L’importazione di petrolio russo da parte dell’Italia tra aprile e maggio è addirittura quadruplicata rispetto a quanto accadeva a febbraio, quando la guerra in Ucraina era ancora una minaccia fatta di truppe ammassate ma senza proiettili in volo. Solo a maggio, ad esempio, il Paese ha accolto 450mila barili russi. E anche Trieste ha fatto registrare un picco in tal senso. E la spiegazione è in questo momento plausibile, se si seguono le regole dell’economia e meno quelle della geopolitica.
Il greggio che arriva con le petroliere al molo di Trieste, infatti, viene “pompato” all’interno dell’oleodotto della Siot. Dal Golfo prende la strada della Germania, per arrivare a due raffinerie (la MiRo di Karlsruhe e la Bayernoil di Neustadt, tra Baden Wuttemberg e Baviera) controllate dal colosso russo Rosneft, gestito direttamente dal Cremlino. Cosa sta succedendo, quindi? Il meccanismo è abbastanza semplice.
A causa delle prime sanzioni (quelle legate al sistema dei pagamenti bancari) è sempre più difficile per gli esportatori russi trovare sbocchi di mercato in Unione europea. È così che le spedizioni di petrolio si sono concentrate innanzitutto verso le raffinerie che possono vantare un controllo diretto da parte di Mosca. E non si tratta di realtà sotto embargo. Ecco perché a Trieste è boom del petrolio russo.
(Fonte: Il gazzettino (https://www.ilgazzettino.it/nordest/pordenone/guerra_russia_ucraina_petrolio_sanzioni_porto_zeno_d_agostino-6741031.html))
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