Di Roberto Pecchioli
(R.B: Ho visto un mio amico, brillante laureato in chimica, piangere disperato alla morte di David Bowie. Devo a lui questo difficile pezzo. In due puntate)
La musica accompagna l’uomo fin dalla preistoria: con la danza, anzi, è il più antico mezzo di espressione della nostra specie. Dalla più rozza percussione africana e dai primi strumenti a fiato, come i mitici aulos e dialos , sacri al culto di Dioniso nell’antica Grecia, il suono ritmico o armonico ha suscitato emozione, cementato comunità, invitato alla guerra, alla festa o alla preghiera.
Orfeo, con la sua lira, piegava e fermava la natura e gli animali, e da lui presero il nome i misteri orfici, ed il pitagorismo per primo teorizzò e filosofò intorno alla musica, armonia cosmica quanto i numeri e la matematica. Platone, nella Repubblica, forse l’opera di fondazione del pensiero occidentale, assegnò alla musica una posizione centrale, in quanto riflesso dell’armonia del mondo delle idee che può essere attinta dall’intelletto, condannandone però l’esercizio pratico se volto soltanto a provocare diletto , anziché innalzare alla contemplazione.
In età più vicine a noi, si assiste ad una valorizzazione della musica come strumento di intensificazione delle passioni e disvelamento dell’interiorità. Schopenhauer parlò di metafisica dei suoni, e definì la musica come l’arte universale capace di collegare le radici dell’essere.
Quanto a Nietzsche, per il solitario di Sils Maria essa è l’arte universale , depositaria dello spirito dionisiaco, ovvero della parte più libera e naturale dell’uomo. Potrei credere solo in un Dio che sapesse danzare, afferma Zarathustra, e musica e danza, così vicine e talvolta inscindibili, rappresentano per lui la vitalità, l’istinto, il ritmo e la volontà di potenza .
Non c’è quindi dubbio che qualunque osservazione o giudizio sulla realtà e su un periodo storico non può essere formulato senza tenere conto della musica che ne è stata la colonna sonora. Ciò è ancora più vero per gli ultimi cinquanta o sessant’anni dell’Occidente.
Mai c’è stata tanta musica, mai ha pervaso in maniera tanto sistematica milioni di vite, mai è stata ascoltata per così tanto tempo e con mezzi così vari e potenti come dagli anni Sessanta. E nessuna forma musicale come il rock ha avuto ed ha l’importanza capitale , lo spazio ed il ruolo nella formazione di un certo modo di vedere e “fare” il mondo, tra le élite e tra decine, centinaia di milioni di persone comuni.
Non è un caso, credo, che il primo grande esistenzialista, Kierkegaard, già nella prima metà dell’Ottocento abbia osservato che “dove i raggi del sole non giungono, pur giungono i suoni “. Tra i sensi dell’uomo, l’udito che distingue la musica, ne individua i ritmi, le armonie e le fughe, gli echi, è probabilmente quello che, per un’alchimia che è insieme spirito e biochimica, più intensamente sa catturare pulsioni, sentimenti, bisogni e paure della nostra specie.
Il rock ha avuto , per una serie di circostanze tecnologiche, artistiche, mediatiche , economiche e politiche , il ruolo di esca e di detonatore di tutte le generazioni occidentali formatesi dagli anni Sessanta del XX secolo. Peccato davvero che un pensatore della profondità di Theodor Wiesengrund Adorno , morto nel 1969, non abbia avuto il tempo di conoscere compiutamente la musica rock e darne un giudizio.
Il Francofortese scrisse infatti un importantissimaFilosofia della musica moderna , che può a buon diritto essere annoverata tra gli esiti più alti della riflessione musicologica e filosofica del secondo Novecento. Nell’interpretazione di Adorno le linee di fondo della prima metà del Novecento musicale sono rappresentate da due figure contrapposte, Schönberg e Stravinsky, le cui opere, profondamente immerse nella dialettica storica, riflettono le ansie, i timori, le contraddizioni e la violenza del tempo.
I due compositori, attraverso la musica, rivelano in vario modo la crisi dell’uomo del Novecento, minacciato da forme di dominio che avversano o spengono ogni aspirazione alla libertà.
In entrambi i casi, per Adorno, la musica non è solo oggetto di interpretazione , ma si pone essa stessa come soggetto culturale, dal momento che elabora una articolata visione del mondo, della quale egli propone la traduzione in termini concettuali.
A partire dai microcosmi sonori dei due compositori, dunque, è possibile intraprendere un’analisi (non priva di risvolti etici) degli aspetti più profondi della contemporaneità. Per questi motivi il testo adorniano è ben più di un saggio di critica, o di sociologia, o di estetica musicale: è il tentativo – per il quale si possono individuare solo pochissimi precedenti nella storia della cultura – di intendere la musica come strumento di indagine della realtà.
Egli, tuttavia, che detestava la musica leggera come banale e ripetitiva, rimase nel recinto della musica “alta” e non ebbe comunque il tempo di volgere sguardo e pensiero al rock. Certamente, egli sarebbe stato tra i primi a coglierne il carattere dirompente in termini di costume, idee veicolate, impatto sui modi di intendere la vita.
I fatti sono chiari: la cosiddetta musica classica non parla più al cuore dei popoli che pure l’hanno creata ed amata, ed ogni tentativo di rianimare i generi che la compongono, dal melodramma alla musica sinfonica d’orchestra hanno dato scarsissimi risultati. A parte pochi brani, persino le musiche dei giganti della musica sono ignote ai più. Comunque si valuti tale circostanza, non vi è dubbio che tutte le altre forme musicali sono state sostituite, nell’animo popolare, dal rock, e mantengono un carattere di nicchia, o almeno un’ influenza del tutto imparagonabile a quella del rock.
Il titolo della presente riflessione fa riferimento alla decadenza, e dà quindi già un giudizio , non solo sull’epoca nostra, ma in qualche modo anche sulla sua musica più importante.
Giudizio che ha pochissimo di colto in senso musicale, giacché chi scrive è un ascoltatore saltuario e disattento del rock , ma che attribuisce a tale forma di arte e di conoscenza una valenza, non un valore artistico, negativo rispetto a ciò che il mondo è , ed è diventato, anche per l’azione della sua musica.
Nei primi anni del nuovo millennio, una giuria di circa cinquecento esperti ( ahi, questa categoria di nuovi , insindacabili chierici !) valutò che l’opera d’arte più significativa del Novecento sia stata la Fontana di Marcel Duchamp del 1917: si tratta di un comune orinatoio di fabbricazione industriale, e l’artista fu tra i fondatori del Dadaismo , movimento artistico il cui nome non significa nulla, e che aveva come regola il fare tabula rasa del passato e negare il futuro. L’esito è sotto gli occhi di tutti, e la provocazione dell’orinatoio è ritenuta fondante dell’arte di cui siamo figli. Tragga ognuno la conclusione che preferisce.
Le arti creative hanno via via fatto davvero tabula rasa dell’intero patrimonio culturale europeo, e, demistificata ogni cosa, gettato a mare un mondo, non sono state più in grado di crearne uno nuovo: di qui l’odio di noi stessi che ci paralizza, l’impasse creativo, il vuoto valoriale, l’incapacità di progettare , anzi, addirittura pensare, il futuro comune, fuori da slogan vuoti, essi stessi ormai solo eco di se stessi, come pacifismo, uguaglianza, diritti.
Il rock, in questa potente opera di decostruzione, ha fatto la sua parte, pur se va detto , con uno slancio, una padronanza della propria materia creativa, musica e strumenti, ben superiore ad altri settori della creatività. Autori ed esecutori la musica la conoscono assai bene, alcuni sembrano anche a noi, ignoranti del ramo, autentici geni. Ma un genio fu certamente anche chi realizzò la bomba atomica , o il signor Kalashnikov, il cui fucile d’assalto è efficiente, economico e straordinariamente preciso.
La musica rock, proprio per la sua indubbia capacità di essere creatrice di sentimenti e valori, oltreché inventrice di sonorità del tutto nuove, tratte dalle infinite possibilità della tecnica e della tecnologia , nonché per la sua sensibilità e capacità di rappresentare ansie, tempi, rumori, vita concreta della civiltà urbana, industriale postindustriale, colta e smascherata anche nei suoi lati crudi, sordidi, violenti, è il sismografo più attendibile delle contraddizioni del presente ma è anche la bomba più potente collocata nel cuore stesso di milioni di uomini.
Un fotografia impietosa, il rock, di un mondo in cui il tradizionale equilibrio storico tra armonia , proporzione, centro, limite, natura, e ritmo, velocità, baccano , artificio, è rotto, definitivamente, a favore di un linguaggio musicale, riflesso di quello civile, duro, spietato, talora osceno, ma che, sempre ed in modo definitivo, chiude con tutto ciò che è stato “prima”. Musica del nostro tempo davvero, quindi, giacché il conflitto tra vecchio e nuovo, passato e futuro, mitologia del progresso e del moderno, che tale è solo oggi e fino a stasera, ha sostituito tutte le categorie concettuali tradizionali, bene o male, giusto o sbagliato, bello e brutto.
Una rivoluzione, imponente e profonda, da valutare nella sua connessione con tutto ciò che ha cambiato in modo permanente, alcuni dicono sfigurato , la visione del mondo di questa fetta di umanità. Le generazioni formatesi negli anni successivi alla tragedia della seconda guerra mondiale vivevano indubbiamente la contraddizione tra le idee di chi, vincitore del conflitto, proclamava di aver liberato l’umanità dal male totalitario, ma nei fatti manteneva intatti rapporti di potere, stili di vita, gusti ,che i più giovani consideravano passati, autoritari, svuotati di senso.
Nell’America trionfante che aveva ormai soppiantato l’Europa come guida del mondo, emerse un movimento giovanile , detto beat generation, contraddistinto da un forte spirito di ribellione e di rifiuto verso i valori tradizionali della società , famiglia, patria, religione, culto del lavoro e del successo, nel quale confluirono e si articolarono altri movimenti, quali il pacifismo , specie negli anni della guerra del Vietnam, il femminismo e le rivendicazioni civili dei negri americani.
Tale atteggiamento di rottura ebbe come esponenti più rappresentativi scrittori come Jack Kerouac (Sulla Strada) , Allen Ginsberg , William Burroughs, artisti tutti caratterizzati da un linguaggio violento ( Urlo è il titolo di un’opera di Ginsberg) , da esperienze estreme di sesso, alcool, droghe.
Per imitazione, nell’Inghilterra che aveva perduto l’impero , ma mantenute intatte le fondamenta di un potere classista e stratificato, si sviluppò la corrente dei Giovani arrabbiati, il cui esponente più noto fu il commediografo Ted Osborne .
“Beat” poteva significare tanto stanco, abbattuto, termine gergale dei ghetti americani, quanto ottimista, beato, e questa duplicità già ne esprime le complessità e le anime contraddittorie. La musica colse al volo le nuove tendenze , e fu l’Inghilterra a inaugurare la stagione della musica beat, che prese forma tra il 1962 e il 1967 e si caratterizzò anzitutto per la nuova strumentazione (chitarre e bassi elettrici, batteria), ripresa dal rock and roll.
Figlio dell’ America, specie del Sud agricolo, il rock and roll univa i suoni profondi e la tristezza del blues nato dal mondo degli schiavi di colore con la musica popolare di ascendenza europea, in particolare celtica e germanica (folk, country) degli immigrati bianchi .
Dopo le prime stagioni di Elvis Presley, con il suo carico di ritmo , di esplicito erotismo e di un suono del tutto nuovo, amplificato dal microfono e dalla diffusione di nuove tecniche elettroniche , venne rapidamente varcata la linea di confine tra il generico ribellismo adolescenziale del rock ‘n’ roll e la nuova consapevolezza del rock come forma d’arte autonoma.
Fu il tempo di Bob Dylan e di gruppi come i Beatles, i RollingStones e gli Who. San Francisco , in particolare l’Università di Berkeley fu l’incubatrice di una vera controcultura: i giovani bianchi della classe media elessero la musica come centro della loro esperienza esistenziale, scegliendo la vita comunitaria in opposizione alla famiglia tradizionale, sperimentando la massima promiscuità sessuale e l’esperienzadel consumo di vari tipi di droghe, a scopo di liberazione della coscienza ed intensificazione delle sensazioni .
Di enorme importanza , come evento fondante di una vera e propria cultura giovanile costruita attorno alla musica, fu nel 1969 il festival di Woodstock, con artisti come Santana, gli Who, Jimi Hendrix e Janis Joplin. Di immenso impatto fu la prestazione di Hendrix , che radicalizzò e distorse il suono della chitarra elettrica attraverso performance provocatorie, trasformando lo strumento musicale in una parodia dei cannoni da guerra.
Tre giorni di pace, amore e musica, era lo slogan della folla di Woodstock . Il risultato , dopo decenni, è un minestrone indigeribile fatto di una sottocultura di massa a base di musica sparata nelle orecchie ed assorbita come un nuovo vangelo, un senso comune formato dall’ossessione dei diritti civili e dalla mistica pacifista.
Là fuori, intanto, la guerra continua, la gente non ha più legami comunitari e ha orrore della responsabilità, l’amore universale proclamato non si concretizza in rapporti umani almeno sereni o non conflittuali, la solitudine e l’abbandono sono fenomeni che cinquant’anni fa non coinvolgevano che piccole percentuali di uomini e donne, le coppie figlie e, ormai, nipoti, dell’amore libero, nascono e si disfano ogni giorno , nulla è stabile e definitivo.
Il potere globale ha sostituito allegramente i diritti sociali, negati, con quelli “civili” ( aborto di massa, divorzio facile, femminismo a base di quote rosa, pansessualismo, omosessualità proclamata come valore, droghe cosiddette leggere legalizzate, alcool e sballo sin dalla pubertà ) .
Quell’omicidio di massa dei padri, al suono della musica rock e della cultura del Sessantotto, ha prodotto un affollato deserto. I nuovi valori si rivelano inservibili , nuove ingiustizie si aggiungono a quelle vecchie.
Ma torniamo alla musica : un rock più vicino al blues fu quello dei Doors e del loro carismatico capofila, Jim Morrison , la cui ultima grande apparizione fu quella del 1970 all’isola di Wight, che riprodusse nel Vecchio Continente lo spirito dell’adunata di Woodstock.
Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison morirono giovanissimi per abuso di droghe, e sono proprio le sostanze stupefacenti il leitmotiv dei grandi protagonisti del rock. L’impatto emotivo di Woodstock e dell’isola di Wight ha cambiato per sempre non solo la musica, inaugurando un’era di grandi raduni e concerti che dura tuttora, con la follia degenerativa degli attuali rave party, dove sino alla sfinimento i gruppi suonano musiva tecnologica, elettronica, amplificata in maniera esasperata, mentre gli spettatori sballano con miscele di alcool e droga, in un’atmosfera sfrenata , spesso con gli esiti tragici di cui dà conto la cronaca.
Dopo Woodstock, la ribellione giovanile ha avuto le sue colonne sonore ed i suoi eroi, scavando un fossato di linguaggi, idee e sentimenti con il mondo dei genitori che non si è mai più colmato.
Vietato vietare, era già stato lo slogan del maggio francese, la liberazione sessuale faceva emergere il femminismo più radicale, si abbattevano i muri dei legami familiari, l’uso di droghe diveniva problema di massa, qualunque autorità era derisa e svalutata – allora si diceva contestata- il pacifismo dilagava ,anche nella forma di stili di vita come quello dei figli dei fiori (hippie) .
Colpa del rock, o la musica ha semplicemente intercettato, ed interpretato, un sentimento che ribolliva nelle viscere di nazioni investite , per la prima volta, da un benessere diffuso, ancorché diseguale, e influenzate dalla grande novità della scolarizzazione di massa ? Fiumi d’inchiostro sono stati versati per rispondere alla domanda, ma non vi è dubbio che la musica rock è stata il veicolo privilegiato, il canale più possente, di una mutazione genetica che ha investito tre generazioni, dalla metà degli anni sessanta, e decine e decine di milioni di persone.
1 – continua