Niente figli. Né Angela Merkel né Teresa May, né Macron né Gentiloni hanno figli. E non basta: sono senza figli anche il primo ministro svedese, olandese, irlandese, del Lussemburgo. Senza figli Christine Lagarde, governatrice del Fondo Monetario Internazionale. Solo lo spagnolo Mariano Rajoy e il belga Charles Michel ne hanno due ciascuno. E’ la prima volta nella storia che questo avviene, dice Charles Gave, economista e pensatore: “E chi non ha figli non ha la stessa visione del futuro di chi ne ha. Il futuro, per loro, si ferma alla prossima elezione o alla propria morte”.
In Germania il 30% delle donne di più di 45 anni, e il 40% di quelle con diploma universitario, non hanno figli. E’ lo stesso quasi dappertutto nel resto d’Europa, dove il tasso di fecondità (numero di figli per donna) delle popolazioni locali (senza tener conto degli immigrati) è di 1,4 : sotto il tasso di sostituzione.
Gave spiega: “In Italia e Grecia, 100 nonni hanno 42 nipoti. La piramide demografica è rovesciata, poggia sulla punta invece che sulla base. E tutti sanno che se una piramide poggia sulla punta,ha la deplorevole tendenza a crollare” . E’ già possibile indicare le crepe:
“Nonni e genitori hanno emesso un debito pubblico gigantesco quando erano 100. Pensare che i nipoti saranno in grado di rimborsare quel debito quando saranno 42, appartiene all’ottimismo più beato.
“I 100 nonni sono tutti alloggiati, spesso molto bene. L’immobiliare crescerà quando non ci saranno che 42 compratori per cento venditori? E lo stesso vale per le auto, le stanze d’albergo, i posti di professore o di ostetrico…”. Ma niente paura: i nostri governanti senza figli riempiono i nostri paesi di immigrati dall’Africa e dal Medio Oriente: saranno loro che compreranno i begli appartamenti dei nonni, sosterranno la domanda di auto e di ostetriche, sono quelli che pagheranno le nostre pensioni.
Allora Charles Gave indossa le mezze maniche di attuariale, e fa un po’ di conti: politicamente scorretti, avverto. Abbiamo visto che la popolazione locale ha un tasso di fecondità di 1,3, 1,4 figli per donna. Mentre la popolazione di recente immigrazione (che significa, da noi, musulmana) ha 3,4 o 4 figli per donna. Poniamo che questa popolazione sia “solo” il 10% della popolazione totale. Entro 40 anni, avverrà il rovesciamento: i nipoti generati dal 90 per cento pareggeranno i nipoti generati da quel 10, poi li supereranno. Oltre la metà della popolazione “francese” sarà ineluttabilmente d’origine musulmana. Lo stesso avverrà in Germania e Italia, in Spagna ed Austria, in Belgio e Olanda.
“Attenzione: le mie non sono predizioni; sono calcoli. E non tengo nemmeno conto del continuo arrivo di nuovi migranti”,che in Italia sono centinaia di migliaia l’anno e avvicinano nel tempo il momento in cui la popolazione “italiana” sarà musulmana: ben prima di 40 anni, facciamo 20. A Bruxelles, capitale della UE, il 25% delle nascite sono di musulmani, in Galles e Scozia, il nome più frequente dei nuove nati è Mohammed. Le classi elementari sono già oggi riempite di bambini musulmani; fra 15 anni, ad entrare nel mercato del lavoro saranno loro. Non si dice che sia un male o un bene; è un dato di fatto, che avrà conseguenze sul sistema politico e il livello di civiltà vigenti.
Per la Francia le cose vanno un po’ meglio, apparentemente: grazie a politiche nataliste, il tasso di fertilità delle francesi è di quasi 2 figli per donna, sufficiente ad assicurarla sostituzione. Ma, avverte Gave: per ragioni ovvie, è vietato in Francia censire le popolazioni per credenze religiose. E dunque nessuno sa il tasso di fertilità “delle francesi arrivate recentemente, come si usa chiamarle. Quasi certamente sono queste francesi “recenti” ad alzare la media della natalità, mentre le francesi “di nascita”sono al livello delle altre europee, 1,4.
“Temo che sia la fine della nostra estate demografica, durata dal 1968 al 2010 circa”, conclude Gave, “e non ci sarà autunno, si entrerà direttamente in un inverno demografico che non sarà seguito, temo, da alcuna primavera. La nostra estate sarà veramente terminata quando la demografia si rovescerà e saremo diventati minoritari nel nostro stesso paese, e la maggioranza non farà alcuna attenzione alle geremiadi dei sessantottardi, che saranno allora pensionati o morti, ossia insignificanti”.
Fatto significativo, questo articolo di Gave ha meritato uno sprezzante e furente attacco da Libération (la gauche caviar, proprietà Rotschild) che si sforza di smentire i dati riportati dall’economista: la fecondità delle figlie delle musulmane cala ed si avvicina a quella delle francesi, alla terza generazione i nipoti degli immigrati musulmani si sentono meno islamici, eccetera. Ma soprattutto si denuncia di Gave “il sottotesto razzista, più precisamente islamofobo”.
Malafede sinistroide, vedere nell’avversario solo motivi abietti e criminosi. Ma Gave ha espresso invece un nobile dolore: “L’immensa nuova dei prossimi 30 o 40 anni sarà la scomparsa delle popolazioni europee, i cui antenati hanno creato il mondo moderno. E con le popolazioni spariranno le nazioni europee, così diverse e così complementari, che hanno fatto l’immenso successo del vecchio continente da cinque secoli almeno. Diceva Toynbee: le civiltà non muoiono assassinate, muoiono perché si suicidano. Questo, come ogni suicidio, è un rifiuto della vita. Nel fondo, l’Europa muore perché ha rifiutato la vita preferendo le culture della morte. Non è né bene né male. Semplicemente, “è”.
Sembra proprio che, mentre siamo obbligati a riconoscere i diritti dei musulmani fra noi alla loro “cultura”, la specificità della loro mentalità e la dignità dei loro costumi e credenze – a noi siamo vietato anche piangere la fine della nostra impareggiabile cultura di tremila anni; ci vien rimproverato di sentire come una perdita la fine della nostra propria civiltà, che non vogliamo difendere più. Ma sarà permesso provare dolore all’idea che gli “europei” per jus soli del prossimo secolo vivranno indifferenti sotto il Pantheon e il barocco di cui non sapranno nulla, come oggi i fellah sotto le piramidi; che Dante non sarà più letto, che Caravaggio e Brueghel saranno distrutti come orrori peccaminosi, o buttati come estranee stranezze; che non si rileggeranno Thomas Mann e Santa Teresa; che il sangue e il fragore delle Termopili , Lepanto e El Alamein, della Beresina e di Verdun non saranno onorati, e i grandi nomi di Magellano, Vasco da Gama e Pilsudski sepolti nel nulla, che le biblioteche, i musei, le scienze, le tombe dei santi e dei re, la “biodiversità” culturale dei popoli europei così vicini eppure così diversi e vari – almeno fino all’omologazione mortale e terminale – tutto ciò non avrà più senso.
Proprio questo divieto orwelliano di piangere la propria civiltà indica che gli europei aspirano al proprio suicidio, in realtà non vogliono più essere. Forse ha ragione l’amico Nicolas Bonnal: “Noi spariremo per ragioni politiche, finanziarie o demografiche. Ma la perdita, per parlare come Flaubert, non sarà grande: non abbiamo più niente da proporre”.