Lettera a una dodicenne, sul fascismo di ieri e di oggi
di Mario Bozzi Sentieri
Cara Giulia,
ti scrivo alcune, essenziali righe, dopo avere letto le missive che ti ha recentemente indirizzato Daniele Aristarco (“Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi”, Le Storie del Corriere della Sera, n. 40 del 22 ottobre 2019, pagg. 105).
I temi che compongono il carteggio – mi rendo conto – non possono essere sviluppati in poche battute. La materia è complessa. Questa mia lettera diciamo che vuole essere un invito. Intanto a non cadere vittima delle semplificazioni.
In gioco c’è un pezzo importante della nostra Storia nazionale, una Storia intensa, a tratti drammatica, spesso sanguinosa, che voi giovani dovreste finalmente iniziare a “liberare” dalle strumentalizzazioni di parte e dalle manipolazioni interpretative.
Dire che il fascismo fu una dittatura è un’ovvietà, viste le limitazioni della libertà che caratterizzarono il Regime. Il fascismo fu però molto di più rispetto ai treni in orario o ad una generica voglia d’ordine. Fu una Rivoluzione, piuttosto che una pura e semplice reazione alle turbolenze sociali e politiche che infiammarono il mondo dopo la prima guerra mondiale e la Rivoluzione bolscevica.
Fu una risposta alla domanda di “nazionalizzazione delle masse” (in sintesi: di coinvolgimento “forzato” delle masse popolari nella vita nazionale) ed un tentativo di modernizzazione dell’Italia (pensiamo al sistema della Previdenza Sociale, alla politica delle grandi opere e all’interventismo pubblico in economia con l’IRI).
Fu insieme Regime e Movimento (la distinzione è di Renzo De Felice, il più grande studioso sul periodo) al cui interno trovarono posto intellettuali eretici, giovani appassionati, creativi senza vincoli.
Uno tra i tanti Nicola Bombacci, fondatore, nel 1921, del Partito Comunista, poi segretario del gruppo parlamentare comunista, fucilato dai partigiani a Dongo, nel 1945, insieme ai vertici della Repubblica Sociale Italiana ed “esposto” ignobilmente a Piazzale Loreto, con Benito Mussolini. Quello di Bombacci è un esempio tra i tanti, che conferma la complessità dell’epoca ed il fervore intellettuale oltre che politico di una generazione, passata dal rivoluzionarismo socialista all’eresia post ideologica (dove le vecchie distinzioni di “destra” e di “sinistra” venivano superate).
Di questo “fervore” – con buona pace per certe semplificazioni giornalistiche – sono testimonianza i tanti saggi dedicati al fascismo che continuano ad uscire e a riempire gli scaffali delle novità librarie, a cui ti rimando, segno che sul tema molto c’è ancora da scoprire quando ci si muove su un piano storico-scientifico.
Al contrario, nelle lettere che ti ha indirizzato Daniele Aristarco leggo una serie di banalizzazioni che ti segnalo e che ti suggerisco di approfondire: il rischio che il fascismo possa tornare di moda (sarebbe ridicolo nella sostanza e nelle forme espressive); la visione di un fascismo “eterno” (laddove le cause della sua nascita e crescita furono espressioni di un processo culturale e politico segnato dalla crisi delle vecchie appartenenze ideologiche e dalla fase postbellica); lo slogan come mentalità fascista (come se di slogan non fosse segnata tutta la cultura del mondo, da quella pubblicitaria alla catechesi religiosa, a tutta la comunicazione politica, di ieri e di oggi); la visione della Resistenza come semplice “guerra di liberazione” (dove invece fu purtroppo e con gravi strascichi anche guerra di classe); l’idea, un po’ razzista, che la scelta giusta sia stata solo quella di una parte e che sul fronte opposto, quello fascista, non ci fossero ragioni nobili ancorché criticabili (è necessario “comprendere le motivazioni dei vinti, perché è un pezzo di storia d’Italia che può non farci piacere, ma che bisogna capire e non rimuovere come se fosse una cosa sgradevole’” – ebbe a dire, alcuni anni fa, Luciano Violante, allora presidente – di sinistra – della Camera dei Deputati).
Ti lascio con una domanda: ha ancora un senso, nel 2019, a quasi settantacinque anni dalla sua fine, “combattere” contro il fascismo? Non sarebbe più importante guardare alle sfide dell’oggi e del futuro, evitando di costruire divisioni labili ed infondate tra gli italiani? La sfida che tu, la tua generazione, deve saper lanciare è verso il futuro, consapevoli tutti, certamente, della Storia che ha segnato il nostro Paese. Nel bene e nel male. Con luci ed ombre, come tutte le Storie grandi e piccole con cui vale la pena confrontasi. Ma “Sine ira et studio” (“Senza ira né pregiudizi”) – come ci invitano ancora a fare i maestri della classicità. Senza raccontare favole, soprattutto. A dodici anni credo che tu sia già abbastanza “scafata” da non credere a chi le racconta.
da La Meta Sociale (UGL)