Di luciano garofoli.
Ho avuto la ventura di avere vicine delle persone che i santi dei nostri giorni hanno avuto la fortuna di conoscerli, approcciarli, parlare con loro mentre erano vivi e stavano costruendo il loro patrimonio di sofferenze, di lotte, di combattimenti per arrivare a quella tanto agognata santità. Personalmente ho conosciuto, e visitato molte volte Madre Speranza del Gesù quando viveva a Collevalenza di Todi.
Maria, mia moglie, raccontava che suo nonno materno era stato allievo di Giuseppe Moscati e che la figura di questo medico gli aveva lasciato una profonda impressione sia nella sua metodologia professionale, sia perché lo aveva veramente segnato e commosso per la sua figura umana.
Eravamo ai primi del XX secolo; chi frequentava le aule universitarie era davvero un’esigua minoranza ; quindi gli studenti avevano la possibilità di vivere accanto ai loro insegnanti e maestri con una continuità ed una familiarità davvero impensabili ai giorni nostri.
Quando Giuseppe Moscati morì, sua sorella Nina che gli era devotamente vissuta accanto e lo assisteva anche nelle sue varie attività di carità, regalò il ricordino da morto del fratello ai suoi allievi più vicini e che lui stimava di più per le loro capacità professionali. Il nonno di Maria era uno di questi e teneva questo ricordino sul proprio comodino e tutte le sere, guardandolo, faceva una piccola meditazione chiedendone l’aiuto ed il sostegno.
Peppino – così lo chiamavano in famiglia ed anche gli amici più cari – era figlio di Francesco e di Rosa De Luca dei Marchesi di Roseto. La coppia ebbe nove figli; Giuseppe era il settimo. Nel 1877 il padre fu nominato Presidente del Tribunale di Benevento e proprio qui il 25 luglio del 1880 nacque il loro settimo figlio a cui furono imposti i nomi di Giuseppe, Maria, Carlo Alfonso.
La carriera di magistrato comportava soventi spostamenti: e l’anno seguente alla nascita di Giuseppe il padre fu promosso consigliere di Corte d’Appello e mandato ad Ancona. La famiglia Moscati rimase nella città marchigiana fino al 1884: il padre fu di nuovo trasferito e destinato alla Corte d’Appello di Napoli. La città partenopea divenne la sede definitiva della sua vita. Qui la famiglia frequentò il beato Bartolo Longo , fondatore della Basilica di Pompei, e divenne molto spiritualmente legata anche a Caterina Volpicelli – anche lei in seguito proclamata santa!
Quindi Napoli diventa la sua città, quella nella quale riceve la Prima Comunione, dove compì gli studi del Ginnasio e poi del Liceo Classico – e dove nel 1903 si laurea in medicina.
Trascorre un’infanzia ed una giovinezza del tutto normali in una famiglia del tutto normale e fervente cattolica; ovviamente le disgrazie non la risparmiarono: il fratello rimase vittima di una caduta da cavallo durante il servizio militare, dopoil quale fu colto da attacchi epilettici. Lo assisterà Peppino con amore e con slancio fino a alla morte, avvenuta a 32 anni. Muore anche suo padre, proprio l’anno in cui si iscrive all’università. Non nasconde che vede l’attività di medico come una missione sacerdotale che deve impegnare la persona che la svolge con tutto se stesso mettendosi al servizio degli altri senza risparmio e con entusiasmo e fortissima dedizione.
Indubbiamente ha delle grandissime qualità ed attitudini basta guardare il suo iter professionale per rendersene conto.
La carriera professionale
Essa avrà una durata molto breve: comincia a 27 anni e termina nel 1927 all’età di 42 anni,
Il 4 agosto 1903 si laureò a pieni voti in medicina con una tesi sull’ureogenesi epatica considerata degna di stampa. Dopo pochi mesi si presentò ai concorsi per assistente ordinario e per coadiutore straordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili, superando entrambe le prove, risultando anzi secondo in quello per assistente ordinario. Il tutto battendo concorrenti che avevano già una certa esperienza ed un certo iter all’interno delle strutture ospedaliere.
Nel 1906 il Vesuvio erutta; il panico si diffonde per tutta Napoli; si teme una possibile catastrofe: la città più colpita è Torre del Greco. La calamità mette in pericolo un piccolo ospedale nella città succursale degli Ospedali Riuniti presso il quale Moscati svolgeva la mansione di coadiutore straordinario. Si recò immediatamente sul posto e contribuì in maniera rilevante al salvataggio degli ammalati – a rischio della sua vita. Ordinò l’evacuazione della struttura cosa che fu completata appena poco prima del crollo della medesima: il suo generoso intervento fu considerato essenziale per evitare una tragedia.
Nel 1908 superò il concorso per il posto di assistente ordinario presso la cattedra di Chimica Fisiologica e in questo modo poté iniziare a svolgere un’intensa attività di laboratorio e di ricerca all’Interno dell’Istituto di Fisiologia dell’ospedale per malattie infettive Domenico Cotugno, ospedale che ancora oggi esiste a Napoli.
Nel 1911 gli Ospedali Riuniti bandiscono, dopo trent’anni di attesa, il concorso per Aiuto Ordinario nella stessa struttura. Al bando rispondono i migliori medici e docenti del Mezzogiorno; ha soltanto trent’anni ma riesce a guadagnarsi il posto battendo personaggi che diventeranno poi Direttori di cliniche universitarie. La cosa naturalmente desta grande clamore, ma la sua è una vittoria strameritata. Altre tre cose importanti succedono nello stesso anno: ottiene la Libera Docenza in chimica fisiologica ed in ospedale praticherà per 12 anni l’insegnamento nella struttura ospedaliera.
Verrà nominato socio della Regia Accademia Medico chirurgica.
Infine, nel corso di quell’anno, a Napoli scoppia una violenta epidemia di colera.
La malattia miete vittime tra la popolazione civile. Viene chiamato dall’Ispettorato della Sanità pubblica a svolgere compiti di operatività diretta e di consulenza. Naturalmente non si sottrae e si dedica anima e corpo alla cura degli altri che in quel momento sono le persone più derelitte e bisognose della città. Stila una dettagliata relazione sulle opere necessarie per il risanamento e la profilassi della città.
In questi tempi oscuri l’esempio e l’etica professionale non sembrano essersi attenuate e lo slancio al servizio dei malati e dell’umanità restano intatti e cristallini come allora: San Giuseppe Moscati in questo può rallegrarsi e stendere benigno il suo patrocinio su questi eroici combattenti del male!
Su proposta di Antonio Cardarelli ottenne la Libera Docenza in chimica fisiologica e seguendo i programmi del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione poté iniziare l’insegnamento di indagini di laboratorio applicate alla clinica di chimica applicata alla medicina.
Quel 1911 è denso di avvenimenti per lui e per la sua attività di medico.
Gaetano Rummo,[1] allora al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, lo manda a Vienna per assistere al convegno internazionale di fisiologia e poi lo coopta come collaboratore in inglese e tedesco, della testata La Riforma Medica da lui fondata.
Quando nel maggio del 1915 l’Italia entra nella prima guerra mondiale Moscati presentò subito la domanda di arruolamento volontario, ma essa venne respinta, perché dedicasse tutto il suo tempo alla cura ed al soccorso dei feriti di ritorno dal fronte. All’uopo fu nominato direttore della Sanità Militare di Napoli: la carica fu da lui ricoperta dal 1915 fino al 1918.
L’impegno che profuse fu come al solito oltre qualsiasi prevedibile aspettativa da quanto si evince dai registri dell’Ospedale degli Incurabili, nel periodo visitò personalmente 2524 soldati. Ma contemporaneamente continuò anche la sua attività di docente universitario, supplendo il professor Pasquale Malerba nel corso ufficiale di Chimica Fisiologica fino al 1917, per poi fare la stessa cosa nei confronti del professor Filippo Bottazzi nella cattedra di Chimica Clinica.
Bottazzi è considerato il padre della biochimica italiana.
Nel 1919 il consiglio di amministrazione dell’Ospedale degli Incurabili lo nominò primario.
Il 2 maggio del 1921 inoltrò al Ministero della Pubblica Istruzione la domanda per essere abilitato, per titoli, alla libera docenza in Clinica Medica Generale; il 6 giugno 1922 la Commissione nominata dal Ministero esaminò i titoli e lo ritenne idoneo a conseguire tale libera docenza esonerandolo all’unanimità, in virtù dei lavori proposti, dalla discussione dei lavori presentati, dalla lezione e dalla prova pratica.
Senza ironia e con molto senso realistico mi chiedo cosa succederebbe oggi se un professore Universitario anche di altissimo livello venisse abilitato all’esercizio della libera docenza in una struttura universitaria esentato dalla prova pratica: articoloni sui giornali, pianti delle solite prefiche sui metodi mafiosi dell’ente che avesse fatto una simile scelta, grandi rampogne dei baroni della medicina contro il reprobo che avesse ottenuto un simile trattamento. Senza poi tralasciare le interrogazioni parlamentari e le richieste di sfiducia nei confronti del titolare del Ministero della Salute reo di aver avallato una simile non ortodossa procedura.
Vanno fatte un paio di considerazioni.
La scuola di medicina di Napoli sfornava in quegli anni docenti e professori di livello internazionale: via via durante la narrazione ho citato i nomi di Cotugno, Caldarelli, Rummo, Tommasi, De Renzi, Bottazzi tutti luminari della medicina.
Ed oggi?
Trovatemi un solo nome degno di essere ricordato o che possa essere citato a livello internazionale. Qualche tempo fa l’amico Blondet con disperazione prendeva atto della totale distruzione del tessuto connettivo della scuola italiana; ma questo a tutti i livelli dalla scuola elementare fino all’Università.
Vincere il famigerato “Concorso” non ti qualifica come il migliore o il più adatto a ricoprire incarichi, ma nella stragrande maggioranza dei casi si arriva ai posti di eccellenza solo per appartenenze a parrocchie politiche, o per adesione a lobby più o meno occulte, quando non si sia aiutato qualche personaggio politico anche di basso grado a poter mantenere il sistema e la rete clientelare costruita in decenni di occupazione delle stanze del potere. In una intercettazione ambientale il manager responsabile delle strutture sanitarie umbre affermava che stava violando almeno cinque leggi ogni ora! Ma lui era un progressista, che diammine le leggi non valgono mica per tutti alla stessa maniera! Orwell diceva: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri!!
La meritocrazia allora veniva premiata e nessuno alzava un solo dito per confutare i meriti di personaggi come Giuseppe Moscati: non crediate che anche allora non fosse oggetto di invidie e di denigrazioni, ma non dal punto di vista professionale, ma perché era cattolico e molti “laici” erano estremamente infastiditi da questa situazione. Moscati inoltre faceva anche sempre apostolato con i pazienti ai quali prescriveva la pratica giornaliera dell’Eucarestia e della preghiera. Oggi non avrebbe seguaci e fortuna nemmeno nelle gerarchie ecclesiastiche a tutti i livelli anche i più elevati. Più avanti narrerò degli aneddoti piuttosto significativi.
Ci sono voluti decenni per arrivare a creare questo deserto intellettuale e spirituale con pesanti interventi, tagli profondi alle strutture ed ai fondi della sanità e soprattutto con un’opera di corruzione materiale e pratica senza presedenti: mammona può cantare vittoria e la gente obnubilata dal profumo del denaro fa spallucce ormai senza remore e freni e senza più un briciolo di etica cristiana.
Torniano al nostro santo.
Quando nel 1922 fu iniziata la sperimentazione dell’insulina per la cura dei diabetici, Moscati fu tra i primissimi a seguire questo nuovo metodo di cura. Nel 1923 compì un viaggio a Edimburgo per il Congresso internazionale di fisiologia a cui parteciparono i più grandi luminari della medicina mondiale.
La missione professionale e di fede
La sua era una concezione che rifiutava assolutamente la contrapposizione tra scienza e fede. Anzi le due cose erano una il naturale compimento dell’altra. Il suo agire era quello di una persona assolutamente disinteressata e ciò si accompagnava ad una modestia ed una sobrietà che lo portava ad essere al servizio immediato di tutti quelli che avessero avuto bisogno di aiuto. Ciò indifferentemente se chi si trovava nello stato di necessità fosse stato un ricco, un personaggio famoso come il tenore Enrico Caruso, oppure un derelitto che abitava in un tugurio o in un vicolo malfamato. A chi lo rimproverava, o lo metteva in guardia per avventurarsi in questi luoghi pericolosi rispondeva con il sorriso dicendo:
“Non si può avere paura quando si va a fare del bene.”
Celebre era il suo assoluto disinteresse per il denaro un collega così testimoniava questa sua virtù:
“Solendo vedere negli ammalati la dolorosa figura di Cristo, non voleva ricevere denaro e di ogni offerta soffriva in maniera visibile. Se visitava dei ricchi o dei benestanti accettava il denaro, ma davanti a sé ed a Dio la sua preoccupazione restava sempre quella di non essere un approfittatore.”
Alla moglie di un paziente così scriveva:
“Signora vi restituisco parte dell’onorario perché mi sembra che mi abbiate dato troppo. Certo, da altri, che fossero dei pescecani, pretenderei di più, ma da uomini di lavoro, no. Spero che Dio vi dia la gioia della guarigione di vostro marito. Fate che non si allontani da Dio e frequenti sempre l’Eucarestia fonte della salute.”
Un giorno fu chiamato al capezzale di un ragazzo quindicenne che seguì fino alla guarigione. Quando tutto fu finito il padre gli consegnò la busta con l’onorario. La aprì mentre tornava a casa e si accorse che conteneva una somma per l’epoca iperbolica: mille lire. Tornò indietro, salì agitatissimo le scale del palazzo e restituire la busta nervosamente e dicendo:
“O voi siete pazzi , o mi avete preso per un ladro!”
Il padre pensò di aver offerto troppo poco e gli allungò un’altra banconota da mille lire. Con viva agitazione restituì non solo la nuova banconota, ma addirittura cavato il portafoglio, restituì ottocento lire, andandosene contento e lasciando stupefatti gli astanti.
Esercitare la professione di medico e contemporaneamente identificare questo lavoro con l’essere a fianco dei derelitti, dei più bisognosi, degli ultimi e dimenticati era fondere le due cose in una concezione monastica di questa che era per lui una vera e propria vocazione. In un’epoca in cui le vocazioni si dividevano in maniera netta (o uno si sposava, o entrava in convento) Moscati scelse una via del tutto originale e nuova: quella cioè di restare laico nel proprio mondo senza appartenere ad istituti religiosi, nemmeno ad ordini minori, pur scegliendo volontariamente e coscienziosamente la condizione verginale.
“Amare Dio senza misura nell’amore, senza misura nel dolore” questa era la massima che allo stesso tempo identificava sia la sua missione di medico cristiano, sia lo sguardo con cui osservava i malati.
Ovviamente allora come ora il suo specifico comportamento e la sua maniera semplice e continua di manifestare la sua fede destavano grande indignazione a vari livelli.
Sentite cosa riportano alcune testimonianze tratte dal processo di beatificazione:
“Subiva la lotta di tutti i medici iscritti alla massoneria per la sua aperta professione cristiana ed anche da parte di quelli che vedevano in lui un competitore valentissimo benché di giovane età”.
“ Questo odio massonico aveva dunque un risvolto inconfessabile: la gelosia, l’invidia di chi non sapeva tollerare la sua superiorità scientifica. Era disprezzato, motteggiato da quelli che non vedevano bene la sua franca, schietta e coraggiosa professione di fede cattolica: lo chiamavano maniaco, isterico, esaltato, fanatico. E qualcuno non esitava ad insultarlo palesemente mentre passava, dandogli dello iettatore, del pazzo da manicomio, medico di preti e suore”
In una lettera scriveva: “ Io sono una stella di infima grandezza in mezzo a tanti astri brillanti e sarò contento di eclissarmi se però saranno gli astri illuminati a sorgere e non alcune fiacche nebulose”
In una lettera indirizzata a Benedetto Croce, all’epoca Ministro della Pubblica Istruzione scriveva:
“So che un pezzo grosso della massoneria vuol venire ad ingrossare il numero dei “fratelli” nella Facoltà che è divenuta per questi ultimi una grande casa”
La lotta condotta contro di lui non lo scalfiva affatto e soleva ripetere ad un amico:
“Cosa m’importa degli altri? Il mio pensiero è contentare Dio”.
“Il medico non deve guardare solamente la salute del corpo dell’infermo, ma anche sopperire ai bisogni del malato e della sua famiglia , sotto qualunque aspetto si possa considerare il bisogno”
Ed era così che da quanto traeva dall’esercizio della sua professione tratteneva per se e per sua sorella soltanto il necessario per una vita decorosa e destinava tutto il resto alle necessità dei bisognosi. La sorella lo aiutava amministrando questo tipo di attività. Poi personalmente spesso provvedeva a fornire quello che era necessario a chi aveva davvero un bisogno urgente: lasciava qualche banconota sotto il cuscino di un ammalato per permettergli di comperare medicinali, o le infilava direttamente dentro le ricette che compilava per poter far fronte all’acquisto di quei medicinali prescritti.
Tutti i pazienti che erano in cura con lui sapevano bene che per essere curati da lui bisognava frequentare i Sacramenti ed:
“A tutti i malati domandava se erano in grazia di Dio, se frequentavano i sacramenti, se erano in regola con la propria coscienza. Insomma curava prima l’anima poi il corpo di quegli infermi che andavano da lui. In ospedale missione di tutti suore, infermieri, medici era collaborare alla Misericordia di Dio. Espressioni come confessatevi, mettetevi in grazia di Dio, accostatevi al Signore , pensate all’anima immortale, o Dio è padrone della vita e della morte, prima o poi entravano nelle indicazioni “sanitarie” che Moscati dava ai suoi pazienti soprattutto quando si accorgeva che la loro vita era in pericolo e venivano accolte con riconoscenza perché i pazienti gli volevano bene come lui ne voleva a loro e quasi tutti seguivano i suoi consigli liberamente”
Sentite cosa diceva:
“ La cosiddetta psicanalisi di Freud è una cura: ma cosa è la psicanalisi? E’ una confessione fatta al medico per scardinare le idee fisse. Ma questo va bene per i paesi protestanti dove non c’è la confessione: presso di noi abbiamo la confessione cattolica.”
Oggi sarebbe stato motteggiato e additato a fanatico dalle alte gerarchie della Chiesa!
Tutto quanto in neretto è estratto dal processo di beatificazione intentato nei suoi confronti. Non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro e di fare il benché minimo commento a quanto riportato tutto è chiarissimo e non lascia alcun dubbio.
Scrivendo ad un collega così si esprimeva:
“Beati noi medici se ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi. Lì è la soddisfazione e non nel sentirci proclamare risanatori di un male fisico.”
Ed ancora rivolgendosi ai suoi studenti, siamo nel 1923:
“Ricordatevi che non solo del corpo vi dovete preoccupare, ma delle anime gementi che ricorrono a voi. Quanti dolori voi lenirete più facilmente con il consiglio e ricorrendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”
Due mesi prima della sua morte inattesa, siamo nel 1927, veniva a Napoli, per tenere una relazione ad un importante convegno medico, un luminare della medicina il professor Leonardo Bianchi. Aveva un curriculum di tutto riguardo: titolare di cattedra di Psichiatria e Neurochirurgia prima a Palermo e poi a Napoli. In politica aveva ricoperto la carica di Ministro della Pubblica Istruzione ed anche quella di Ministro della Difesa e Vicepresidente della Camera dei Deputati. Era uno dei più noti massoni che qualche anno prima aveva tenuto una pubblica conferenza contro Gesù Cristo.
Al termine della sua prolusione tra lo scrosciare degli applausi, il luminare si accascia a terra: erano lì presenti medici specialisti che potevano coprire qualsiasi tipo di urgenza. Si accostarono tutti e lo fece anche Moscati. A dire il vero non voleva andare a quella conferenza in quanto si era da tempo allontanato dall’ambiente universitario. Ma una forza sovrumana lo spinse ad andare.
Facciamo parlare il Santo in prima persona:
“Sento ancora ora l’impressione di quello sguardo (di Bianchi) che cercava me tra i tanti docenti convenuti … E Leonardo Bianchi sapeva bene i miei sentimenti religiosi, conoscendomi fin da quando ero studente. Gli corsi vicino, gli suggerii parole di pentimento e di fiducia, mentre egli mi stringeva la mano, non potendo più parlare …”
Immaginiamoci l’ingresso inaudito di un prete, fatto chiamare da Moscati, in quel tempio della massoneria che era l’Università di Napoli, ma anche la scena di quel vecchio massone ormai morente, tra le braccia del più santo dei medici mentre recita a voce chiara l’atto di dolore ed il Credo. Insomma come gli evangelici lavoratori dell’undicesima ora anche il massone Bianchi si salvò l’anima grazie alla vicinanza da lui ricercata di San Giuseppe Moscati!
Fossero tutti così cattolici diceva di lui Benedetto Croce!
Le domande che si affacciano alla nostra mente sono tante, ma forse una spicca di più: Giuseppe Moscati era un vero laico? Oppure era un laico che in maniera indebita si surrogava al sacerdote? Ed il suo costante voler curare anche l’anima era una pretesa scientificamente assurda ed integrista o nel suo atteggiamento c’era qualcosa di profetico?
In un mondo come quello di oggi il suo è proponibile come esempio di laicità cristiana? Essere chiamati nella propria esistenza ad adempiere una missione e vivere la vita quotidiana per un credente dovrebbe essere una cosa sola. Sua madre glielo aveva profetizzato: per alleviare le sofferenze dei malati diventerà lui stesso un martire.
In questi nostri giorni oscuri, di cieca disperazione e di morte quello che i medici ed il personale sanitario stanno facendo, a prezzo della stessa loro vita, è sicuramente la continuazione e la sublimazione di quanto a suo tempo fece San Giuseppe Moscati. Di contro assistiamo alla assenza totale ed imposta della presenza di sacerdoti che possano portare conforto, alleviare i dolori della malattia e curare le anime dei malati e dei moribondi. Di questo qualcuno dovrà prima o poi rendere conto a Dio e la sua indifferenza nei confronti dei soffrenti di certo non sarà gradita al Padre del Cielo! Soprattutto se poi ci si riempie la bocca di espressioni come vivere e portare il cristianesimo nelle periferie del mondo, o che la Chiesa è un ospedale da campo!
In questo momento oscuro in cui i fedeli sono privati della Santa Messa, dei Sacramenti, addirittura della celebrazione della Santa Pasqua cosa inaudita e mai successa nella storia dell’umanità, o in cui un Sindaco viene indagato per aver partecipato alla Riconsacrazione di una città alla Vergine Santissima, facciamoci forti degli esempi del Cardinale Borromeo che percorse le strade di Milano durante la peste, scalzo portando il Santissimo Sacramento in processione ed anche dell’esempio di giganti della Santità come Giuseppe Moscati o Riccardo Pampuri!
Noi siamo ormai più presi dal sapere quando potremo ritornare, al jogging, al rito dell’aperitivo, ad ascoltare un concerto di qualche star del rock che al pensiero della salvezza delle nostre anime.
Dio, con l’intercessione di San Giuseppe Moscati e della Beatissima Vergine Maria ci perdoni e ci assista concedendoci il suo perdono!
luciano garofoli
[1]Gaetano Rummo (Benevento 1853- Napoli 1917) fu un luminare della medicina, uomo politico e pioniere del giornalismo medico italiano assistente del professor Salvatore Tommasi e del professor Salvatore De Renzi. Vincitore di una borsa di studio a Parigi, s’allontanò da Napoli, dove era stato vittima di un’ingiustizia durante un concorso per coadiutore medico all’Ospedale degli Incurabili. L’ambiente medico parigino ebbe un ruolo determinante nella sua nella sua preparazione di neuropatologia e di cardiologia, basi dei suoi studi futuri.