Anche i servizi militari israeliani ammettono: “E’ il primo dirigente arabo ad avere una capacità di influenza sul pubblico israeliano dai tempi di Nasser”, il presidente egiziano degli ani ’60. E’ Seyyed Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah: ed è l’uomo che questi distruttori cercano di uccidere, ogni giorno che fa Iddio, da almeno dieci anni.
Son dieci anni che Hezbollah, gruppo sciita libanese, come lo stato ebraico ha scoperto con amara sorpresa nel 2006 quando invase il Sud Libano, è stato capace di infliggere una sconfitta a Tsahal, tanto da farlo rinunciare all’attacco, lasciandosi indietro un cimitero dei suoi supercarri armati Merkava, e 120 caduti.
Cominciò il 12 luglio 2006. “Dall’inizio del conflitto fino alle ultime operazioni” , ha scritto l’analista militare Usa Anthony Cordesman, “i comandi Hezbollah hanno penetrato con successo tutto il ciclo di decisioni strategiche e tattiche per mezzo di t utto un ventaglio di attività d’intelligence, militari e politiche”. Per contro, “il fallimento dello spionaggio israeliano fu catastrofico”. Sion non riuscì mai a identificare i centri di comando e controllo Hezbollah; bombardò, insieme a praticamente tutte le infrastrutture civili del Libano, dei bunker che erano finti; quelli veri non riuscì a scoprirli. Scoprì invece – dopo che per anni aveva pagato dei traditori libanesi per penetrare la rete telefonica del Libano – che Hezbollah aveva creato una sua rete di comunicazioni indipendente; cieca e sorda, la sua armata cadde in una dozzina di tranelli.
Invece delle torme arabe irruenti ma inette e facili da disperdere, Tsahal si trovò davanti tremila di soldati veri, capaci, determinati, disciplinatissimi, in mezzo ad una popolazione sciita che aveva assunto la mentalità della guerra totale – fino all’estremo sacrificio abbarbicati alla loro Stalingrado, al rettangolo di 45 chilometri quadrati per 25, che è la loro terra sciita, imprendibile di reti sotterranee, fortificazioni camuffate, in perfetta furtività. Erano anche isolati, in Libano. Samir Geagea (il losco capobanda cristiano maronita) e Walid Jumblatt (il druso) e Saad Hariri il miliardario semi-saudita, certi della disfatta della minoranza sciita, gongolavano e si intendevano con Sion. Il solo ad scendere al loro fianco fu il generale Michel Aoun, l’ex capo del governo di terribili anni lontani, cristiano, che ordinò ai conventi maroniti di suore di aprire le porte a donne e bambini del ‘Partito di Dio’.
Di questa sorprendente capacità ed organizzazione, per voce comune, il merito è di Syyed Hassan Nasrallah e delle sue eccezionali capacità di governo. Durante tutto il conflitto Nasrallah comparve dagli schermi della tv da lui personalmente fondata, Al-Manar, unica fonte di riferimento credibile per quei giorni, sempre calmo, sicuro e lucido. In un mondo dove la politica è teatrale, il discorso demagogico, iperbolico e fanfaronesco, l’eloquio di Nasrallah colpisce – anche i giornalisti israeliani arabofoni che non perdono nessuna delle sue apparizioni – per la sobrietà, la ricchezza letteraria unita a forme dialettali familiari al suo popolo; “quello che dice, fa – e fa’ quello che dice”, sunteggia un reporter.
In un ambiente dove l’esaltazione del ‘martirio’ di parenti è quasi un’industria, non esibisce mai la morte di un suo figlio diciottenne, Hadi, caduto eroicamente nel 1997 a Jabal al Rafei durante una operazione di attacco a un drappello israeliano. In una cultura dove gli islamisti e gli ipocriti (pensate ai sauditi e Erdogan) ostentano farisaicamente la loro pietas, Nasrallah è un religioso che colpisce (gli israeliani che lo capiscono) per il tono “laico” , misurato, semplice e concreto dei suoi discorsi.
Un personaggio autentico, che – riconoscono i suoi nemici – dice la verità. Nato nel 1960, primo di nove figli di un droghiere, suo padre era membro partito nazionalsocialista siriano, e la sua famiglia non particolarmente religiosa. Nasrallah che ha studiato a Najaf in Iran, non è solo un religioso sciita, oltre che un politico e un comandante militare; è un uomo spirituale, impegnato in quella che potremmo chiamare la conquista della santità personale – il sayr wa suluk (viaggio spirituale) nel quadro dello ‘irfan.
Gli amici sciiti traducono ‘irfan come ‘gnosi’ , onde Nasrallah sarebbe uno gnostico – il che potrebbe andare, se non fosse per l’accezione negativa che il termine ‘gnosi’ e ‘gnostico’ ha assunto nella nostra cultura. Diciamo che ‘irfan indica unaspecifica via ascetica in cui si progredisce secondo metodi accertati ed atti di adorazione (ibadat) lungo graduali ‘stati’ (ahwal) e ‘stazioni’ (maqamat) di progresso spirituale, verso “la Realtà” ultima e radicale – e ciò con l’assistenza di un maestro (direttore di coscienza, diremmo forse noi) che ha fatto quel cammino.
La profezia di Khamenei
Del suo padre spirituale – l’ayatollah iraniano Bhaiat (1916-2009) – maestro Nasrallah ha parlato, con commozione e profondo rispetto, in una recente intervista che potete leggere in italiano.
Anche se lunghissima, ne consiglio la lettura per assaporare il tono della religiosità del comandante Hezbollah. Ne traggo almeno un episodio, che riguarda appunto il conflitto del 2006:
“…. Alcuni mesi prima della guerra dei 33 giorni [scatenata nel luglio del 2006 da Israele contro il Libano e Hezbollah], un fratello libanese che studiava presso la Hawzah di Qom venne da me riferendomi che l’Ayatullah Bahjat (che Iddio preservi il suo segreto) mi consigliava di recitare il seguente Dhikr [giaculatoria, in termini cristiani, ndr.] tre volte al mattino e tre volte alla sera: (اللهم اجعلني في درعك الحصينة التي تجعل فيها من تريد – Allahumma jalni fi Darikal hasina hallati tajalu fiha man turid–
O mio Dio, ponimi al riparo col Tuo saldo scudo col quale proteggi chiunque Tu desideri).
Chiesi se vi fosse un qualche motivo particolare per questo, ma egli mi rispose di non saperlo: aveva solamente l’incarico di trasmettermi il suddetto messaggio. Effettivamente la natura di questo Dhikr ha a che fare con la protezione, e poiché è noto che noi membri e dirigenti di Hezbollah siamo costantemente sotto minaccia di morte – come accaduto col precedente Segretario Generale di Hezbollah Seyyed Abbas al-Musawi, con sua moglie ed il loro figlioletto – è logico sentirsi costantemente in pericolo. Ma perché mai trasmettere quello specifico Dhikr proprio in quel momento? Ho pensato vi fosse qualche motivo preciso, legato a questioni di sicurezza o alla possibilità di attentati. Dopo pochi mesi però la guerra ebbe inizio e, sin dal primo giorno, gli israeliani cercarono di trovarmi con tutti i mezzi a loro disposizione colpendo qualsivoglia obiettivo ritenessero un mio potenziale rifugio. Secondo quanto affermato da loro stessi, alcuni bombardamenti furono particolarmente intensi a seguito di specifiche informazioni che individuavano la mia presenza in questo o quell’edificio. Fu così che compresi che quello specifico Dhikr non mi fu suggerito per motivi di sicurezza legati a situazioni precedenti ma bensì come scudo e protezione durante il conflitto imminente.
“E’noto a tutti come durante la guerra la situazione fosse estremamente difficile: la maggioranza delle potenze occidentali erano unite nel preciso intento di eliminarci, di comune accordo con altrettanti paesi della regione favorevoli al conflitto ed al nostro annientamento. Persino all’interno della società libanese vi erano divergenze, al punto che taluni, pur non dichiaratamente schierati con il nemico, ci criticavano negandoci il loro sostegno. Ci sentivamo soli (gharib) e circondati. In base ai calcoli e alle previsioni materiali, politiche, militari e logistiche esistenti sembrava quasi impossibile parlare di vittoria; in quei giorni la maggioranza di noi pensava che più che come la battaglia di Badr o di Khaybar (4) sarebbe finita come [la battaglia di] Karbala.
“(…) l’Ayatullah Bahjat, nei primi giorni della guerra mi inviò un messaggio nel quale ci invitava a rimanere tranquilli poiché sicuramente, a Iddio piacendo, saremmo usciti vittoriosi dal conflitto. Ovviamente questo ci infuse un coraggio sovrumano frutto della fede incondizionata che riponevamo in lui: in realtà non v’era la benché minima speranza all’orizzonte, figuriamoci il pensiero della vittoria! Così trasmisi immediatamente questo messaggio ai dirigenti di Hezbollah ed ai combattenti al fronte.
Il secondo evento è legato alla nostra Guida, Seyyed Khamenei, che nella prima settimana di guerra mi inviò un messaggio nel quale diceva: ‘Questa guerra è molto simile a quella di Ahzaab (“Quando vi assalirono dall’alto e dal basso, si offuscarono i vostri sguardi: avevate il cuore in gola e vi lasciavate andare ad ogni sorta di congettura a proposito di Dio“, Corano, 33:10), ma affidatevi a Dio, sarete vittoriosi in questa guerra, e diventerete una potenza nella regione.”
A colui che ci ebbe trasmesso questo messaggio dissi scherzando che ci bastava uscirne vivi!
Questi due messaggi recanti così buoni auspici furono fonte di una così intensa ispirazione emotiva, religiosa e spirituale, che, nonostante tutto fosse contro di noi, continuammo a combattere con irriducibile certezza nella vittoria finale”.
Un ecumenismo possibile
E’ questa la forza del movimento, il segreto della calma serena, dell’assenza di paura del suo capo di fronte al pericolo quotidiano del nemico più feroce che esista sulla terra. Nasrallah ne è cosciente. “Come noto – dice – una delle caratteristiche di Hezbollah è il Tawakkul (riporre fiducia totale in Dio), la fiducia nelle promesse divine, la certezza dell’aiuto di Dio, il rifugiarsi in Lui, il chiedere il Suo aiuto e il Tawassul (cercare l’intercessione presso Dio degli Intimi di Dio). (…) Posso affermare che in realtà, se non fosse per l’aspetto spirituale e sapienziale, la Resistenza in Libano non sarebbe esistita (….) Ripensando a quei giorni oggi emerge più che mai palese quale fosse l’ideale che spinse quei giovani ad imbracciare le armi, a combattere senza risparmio sotto le bandiere della Resistenza, a perseverare lungo un così arduo sentiero: era la loro fede in Dio ed il vivere il confronto con il nemico come un dovere religioso (taklifsha’ri); se avessero ignorato il combattimento e il Jihad, avrebbero dovuto renderne conto nel Giorno del Giudizio”.
Che dire? Come pallido seguace di Cristo, ben più indietro di lui quanto a fiducia nelle promesse divine, so riconoscere ciò di cui Maestro Nasrallah parla.. Ed esprimo la più alta stima per la sua nobile figura ogni giorno braccato dalle armi giudaiche; come non posso che tributare la mia stima ecommosso rispetto per l’ebraismo di Neturei Karta, il piccolo resto di rabbini e fedeli che dichiara lo stato d’Israele un sacrilegio e una violenza contro Dio, e ne viene perseguitato. Se le gerarchia vaticana fosse ancora davvero credente, non cercherebbe accordi con islamisti “moderati” e sionisti rabbinici seminatori di morte, ma saprebbe riconoscere fratelli in Hezbollah e Neturei Karta. Sarebbe la fondazione dell’ecumenismo fra “coloro che si rifugiano in Lui”, assai diverso da quello predicato dal cardinal Kasper….Mi sforzo di pregare e sperare che ciò avvenga un giorno. Frattanto, ovviamente, Hezbollah è iscritto nella lista dei movimenti terroristi dagli americani (ossia dai sionisti), ed ora – su istigazione dei Saud – persino dal mondo arabo sunnita. La sua tv Al Manar è oscurata in Europa (su istigazione di Sarkozy), cosicché gli immigrati possano imparare la ‘fede’ dalla predicazione wahabita, il contrario della spiritualità. Eppure ecco qui un islamico “moderato”.
Un’ultima notizia, significativa per chi sa intravvedere, dietro la storia, una ironica meta-storia. Ehud Olmert era primo ministro quando scatenò la guerra contro Hezbollah nel 2006. Oggi, settantenne, sconta in Israele una pena di 19 mesi per corruzione e ostruzione alla giustizia. Il presidente israeliano di allora, Moshe Katzav, è in galera per violenza carnale, su denuncia delle sue segretarie. Il generale Dan Haloutz, capo dell’aviazione israeliana che allora ordinò i bombardamenti distruttori su Beirut, è stato dimesso con disonore per malversazioni finanziarie.