La guerra fra Russia e Ucraina trova ampio spazio nei media e nei quotidiani, un conflitto dal quale l’ombra delle strategie statunitensi non sembra risultarne affatto esclusa. Domus Europa ha il piacere di parlarne col generale Fabio Mini, già Capo di Stato Maggiore del comando NATO per il sud Europa e comandante della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003.
Lei ha riportato all’attenzione del pubblico italiano l’accordo bilaterale fra USA ed Ucraina del 2008, aggiornato nel 2021: in sintesi, qual è il contenuto di questo documento?
“È un documento programmatico che giuridicamente vincola i due paesi a determinati progetti. Nei presupposti si fanno affermazioni di principio generiche e retoriche, i contenuti sono invece dei veri e propri impegni assunti dagli Stati Uniti nei riguardi dell’Ucraina, non tanto come paese ma come leadership da instaurare e sostenere a partire dal 2008, anno in cui prendeva forma l’avventura della Georgia contro la Russia. A quel tempo il presidente Saak’ashvili, pensò bene di invadere l’Ossezia meridionale in cui erano stanziate truppe della Csi in missione di peacekeeping. Pensava che le promesse e gli appoggi degli Stati Uniti e della Nato gli avrebbero consentito il colpo di mano e che la loro reazione contro la Russia gli avrebbe consentito di annettersi i territori. ll tentativo non riuscì e la Russia intervenne militarmente costringendo le truppe di Tbilisi alla ritirata. Nonostante le minacce e alcuni movimenti di navi né la Nato né gli Usa intervennero. Così la Russia riconobbe formalmente l’indipendenza dell’Ossezia e dell’Abkhazia sottoscrivendo con esse degli accordi di sicurezza e cooperazione. È in quel periodo che l’Ucraina inizia a premere per l’accesso alla Nato visto che la partecipazione al programma Nato della Partnership for Peace (di cui faceva parte anche la Russia) non era sufficiente a garantirsi da invasioni o a garantire le proprie ambizioni.
Il contenuto dell’Accordo con gli Usa di fatto aggira la Nato e l’Unione europea e detta la politica degli Usa nei confronti della Russia. In particolare si tratta di:
- espandere la cooperazione bilaterale in ambito politico, di sicurezza, di difesa, di sviluppo, economico, energetico, scientifico, educativo, culturale e umanitario;
- appoggiare l’accesso dell’Ucraina alla Nato;
- prevenire aggressioni esterne dirette e ibride contro l’Ucraina;
- ritenere la Russia responsabile di tali aggressioni e violazioni del diritto internazionale, tra cui il sequestro e il tentativo (sic) di annessione della Crimea e il conflitto armato guidato dalla Russia in alcune parti delle regioni di Donetsk e Luhansk dell’Ucraina, nonché il suo continuo comportamento maligno;
- sostenere gli sforzi dell’Ucraina per contrastare le aggressioni armate, le interruzioni economiche ed energetiche e le attività informatiche malevole della Russia, anche mantenendo le sanzioni contro la Russia o ad essa collegate e applicando altre misure pertinenti fino al ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. In particolare “gli Usa non riconoscono e non riconosceranno mai il tentativo di annessione della Crimea da parte della Russia;
- ribadire il loro pieno sostegno agli sforzi internazionali, compreso il Formato Normandia, volti a negoziare una risoluzione diplomatica del conflitto armato guidato dalla Russia nelle regioni di Donetsk e Luhansk in Ucraina (tali accordi sono stati sempre snobbati dagli Usa e disattesi dall’Ucraina che li ha anche ritenuti incostituzionali);
- sostenere gli sforzi dell’Ucraina di utilizzare la Piattaforma Crimea (pianificazione militare della rioccupazione) per coordinare gli sforzi internazionali per affrontare i costi umanitari e di sicurezza dell’occupazione russa della Crimea, coerentemente con la Dichiarazione congiunta della Piattaforma;
- sostenere l’ambizioso piano di trasformazione dell’economia ucraina, volto a riformare e modernizzare i settori chiave e a promuovere gli investimenti;
- proseguire la cooperazione nell’esplorazione e nell’uso dello spazio esterno per scopi pacifici e nell’attuazione di altre iniziative reciprocamente vantaggiose nell’ambito della cooperazione scientifica e tecnologica bilaterale;
- riaffermare la necessità di rafforzare le infrastrutture sanitarie dell’Ucraina e la sua capacità di reagire e gestire le pandemie, come la pandemia COVID-19. (In realtà le 15 strutture di ricerca biologica in Ucraina sono state attivate a partire dal 2005 e col Covid hanno poco a che vedere. Sono finanziate direttamente dal Pentagono. I dati di rilevazione delle vittime del Covid sono fermi al 24 febbraio scorso e fino ad allora l’Ucraina aveva registrato oltre 5milioni di contagi e 112000 decessi).
In tutto il documento manca un qualsiasi accenno agli impegni che l’Ucraina dovrebbe assumere per partecipare alla sicurezza collettiva e rispettare veramente quei Valori occidentali che a chiacchiere si dicono “condivisi”.”
Nel suo commento apparso su un quotidiano italiano lei ha sottolineato la singolare natura del linguaggio utilizzato in questo accordo bilaterale…
“Infatti. Il linguaggio esprime tutte le tesi della propaganda ucraina ultranazionalista. Di fatto non è un documento redatto da diplomatici, ma da attivisti ed estremisti che non lasciano aperta nessuna forma di moderazione. In ogni campo si individuano pretesti per un conflitto. Le parole “aggressione”, “sequestro”, “non riconosceremo mai”, ritenere “tentativo” qualcosa che è invece già avvenuto in maniera legale, ecc. sono elementi che qualificano il documento come agenda operativa di una guerra in atto e delle sue fasi successive. Se gli Stati Uniti volessero mai far cessare il conflitto in Ucraina dovrebbero strappare il documento e arrestare chi l’ha sottoscritto. Anche per questo ritengo che non ci siano molte speranze di una soluzione negoziale.”
Dopo il colpo di stato filo-occidentale del 2014, è possibile ricostruire oggi il ruolo degli USA nell’addestramento tecnologico ed ideologico delle forze armate ucraine?
“È un ruolo fondamentale che viene già avviato con le rivoluzioni colorate sostenute dagli Stati Uniti. In Ucraina si è verificata la prima deviazione su larga scala dall’impianto iniziale che prevedeva la mobilitazione delle piazze in maniera pacifica e soprattutto silenziosa, come avvenuto in Serbia con il movimento OTPOR che detiene il “marchio di fabbrica” di tale destabilizzazione interna. Gli esperti statunitensi della Cia o dei servizi statunitensi anche militari che elaborarono già nel 2000 il modello Otpor con seminari e sessioni addestrative prima tenute in Ungheria e poi in quasi tutto il mondo introdussero il metodo dell’infiltrazione di agitatori ed estremisti nei movimenti “spontanei”. In Ucraina a partire dal 2004, con il governo Yushenko, sposato con una funzionaria del Dipartimento di Stato americano, furono creati e appoggiati movimenti ultranazionalisti, partendo sia dalle frange neonaziste, sempre esistite in Ucraina e in Europa, sia dai gruppi violenti degli ultras dello sport. Sono stati quindi creati e addestrati in Polonia e altri paesi vari gruppi paramilitari e presunti “volontari” rivolti alla “russofobia” come spunto per il nazionalismo estremo che da sempre induce all’esercizio della violenza e della sopraffazione fisica e politica. Nel 2014 si sono visti gli effetti di questa infiltrazione nelle manifestazioni di piazza Maidan e subito dopo i massacri quasi tutti i gruppi violenti paramilitari o mercenari sono stati ufficialmente inseriti nelle forze armate e soprattutto nei quadri dell’intelligence e delle forze di sicurezza interna (polizia e milizie territoriali). La questione del Donbass, aperta da una richiesta di maggiore autonomia amministrativa è stata trasformata in una repressione violenta degli autonomisti con migliaia di morti e delitti contro l’umanità che si è trascinata fino al 2022. I leader delle formazioni estremiste hanno assunto il potere formale anche dello Stato ucraino. Paradossalmente, i partiti ufficiali costituiti da questi gruppi non sono riusciti ad arrivare al 2% dei voti nelle elezioni presidenziali. In compenso detengono quasi tutte le principali posizioni nell’ambito governativo e controllano in maniera pesante anche con minacce fisiche lo stesso presidente eletto.”
Ritiene condivisibile il concetto di “Guerra per procura” usato da più parti per definire l’attuale conflitto in Ucraina e nel Donbass?
“Non c’è dubbio che l’attuale guerra sia rivolta contro la Russia e non soltanto per difendere l’Ucraina. I governanti e i loro controllori, come affermato pubblicamente da esponenti nazionalisti, eseguono un piano per conto degli Stati Uniti e dell’Occidente il cui scopo e obiettivo è la neutralizzazione della Russia nella sua potenzialità militare e politica. L’Ucraina in questo momento agisce come proxy dell’Occidente. È anche vero che le forze autonomiste prima e separatiste poi del Donbass sono servite alla Russia per contrastare l’Ucraina e ne sono quindi proxy, ma la scala dell’impegno è diversa. La guerra contro la Russia è un progetto globale di egemonia, la guerra per il Donbass non mira all’egemonia globale da parte della Russia e nemmeno della Cina. Ma potrebbe essere proprio il proxy Ucraina lo strumento per una reazione russa e/o cinese in vari campi per condurre ad un vero riassetto del potere globale. E non necessariamente favorevole al cosiddetto occidente.”
A suo parere, quali sono i veri scopi strategici degli USA sia rispetto alla Russia, che riguardo all’Europa?
“Può sembrare un’osservazione bizzarra, ma non vedo nessuna strategia in atto. Vedo soltanto confusi tentativi di conservazione e sfruttamento di opportunità temporanee. Vedo sperimentazioni scoordinate, vecchi metodi politici e militari spacciati per innovazioni o novità. Vedo azioni senza fine e senza fini. Vedo tentativi di aumentare l’incertezza e la paura che questa comporta nelle persone come negli Stati. Vedo gli interessi personali e immediati prevalere su quelli collettivi e di lungo termine. Vedo l’insicurezza spacciata per ricerca della sicurezza. La strategia è la scienza delle scelte e non ci si può fermare a quelle che si presentano in maniera “naturale”. È scienza proprio perché se non si vedono alternative, prima di rinunciare occorre valutare se il punto di vista, i presupposti concettuali e la valutazione delle risorse così come quella dei costi/benefici sono corretti. La strategia è anche arte perché se l’approccio scientifico non è sufficiente a fornire alternative occorre “inventare”, “immaginare”, “creare”, ricorrere ai sentimenti oltre che alla Ragione. Da molti anni noto nella politica estera e di sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati la triste condizione di considerarsi “senza alternative” e di non vedere nulla di possibile senza l’intervento delle armi. E questa è la negazione della strategia. Vedo anche negli Stati Uniti, in Europa e in Oriente una preponderanza delle ideologie nazionaliste e dell’intolleranza tipiche delle dinamiche interne di lotta per il potere in campo politico, economico e sociale riversarsi sull’esterno e sul mondo intero in forma bullistica, aggressiva e miope.”