Vista la reazione del governo della Corea del Nord, che minaccia di far saltare il vertice con Trump a Singapore perché gli americani hanno fatto traboccare il vaso non rinunciando alle esercitazioni militari Blue Lighting ai suoi confini, la Corea del Sud ha deciso di non partecipare a queste esercitazioni. Anzi ha fatto di più: “il 16 maggio, il ministro coreano della difesa, Song Young-moo, incontrato il generale Vincent Brooks, comandante delle forze Usa nel paese, lo ha gentilmente pregato di non far entrare i B-52, i bombardieri strategici che dovevano partecipare all’esercitazione, nello spazio aereo sud-coreano”: così una breve di Sputnik News.
E i B-52, che erano già decollati da Guam, ci sono ritornati dopo aver fatto i diversi giri che servono a consumare il pieno di carburante previsto per la missione. Insomma Seul ha praticamente vietato lo spazio aereo ai bombardieri americani.
Questa capitolazione avviene al termine di giorni in cui la neo-diplomazia Usa alla Donald ha accumulato gigantesche cantonate che sembravano fatte apposta per mandare a monte quel vertice, a cui invece Trump tiene moltissimo.
Il raffinato tatto diplomatico di John Bolton
Ha cominciato John Bolton, il consigliere della sicurezza nazionale che Trump s’è scelto ben conoscendo che tipo è: d’improvviso, ha dichiarato che, sulla questione del nucleare nord-coreano, avrebbe adottato “il modello Libia”. L’espressione è già abbastanza insultante per irritare Kim, memore del trattamento che gli Usa hanno fatto subire a Gheddafi. Ma in realtà, Bolton – con il suo raffinato tatto – voleva dire: “prima”, la Corea del Nord consegna i suoi mezzi atomici e consente le visite degli ispettori, e “solo poi” gli Stati Uniti solleveranno le sanzioni economiche, quelle che vorranno loro. Fu infatti questo il “modello” a cui si adattò Gheddafi, quando anni fa si procurò alcuni impianti per cominciare l’arricchimento dell’uranio – senza però avere né la forza industriale e le competenze scientifiche per davvero farsi l’atomica. Allora, per ottenere la fine delle sanzioni, il libico caricò su una nave quel materiale, e “solo dopo” Washington levò alcune sanzioni.
A quel punto, la Casa Bianca s’è prodigata per superare la figura di Bolton, assicurando Kim che non gli avrebbero fatto subire il “trattamento Libia” inteso come invasione ed assassinio, quale quello che fece subire Hillary Clinton a Gheddafi.
Il guaio è che il giorno dopo, nella conferenza-stampa rituale, un giornalista chiede a Trump cosa pensa del “modello Libia” proposto da Bolton, e Trump, evidentemente del tutto impreparato, e ignorante della sottile e malagevole distinzione fra i due concetti, ha interpretato come il secondo tipo di “trattamento Libia”. Infatti, a braccio, ha risposto:
“Se guardi al modello con Gheddafi, quella è stata decimazione totale. Siamo andati lì e lo abbiamo battuto. Ora, quel modello sarà applicato se non facciamo un accordo, molto probabilmente. Ma se facciamo un accordo, penso che Kim Jong-un sarà molto contento”.
( la frase originale: “The model, if you look at that model with Gaddafi, that was a total decimation. We went in there to beat him. Now that model would take place if we don’t make a deal, most likely. But if we make a deal, I think Kim Jong-un is going to be very, very happy.”)
Di fatto, una gaffe impossibile da medicare. Gigantesca. Sesquipedale. Trump ha praticamente detto a Kim: fai il trattato con noi, o ti facciamo fare la fine di Gheddafi. Probabilmente anche Donald se ne deve essere accorto quasi subito, perché ha borbottato che avrebbe garantito “forti garanzie” per la sicurezza di Kim, se accedeva all’accordo. Naturalmente del tutto inconscio che, da come lui ha distrutto l’accordo sul nucleare con l’Iran, firmato da un presidente Usa e confermato dagli alleati europei, dai russi e dal Consiglio di Sicurezza ONU, Kim sa che una “forte garanzia” americana non vale la carta su cui è scritta.
Chiunque, e non solo l’intelligente Kim, ha concluso che la Casa Bianca non voleva affatto l’accordo e avrebbe mantenuto le sanzioni, avrebbe minacciato “total decimation” e si sarebbe rimangiata tutti gli sforzi di arrivare a un “deal” con Pyongyng. Invece, ecco, risulta che la Casa Bianca ci tiene eccome, al vertice con Kim. Al punto da accettare la ferma preghiera di Seul di non mostrare i suoi B-52, una umiliazione mai vista.
Perché, la Corea del Sud non esporta in USA?
Il che provoca qualche triste paragone con il comportamento della UE di fronte alle ingiunzioni di Trump sull’Iran. Bruxelles, Berlino e Parigi, dopo una vacua resistenza a parole, hanno accettato di partecipare alle nuove sanzioni che Trump ha elevato contro Teheran, nonostante l’Europa voglia e dichiari di voler tenere fede all’accordo JCPOA, perché sennò gli Usa infliggono di multe e ritorsioni commerciali per le imprese europee: perché si sa, la UE, e la Germania in primo luogo, esporta molto negli Stati Uniti. Perché, forse che la Corea del Sud non esporta anche lei qualcosina in Usa? E non è un paese di 45 milioni di abitanti, occupato dalle basi americane da mezzo secolo? Eppure ha avuto la fibra per vietare praticamente il suo spazio aereo ai bombardieri americani.
Ovviamente la UE non ha questa spina dorsale.
Peggio: di fronte ad un Trump che caoticamente distrugge il Sistema globale americano forse senza saperlo (Trump è “un sintomo, un detonatore, una conseguenza – non una causa – della volontà di auto-distruzione del Sistema”, scrive Philippe Grasset), l’Europa tecnocratica e berlinese si fa trascinare nel gorgo trumpiano di distruzione. Aggredita in ogni modo dal presunto “alleato”, minacciata di sanzioni e dazi e da ingiunzioni di riarmarsi per contribuire la protezione americane e battere la Russia, è fin troppo evidente la UE ha tutte le ragioni per prendere le distanze da quel folle “alleato” a avvicinarsi alla Russia. Invece, partecipa alle campagne russo-fobiche britanniche al Nivichok; spara missili sulla Siria; accusa la Russia e il suo alleato siriano di usare armi chimiche, accusa palesemente falsa; impone sanzioni alla Russia stando dalla parte del regime golpista di Kiev; le aggrava; usa un linguaggio come se avesse a che fare con un governo criminale….e poi la Merkel va a Sochi a parlare con Putin del gasdotto baltico che i tedeschi stanno fabbricando con i russi a dispetto degli Usa – e Putin la riceve pure con un mazzo di fiori.
Trump ha intrappolato la UE nelle sue contraddizioni
L’Europa insomma si divarica nello sforzo supremo di piacere a Putin e non dispiacere a Washington, una divaricazione che mette in luce tutte le sue contraddizioni e può portarla a spaccarsi.
Ne tratta il saggista e filosofo inglese John Laughland, in un pezzo magistrale. Stracciando il trattato con L’Iran, dice, Trump ha dato alla UE un triplice pugno, politico, economico, ideologico. Politico perché Macron e Merkel sono andati a implorare di non rompere il patto con l’Iran, ottenendo meno che nulla. Economico, per i colossali contratti che l’Europa accetta di perdere.
Ma soprattutto ideologico, “perché la UE poggia tutta la sua legittimità sulla credenza che mettendo in comune le sovranità e fondendo gli stati in una unica entità, essa è progredita al di là delle epoche in cui le relazioni internazionali erano decise dalla forza. Crede di incarnare un ordine internazionale basato su normative, che è perfetto mentre ogni altro porta alla guerra. E’ impossibile esagerare l’importanza che questa credenza ha per i leader europei.
Ma Donald Trump la ha sfasciata.
E la UE si è messa da sé in un angolo, senza potersi liberare, perché si è identificata con la NATO fino ad iscriverne la subordinazione nel tratatto di Lisbona del 2009; perché s’è bruciata i ponti verso gli altri partner che possono sostituire gli Usa, in primo luogo la Russia – solo poche settimane fa gli stati europei hanno espulso dozzine di diplomatici di Mosca sotto la falsa accusa britannica dell’avvelenamento Skripal. Insieme agli Usa, hanno perseguito la caduta di Assad in Siria per mezzo secolo. Come possono adesso lamentarsi che Trump vuole ottenere un “cambio di regime” in Iran?
E terzo, perché come possono i leader UE lamentarsi delle sanzioni americane contro le loro imprese, quando essi stessi hanno applicato sanzioni alla Russia, dannose per quella economie, già nel 2011 (Siria) e poi con il pretesto che Mosca aveva “invaso l’Ucraina”?
Adesso Donald Tusk chiama e ordina che i paesi europei siano “uniti” contro Trump: “L’Europa è una o non è nulla”. Ma stanno perdendo l’Ungheria e la Polonia che non obbediscono a Bruxelles, e rischiano di perdere l’Italia se il governo che si insedierà a Roma applicherà una politica economica che è anatema per le “regole” europee, e può provocar la fine dell’euro.
Insomma: “Trump il folle è riuscito a far apparire gli europei i folli che sono. Gli europei hanno messo tutte le loro uova in un solo cestino, e Trump glielo ha rovesciato: sarà difficile se non impossibile ricomporlo”.
John Laughland, who has a doctorate in philosophy from the University of Oxford and who has taught at universities in Paris and Rome, is a historian and specialist in international affairs.