SINISTRA E CAPITALISMO. UNA FUSIONE APPASSIONATA

 

di Roberto PECCHIOLI

 

Abbiamo sostenuto molte volte l’inservibilità delle categorie destra/sinistra. Torniamo sull’argomento con un titolo in cui compare la parola sinistra. Non è un cambio di opinione, ma un espediente linguistico. I termini corretti per designare i filoni odierni del pensiero “di sinistra” sono progressismo e globalismo. Società contro comunità, liberazione versus libertà, cosmopoli anziché identità. L’indigeribile minestrone somministrato ed imposto dal liberalcapitalismo nella sua declinazione ultima: libertario libertino sui temi civili, quelli che i francesi definiscono “societali”, liberista in economia, mondialista nella visione complessiva. La differenza con la destra è di forma: le destre liberali sono un tantino più caute sui valori “societali“( ma fu un governo conservatore ad introdurre il matrimonio omosessuale in Gran Bretagna)  e più sincere quando si tratta di difendere il mercato misura di tutte le cose.

Nessuna delle due parti mette in discussione il sistema vigente, tanto che un intellettuale socialista, Jean Paul Michéa, ha potuto parlare di “destra del denaro e sinistra dei valori”, che si incontrano al centro, luogo degli affari e del potere. Rod Dreher, pensatore conservatore americano, autore di Opzione Benedetto, un testo che invita a costruire, sulle piste indicate da Alasdair Mc Intyre, comunità legate alla tradizione cristiana ed europea nel solco del santo di Norcia, inizia il suo libro con una dichiarazione di allontanamento dalla cosiddetta destra. I conservatori, sbotta, alla fine non sanno fare altro che tessere l’elogio del mercato libero. Con molta arguzia un onesto liberale, Guido Crosetto, ha dichiarato, di fronte alla fiera delle vanità della “Milano da bere” riunita alla Scala, che non era strano il lunghissimo applauso a Mattarella e alle autorità presenti, da parte di chi può spendere migliaia di euro per una toilette e pagare il biglietto all’opera.

Certamente, quel pubblico era in maggioranza di elettori della (cosiddetta) sinistra. Globalista, glamour, cool, a suo agio negli aeroporti internazionali, anglofona e carica di disprezzo per la gente normale, il popolo, i deplorevoli di Hillary Clinton, gli sdentati di François Hollande, non a caso clamorosamente sconfitti dal voto populista della plebaglia ignorante e suburbana. E’ quindi interessante riordinare le idee, per definire la realtà attuale, con l’obiettivo di scuotere l’albero poco irrigato dalle idee dell’altrettanto cosiddetta destra. La nostra tesi è che esiste, si diffonde e dilaga una fusione appassionata, passionale, tra l’ex sinistra, nelle sue forme post marxiste, radicali, progressiste e globaliste e il capitalismo ultimo, liberista e libertario. Il punto di congiunzione tra le due culture, una delle quali detta l’agenda economica, geopolitica e finanziaria e l’altra si incarica di incanalare il consenso di massa nei confronti del nuovo ordine mondiale, è l’individualismo, anzi il soggettivismo.

Una passione relativista, che chiama libertà la liberazione e progresso l’obliterazione di ogni legame con la storia, l’identità, la comunità, la solidarietà. Vince il neo liberismo globalista, la folla è guidata da un clero accademico e mediatico di nuovi privilegiati al servizio dei veri “superiori”. Costanzo Preve, un grande misconosciuto, lo chiamava ceto dominato di servizio all’interno della classe dominante, l’oligarchia degli iper ricchi, i padroni del mondo privatizzato.

Basta, per capire, uno sguardo al nuovissimo fenomeno delle sardine. Preoccupa già il nome: un pesce che viaggia in branco, non particolarmente intelligente e piuttosto facile da prendere nella rete. Le nasse della sinistra politica sono sempre abbastanza strette da realizzare un’ottima pesca. Cambiano i nomi, qualche capetto si affaccia alla ribalta in attesa di fare il balzo in parlamento, non cambia la sostanza. La manifestazione romana è stata, al riguardo, assai significativa. Nessun accenno ai problemi sociali: la povertà, il precariato, la disoccupazione – specie delle masse giovanili convocate senza vergogna dagli squali di sempre- il dominio della finanza internazionale, la crisi dell’ILVA, il salvataggio dei banchieri ad opera di governi sedicenti di sinistra. Su questi temi, silenzio e oblio. In compenso, lottano contro l’opposizione (!!!), i cui capi e membri sono non avversari, ma nemici malvagi a cui togliere la parola.

Hanno esposto in sei punti, immaginiamo dopo lunghe riflessioni collettive tenute via skype e teleconferenza (sono nativi digitali!) un concentrato del nulla, vuoto pneumatico condito di arroganza, intolleranza e odio. Proprio i sentimenti che attribuiscono agli altri. Il solito bue che dà del cornuto all’asino. Colpisce l’apodittico “pretendiamo” con cui hanno esposto il loro pensiero debolissimo.  E’ la parola magica: pretendono. E’ tutto dovuto ai signorini viziati. Per ottenere qualcosa basta piagnucolare e battere i piedi, come bambini capricciosi. Che cosa pretendono, poi? Di chiudere la bocca agli avversari, i cattivoni, gli orchi delle fiabe, sbarrando gli spazi sulla rete e sui media sociali. Democrazia in quantoché comandano loro: che mondo meraviglioso, sole, pace, amore e schiavitù volontaria. Povera generazione fiocchi di neve.

L’unica idea esalata dai capi-sardine è, manco a dirlo, la richiesta- la pretesa- dell’immigrazione libera, un mondo unico, felice, dove tutti si abbracciano e vivono in armonia. Pullulavano sardine nere, sardine femmina velate e soprattutto rappresentanti delle ONG immigrazioniste. Carola Rackete è un idolo, ma il dominus, temiamo, è la rete di George Soros. Una volta di più, si rivela la questione dirimente dalla quale dipende tutto il resto: immigrazione sostitutiva o rilancio dell’identità comunitaria e difesa della cultura europea, esercito di riserva che abbatte il costo del lavoro e dissolve la società o un rinnovato patto generazionale simile a quello dei primi settanta, ottant’anni del secolo passato, comunità aperte ma coese intorno a principi fondamentali contro il multiculturalismo nichilista da governare in modo autoritario con divieti, leggi repressive del pensiero, obbligo del politicamente corretto.

Individualismo, dicevamo, o meglio soggettivismo. L’egalitarismo insensato dei “diversamente uguali” tanto caro ai superiori, ai burattinai della nuova sinistra, progresso, emancipazione, liberazione dai vincoli.  I progressisti, o marxisti culturali sono di gran lunga i migliori alleati, e fratelli di sangue del potere corporativo ed oligarchico neo capitalista. In termini marxisti, complici oggettivi. Il capitalismo ha mutato pelle per dominare meglio. La muta, lo Zelig è la migliore capacità del capitalismo, l’attitudine che gli ha permesso di attraversare la storia da vincente ed improntare di sé due secoli e più della storia umana. E’ “avanzato” politicamente e comunicativamente. Si è dotato senza fatica di una maschera progressista, l’equivalente di una coscienza progressista, gentilmente fornita dai partiti sedicenti di sinistra che ne condividono gli obiettivi distruttivi.

Esistono esempi tipici di personalità che incarnano questo transito dal marxismo libertario all’individualismo neocapitalista. In Europa, il più tipico è Daniel Cohn Bendit, simbolo del Maggio francese, noto nei salotti e nelle anticamere delle barricate con il soprannome di Dany il rosso. Il rivoluzionario di mezzo secolo fa è ora un affermato sostenitore del neoliberismo e di tutto ciò che ne consegue, il perfetto esemplare di attivista intellettuale del capitalismo. Ha tradito forse la sua rivoluzione? Al contrario, esibisce, da leader riciclato ecosostenibile, con il comportamento, le pose, le convinzioni radicali sui “diritti” civili, il suo carattere felicemente transnazionale, lo stesso spirito che abbiamo visto nella vita anteriore di Dany il Rosso.

Nessuna contraddizione, nessuna maschera, nessun gioco di ruolo. È il perfetto rappresentante della passione fusionale tra capitalismo e sinistra. Parliamo del capitalismo postmoderno, che adotta volentieri gli abiti progressisti come segno distintivo, mode, tic, parole d’ordine della sinistra postmoderna la cui corrente libertaria/libertina in campo culturale e valoriale, riferimento egemonico della postmodernità.

Sono interessanti le tesi di Michael Rectenwald,, autore del recente Arcipelago Google. Esperto dei meccanismi di comunicazione postmoderna, spiega come si è affermato il “corporate power”, il potere delle corazzate dell’industria, della finanza e della tecnologia, la centrale transnazionale che detta l’agenda politica e soprattutto culturale. In alleanza, attraverso le sue ONG e il ferreo potere mediatico ed accademico, con il post marxismo, sconfitto nella sua pretesa economica, ma dilagante nell’ egemonia sul costume. Gramscismo tattico senza le idee di Gramsci. E’ l’atteggiamento detto “wokeness”” il risveglio, la “coscienza infelice” delle ingiustizie e delle oppressioni che gravano sulle minoranze, innanzitutto sessuali e razziali. Nel vocabolario della postmodernità, indica la necessità di ricercare comprensione e verità per sfidare l’ingiustizia.

L’onnipotenza capitalista (il potere corporativo), è il riferimento assoluto della struttura mediatica imperniata in Italia su organi come Repubblica, Raitre o La 7. Il “risvegliato” progressista e riflessivo prova un fascino irresistibile per il meticciato, che chiama beatamente contaminazione, ama Babele, identificata con la sua capitale del cuore, New York, concepisce la terra come un’estensione del sogno americano, così progressista, multiculturale e liberale. Dai salotti borghesi descritti in America da Tom Wolfe nel Falò delle vanità, questo progressismo febbrile perennemente in corsa per cogliere tagliare nuovi traguardi e proseguire la marcia senza voltarsi, è tracimato nel senso comune di milioni di europei.

L’ alleanza fusionale tra società di sinistra progressista e l’ipercapitalismo/ neoliberismo è una completa falsificazione, la vittoria senza meriti delle peggiori ubbie del secolo passato. Il progressismo di ascendenza marxista e libertaria è totalmente dipendente dal Sistema, un suo utile idiota che va incontro al destino servile. Figlio del nostro tempo, contraffatto, finirà sulla ghigliottina della storia.

Il punto essenziale che separa gli pseudo neo-marxisti postmoderni dai vecchi marxisti è l’indifferenza per la dimensione collettiva. È la completa negazione di ogni aspetto della solidarietà, di ogni riferimento concreto che consenta di andare oltre l’individuo a favore di una dinamica che, oltre il marxismo storico, pensi in termini di comunità, di un’ontologia che integri l’individuo nella rete familiare, nazionale, sociale, identitaria, professionale che dà senso al suo destino, come proposto dalla Tradizione.

L’individualismo della sinistra progressista aderisce completamente all’ipercapitalismo fornendogli una presunta moralità, una filosofia da bazar e da talk-show che ben si sposa con la mediocrità dei suoi ciarlatani; offre una dialettica ideologizzata in un quadro di destrutturazione, dissoluzione ed entropia sociale. Per il resto emergono tratti di vanità, egoismo e la ricerca comune del piacere che nasconde un clamoroso abbassamento del carattere, un’intelligenza atrofizzata, una gaia servitù volontaria postmoderna spiegata ai Dummies, nell’Italia di questi giorni il popolo delle sardine, gregge felice in corsa verso il nulla.

La politica di sinistra è perfettamente compatibile, se non sovrapponibile, con l’agenda dei giganti aziendali globali. Le multinazionali e gli attivisti di sinistra vogliono le stesse cose. Il globalismo – in termini marxisti, internazionalismo- è sempre stato un obiettivo della sinistra ed è il fine ultimo del corporate power. Gli uni espandono i mercati e gli altri pensano di far avanzare in forma nuova l’obiettivo marxista “lavoratori del mondo, unitevi”. L’immigrazione senza limiti fornisce manodopera a basso costo per le imprese; a sinistra si sentono politicamente e moralmente superiori in quanto anti-razzisti. Danno il benvenuto a tutti – indipendentemente dalla razza, religione, sesso o orientamento sessuale – compresi i membri di mafie multietniche che vendono droghe ai ragazzini, riducono in schiavitù le loro vittime ed estorcono denaro a chi lavora. Tutto questo, ovviamente, lontano dai quartieri d’élite dei progressisti al caviale.

Il transgenderismo e l’omosessualismo, nuove frontiere avanzate e progressive, sono ottime per il business. Creano nuove nicchie per i prodotti delle multinazionali, dividono la forza lavoro e distraggono l’ex sinistra dalle ingiustizie quotidiane. Sbarazzarsi delle nazioni, degli Stati, della famiglia stabile naturale, della cultura occidentale e, di passaggio, del cristianesimo imprime il marchio di progresso e di politica di avanguardia, ma soprattutto è un immenso favore per gli obiettivi delle oligarchie globaliste, eliminando tutti gli ostacoli al dominio degli affari, al mercato “misura di tutte le cose”.

Un argomento di Rectenwald riassume tutti gli altri e risolve risolutamente la questione della fusione, solo apparentemente strana tra capitalismo e progressismo di sinistra. La “wokeness” progressista è costitutiva dell’alleanza tra il capitalismo globalizzato e la sinistra postmoderna. Un’unione sconcertante per coloro che sono abituati alle classificazioni politiche classiche, che è la sintesi (postmoderna, ovviamente) di tendenze ben note del XX secolo, il massiccio riciclaggio di tutto ciò che è fallito nel ventesimo secolo assunto in un’altra forma, in grado di fornire al neoliberismo il grimaldello per il suo sogno globalista. E’ la vittoria del marxismo culturale sul capitalismo e la vittoria del capitalismo sul marxismo culturale, giacché, in definitiva, uno è nell’altro e viceversa: hanno la medesima natura, lo stesso sistema ontologico, l’identico materialismo. Giunti al nocciolo, coincidono.   

Resta un piccolo ostacolo in questa evoluzione rapida, imposta con un potere inimmaginabile, l’alleanza tra la nuova sinistra, movimento di trucchi e menzogne di singolarità centrate sul sesso, paradigma essenziale dell’umanità “liberata” e risvegliata, e l’ipercapitalismo mondialista. E’ la resistenza delle forze marxiste tradizionali. Tra loro vi sono i critici più virulenti della miserabile sottocultura capital-progressista. Pensiamo al citato Michéa, a Eve Boltanski e Michel Chiapello, il cui libro Il nuovo spirito del capitalismo è una lettura che andrebbe imposta tanto agli ingenui di sinistra che ai ritardatari di destra.

Il capitalismo è un modo di produrre e di esistere diventato un destino senza alternative apparenti. Chiapello e Boltanski analizzano la grande trasformazione che ha investito il mondo occidentale, modificandone la struttura produttiva, sociale, morale e lo stile di vita, con il passaggio da un sistema rigido e gerarchico a un reticolo flessibile. Una libertà pagata con la distruzione della sicurezza materiale e psicologica. Il nuovo spirito del capitalismo trionfa perché ingloba un bisogno diffuso di autenticità, trasformando in merci da consumare il contenuto delle contestazioni al sistema manifestate dal Sessantotto a oggi.

Una forma subdola di sfruttamento che rende impotente o complice la critica sociale condotta finora. Restano gli ultimi trotskisti, a cui non piace ricordare che i neocons provengono dal trotskismo, del quale continuano a condividere, declinato nella forma della distruzione creatrice neocapitalista, lo spirito di rivoluzione perenne, il cambiamento illimitato come fine. Il più puro spirito capitalistico, come comprese per primo Werner Sombart. La furia che mostrano contro la società progressista è palpabile nel modo in cui denunciano il maccartismo di movimenti come le femministe arrabbiate di #MeToo.      

Questo non significa che esista un fronte interno contro la sinistra “culturale” dei costumi, assimilata irreversibilmente all’ipercapitalismo.  Quella ridotta culturale è un marxismo spurio da società dello spettacolo (Debord.) In Italia tengono botta solo il piccolo partito comunista di Marco Rizzo e qualche esponente isolato, come Stefano Fassina. Il resto è allineato al progressismo/capitalismo dominante. Per usare un paradosso, o il lessico binario sulla via del tramonto, la vera sinistra, in termini sociali, è oggi la destra nelle sue versioni populiste, popolari e identitarie. Solo nel popolo, nella gente comune, si ritrova ancora l’ansia di valori fondanti, ancoraggi morali e spirituali. Erano i valori della destra civica, sempre più confusa dalla sua adesione acritica alle follie mercatiste, attratta irresistibilmente dal servizio alle oligarchie del denaro e della tecnologia.

La fusione progressismo-capitalista si combatte in un’unica maniera, con l’operazione uguale e contraria, fondendo il bene comune, la giustizia sociale, l’opposizione intransigente alla privatizzazione del mondo e al dominio del denaro- che diventano precarizzazione, povertà, riduzione dell’uomo a merce – con l’identità, la legge naturale, l’apertura al trascendente, l’adesione ai valori familiari e comunitari, l’amore di Patria.

Destra dei principi, sinistra della giustizia e del lavoro.