di ottenere qualsiasi accordo commerciale”.
Ciò che questi alti spiriti democratici non si aspettavano, era la solita irruzione della democrazia parlamentare. Adesso, senza accordo, Londra si avvia all’Hard Brexit. E la dirigenza tedesca scopre che il Brexit duro danneggia la Germania anche più della Gran Bretagna. S’è accorta, per fare un esempio, che il Regno Unito “con 750 mila veicoli l’anno, è il più grande mercato delle auto tedesche, più grande degli Stati Uniti e della Cina”, ma è anche parte del sistema di sub-fornitori. Lo IW Institut di Colonia s’è accorto che in caso di hard Brexit, le esportazioni tedesche in Gran Bretagna potrebbero calare del 57%. Non era poi tanto difficile prevederlo, visto che (come al solito) Berlino ha verso Londra un esagerato surplus commerciale, 54 miliardi, un quinto di tutto il surplus dell’export tedesco nel mondo.
Ogni anno il Pil britannico è tosato del 4,5% dalle importazioni nette dalla UE, un grosso prelievo sulla domanda interna aggregata. In un Brexit “duro” , Londra avrebbe la possibilità, persino secondo le nome dell’WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) , di spostare i miliardi attualmente trasferiti alla UE con le importazioni, “per proteggere settori specifici come la produzione di automobili”. Potrebbe persino arrivare a nazionalizzazioni temporanee, come Obama fece per la General Motors nel 2009: “Gli stati sovrani possono fare quel che vogliono”, sottolinea il giornalista. In più, il benefico calo della sterlina si riflette subito in una diminuzione di questo export.
La Germania è resa ancora più fragile dalla recessione globale in corso. Dalla Federal Reserve che ha alzato i tassi, dalla Deutsche Bank in bilico sul buco nero, dal rallentamento cinese (cresce “solo” del 5,5%, nel 2019 del 4% – che per Pechino è recessione): è ovvio che ciò colpisca il paese più ferocemente esportatore, che è sapete chi. Ora gli industriali tedeschi stanno premendo sulla Merkel perché faccia alla May una “offerta che non possa rifiutare”, ciò che Evans-Pritchard, un lucido “brexiteer”, teme. Attenzione però, questo equivale ad un invito a togliere a Juncker e alla sua junta di malvagi gratuiti la trattativa, ad esautorarla e a farle abbassare le intenzioni punitive con cui – Germania consenziente – l’oligarchia UE l’ha condotta. Anche qualche ora fa un membro della Kommisija ha ridacchiato dicendo alla stampa che una uscita senza accordo “danneggerà molto i servizi finanziari britannici” – e Evans Pritchard dice: come si permette di usare un simile linguaggio un funzionario UE? Evidentemente nell’isola resta un orgoglio nazionale che noi italiani non abbiamo mai avuto..
Danneggiata anche l’Italia (perché la UE ci aiuta…)
E a proposito dell’Italia, il giornalista del Telegraph informa che danneggerà più che la Gran Bretagna, “la Germania e l’Italia” perché “nonostante che l’Italia abbia una modesta esposizione commerciale diretta con il Regno Unito, vi è esposta indirettamente attraverso il polo industriale Milano-Torino, interconnesso [come sub-fornitore] alla macchina esportativa tedesca, che è in difficoltà.
Concetto da dedicare al presidente Mattarellla. Il quale, esultando e congratulandosi con tutti gli altri potenti oligarchi europeisti italiani per la Caporetto di Salvini-Di Maio, ha scandito: “L’Europa non è un “vincolo esterno” ma piuttosto un moltiplicatore nella nostra influenza internazionale e della nostra capacità di espansione economica e commerciale.”
Ciascuno può vedere quanta verità contenga questa frase. Come dice Alessandro Del Prete, dopo Mattarella, Orwell è definitivamente un dilettante.
(P.S. – Per far questo articolo mi sono abbonato al Telegraph, pagando per voi che invece mi leggete gratis, e fate i vostri commentini).
Secondo me farebbe bene ad abbonarsi anche Salvini, sottraendo il suo tempo prezioso al Milan e alle visite di Albano. Anche a Di Maio non farebbe male. Perché il governo che doveva vincere la povertà è un governo delle tasse sui poveri sotto dettatura UE:
Gongola David Carretta, l’uomo dei radicali a Bruxelles: “La manovra populista: 4,2 miliardi di tagli agli investimenti più 2 miliardi di spese congelate nel 2019; 9,4 miliardi di aumenti IVA nel 2020”.
Un risultato che lo avvicina dalle “conquiste” dei tre ultimi governi PD, Renzi-Letta-Gentiloni, come ricorda l’account manager Maurizio Corte:
“2013-2018, 3 governi PD, 3 premier, 3 incapaci, altrimenti ne bastava uno…
Deficit/PIL: 2015=2,6%+6,4 miliardi extradeficit
2016=2,4%+9,6 miliardi extradeficit
2017=2,4%+11,2 miliardi extradeficit
Insomma quattro bilanci taroccati”.
Al termine dei quali, ci hanno lasciato “altri 328 miliardi di debito pubblico”.
Ma questo a Juncker, a Moscovici, a Mattarella, andava bene. Perché i taroccatori di bilanci, basta che non discutano il potere dispotico ed arbitrario della Komissija, e possono sforare.