Il 24 settembre, le elezioni tedesche. Nessuna sorpresa: vincerà Angela Merkel nata Kasner. Dopo la Brexit e l’ascesa di Trump subito messo sotto tutela militare – segno della crisi epocale, gli Usa sono governati da una junta, come un paese sudamericano – ai circoli tedeschi che contano è venuta persino la voglietta di sostituire gli Stati Uniti come “guida dell’Occidente”, secondo lo Handelsblatt, che è il Sole 24Ore della Confindustria teutonica: precisamente come continuatrice della globalizzazione, come faro dei valori e dei principi liberisti totali in cui “l’Occidente” si identifica.
La sete di potere unita all’ottusità. Lungi dal richiedere un ennesimo mandato, una personalità politicamente accorta avrebbe lasciato il posto a una sua creatura, guidando da dietro. Il motivo è: la Germania va’ tanto bene nel mondo, che può solo andare peggio. Il prossimo cancellierato avrà più scacchi e fallimenti che successi, e anche scacchi fatali per il benessere di cui si beano i tedeschi.
Il perché l’ha cautamente avanzato Handelslatt (che riprendo grazie al professor Giuseppe Sandro Mela:
“La Germania guadagna un massiccio 46 per cento del suo prodotto interno loro dalle esportazioni, molto ma molto più di ogni altra grande economia”.
Il 46 per cento! Ciò significa che la minima crisi nel sistema del libero commercio mondiale, si tradurrebbe in un taglio del Pil e immediatamente, in un aumento dei disoccupati in Germania.
Handelsblatt:
“Il paese è dipendente dalla globalizzazione e free trade per la sua prosperità quanto nessun’altra potenza, e questo ordine è minacciato da ogni parte”.
Qui, dipendente va inteso in senso clinico, come “tossicodipendente”. Per esempio,la Merkel non può permettersi le alzate di testa e le pretese di indipendenza che ha elevato contro Trump. Anche se il sovranismo di Trump è stato neutralizzato dalla junta del Pentagono, almeno una cosa anche la junta condivide dei suoi proclami: “America first”.
Handelsblatt:
“Gli Usa comprano il 9 per cento delle esportazioni tedesche, ciò che assicura 1,6 milioni di posti di lavoro in Germania”.
Non sembra che quei 1,6 milioni di lavoratori germanici siano sotto una buona stella: Trump ha preso di mira proprio l’export tedesco, eccessivo, accusandolo di dumping (infatti vende in una moneta tedesca sottovalutata perché si chiama euro), minaccia multe sanzioni contro le auto tedesche importate. Ed anche se una guerra commerciale non dovesse avvenire per volontà politica, una riduzione degli acquisti statunitensi può verificarsi da un momento all’altro per il crack finanziario americano che attende da mesi, o i disastri naturali epocali che possono indurre il paese a chiudersi e ad immiserirsi.
Quei lavoratori che ora votano Merkel, come la ameranno quando saranno disoccupati? Handelsblatt:
“L’attuale ondata di nazionalismo e scontento verso la globalizzazione, di cui il Brexit e Trump sono solo le due più evidenti manifestazioni, colpisce al cuore il modello economico tedesco”.
Lo colpisce al cuore perché è un modello radicalmente sbagliato, mostruosamente squilibrato per avidità, tossicodipendente dall’export, espostissimo e vulnerabile ad ogni rovescio e restringimento della globalizzazione. Restringimento più che probabile, imminente. Handlsblatt:
“Il problema della Germania è che l’ordine globale che sostiene il libero commercio globale è stato in gran parte costruito da altri, soprattutto dagli Stati Uniti. Ecco perché, almeno per ora, l’America rimane indispensabile”.
Era fine maggio quando Angela Merkel, dopo visto Trump, pronunciò la storica frase “Noi europei dobbiamo prendere il destino nelle nostre mani”. Frase che rischia di finire negli archivi di cui i posteri ridono, come quella del maresciallo Foch nel 1911: “Gli aerei sono dei bei giocattoli, ma di nessuna utilità militare”.
“La Germania non assicurerà la propria prosperità se non aiuterà l’Europa a mette la sua casa in ordine”
Guardate alla Grecia per vedere una leadership tedesca illuminata, aperta e europeista. Per fare della zona euro una zona monetaria perfetta, Berlino dovrebbe trasferire parte del suo enorme surplus (quasi 300 miliardi) agli altri paesi membri penalizzati dall’euro, ai quali ha sottratto quote di mercato; oppure almeno reinvestirlo in un aumento dei salari tedeschi – invece la Germania comprime i propri consumi interni ; oppure investire in nuove infrastrutture interne. Vediamo:
Infrastrutture senza manutenzione
Lo stato delle infrastrutture germaniche è ben illustrato dal disastro ferroviario nella località di Rastatt. Sono certo che non ne avete sentito parlare. Il 14 agosto, un tunnel che passava sotto la ferrovia più importante d’Europa, la Rotterdam – Hannover-Genova, è crollato. E’ il più importante corridoio Nord-Sud. Centinaia di treni merci (oltre i TGV) devono passare per percorsi alternativi: sono danni di miliardi per tutti, compresi gli esportatori italiani.
Nemmeno una parola di scusa ai danneggiati. Le federazione trasporti olandese ha lamentato “il grande disastro per il quale nessun piano di emergenza è stato reso disponibile”. I tedeschi avevano detto che avrebbero rimesso la linea in funzione in pochi giorni. Adesso, si spera per l’8 ottobre. Oltre un mese per riparare un sottopasso ferroviario. Le meraviglie della tecnica tedesca.
Comprime i salari: i tedeschi sono poveri
Abiamo visto che, almeno, per riequilibrare lo squilibrio nell’eurozona, si consiglierebbe a Berlino di aumentare i salari interni, ciò che consentirebbe un aumento dei consumi. Invece “ comprime la propria domanda interna per poter difendere e aumentare ancora di più quell’enorme surplus”.
Risultato: “il 17 per cento della popolazione vive in povertà, il 40% dei tedeschi non possiede alcun ricchezza” (Financial Times). Ciò in un paese che ha il pieno impiego e un Pil pro capite di 41 e passa euro annui.
Il pieno impiego tedesco, l’aumento del “ numero degli occupati al livello record di 44 milioni” si è ottenuto con “l’espansione dei “mini” job, posti di lavoro part-time deregolamentati, che sono passati da 4,1 milioni nel 2002 a oltre 7,5 milioni quest’anno»
Quanto al Pil pro-capite di 41 mila e passa euro, 45,802.12 dollari Us, è una media matematica. Il Pil pro capite mediano, “vale 16,534.50 Usd. In altri termini, metà della popolazione tedesca deve vivere con un potere di acquisto inferiore a 16,534.50 Usd l’anno”.
http://vocidallestero.it/2017/08/22/ft-germania-il-divario-nascosto-nel-paese-piu-ricco-deuropa/
Giustamente Handelsblatt: “«Germany remains vulnerable at home as well»
“La Germania resta vulnerabile anche al suo interno”.
Ha regalato l’Est Europa alla Cina
I successi economici durante i cancellierati Merkel sono stati ottenuti con quel tipo di efficienza per cui è diventata famosa RyanAir. E come alla celebre compagnia low cost (e low salary e no-contract) succede che i piloti passano d’improvviso alla concorrenza che li attrae con piccoli aumenti, così accade alla Germania che i dipendenti passino alla concorrenza. Cinese, in questo caso.
“La cooperazione di Pechino con 16 paesi europei dell’Est e del Sud-Est minaccia l’unità della UE e deve essere bloccato”,ha tuonato il ministro degli Esteri germanico, Sigmar Gabriel.
Orrore e sdegno moralistico per il tradimento di Atene, che ha praticamente venduto per 280 milioni a Pechino il Pireo, più precisamente rilevato dalla China Ocean Shipping Company (COSCO), che ci investirà 300 milioni di dollari in 5 anni per farne il porto terminale della Via della Seta.
Ma non è sempre stata Berlino a prescrivere che il paese debitore metta in vendita i suoi cespiti agli investitori esteri? Ora pare chiaro ch intendesse: a noi tedeschi. Un think tank governativo, la Friedrich-Naumann Foundation (FDP) , ha attaccato con violenza il governo ceco per aver stretto “segreti accordi di investimento nel quadro del China –Czech Investment Forum” – accordi con cui la Cina investirà “in infrastrutture e nell’economia”; ivi compresi “i media”. Il presidente di Praga Milos Zeman viene rimproverato aspramente per essere stato “il solo capo di Stato di una democrazia occidentale” a presenziare alla parata militare a Pachino per i 70 anni della vittoria cinese sul Giappone. Eppure sembra ieri che, al Forum di Davos e al G20 di Taormina, Angela Merkel lodava altamente il dittatore cinese Xi come difensore ultimo della globalizzazione e della sua ideologia, al contrario di The Donald.
Xi, a Praga, sta applicando appunto il liberismo globale; in più – contrariamente alla Germania – caccia fior di quattrini per le infrastrutture, specie per ferrovie che dovranno unire Varsavia a Belgrado e attraversare i paesi dell’Est che stanno sfuggendo alla cancelliera. Ha cominciato con 3,5 miliardi durante la visita di Xi nel marzo 2016, ciò che il pensatoio tedesco ha bollato come la promozione di “discutibili interessi economici” che hanno lasciato “la questione dei diritti umani nell’ombra”. Insomma la repubblica ceca (10 milioni di abitanti) doveva rimproverare a Pechino le violazioni dei diritti umani, rinunciare fieramente agli investimenti, e tenersi la Skoda e basta, che essendo un filiale della Volkwagen, è praticamente il fattore economico dominate ed unico nel piccolo paese.
Tutto è cominciato nel 2014 in Serbia, dove i cinesi hanno riunito il “16+1 Summit” cominciando con lo stanziare 10 miliardi per investimento auto- e ferroviari tra il Baltico e il Mar Nero, la ferrovia Belgrado-Budapest, progetti stradali in Montenegro e Macedonia – progetti a cui la potente Germania poteva pensare per prima. La risposta tedesca è stata: questo accordi stretti “tra Pechino e singoli paesi UE” erano contrari “alla politica estera comune europea”: quella politica comune che, par di capire, viene dettata dalla Germania, e nessun paese si permetta di fare accordi senza prima chiedere a Berlino.
In realtà, quei governi accolgono gli investimenti cinesi a braccia aperte proprio come contrappeso allo strapotere tedesco, alle sue ingerenze, alle sue lezioni col ditino alzato. Non solo la repubblica ceca, ma l’Ungheria – che riceve la quota di investimenti cinesi doppia rispetto alla Polonia – e la Serbia, paese non-UE, cui Pechino destina i due terzi dei capitali che ha investito nei paesi della regione che non sono della UE. Nell’insieme non si tratta di cifre colossali: il Financial Times stima che gli investimenti cinesi nell’Est europeo che tanto allarmano Berlino sono solo l’8% dei capitali che investe in Europa; niente che superi le capacità germaniche di investimento. Ma è tornato il rimprovero: ciò “solleva preoccupazione sulla capacità della UE di parlare con una sola voce”. Quella tedesca. Infatti quando Berlino ha tentato di far adottare una dichiarazione comune UE di condanna per l’espansione della Cina nel Mar Cinese Meridionale (l’occupazione dei noti atolli), Ungheria e Grecia hanno votato contro. Forse perché i greci hanno più motivi per sentirsi grati a Pechino che a Berlino? Fatto è che la leadership germanica non sembra dare risultati brillanti proprio nel suo cortile di casa. Ottusa, moralistica e tirchia, si sta facendo soffiare l’Est dalla Cina. Ora Berlino vuole da Bruxelles regole che blocchino gli investimenti cinesi…
Intanto scoppia il secessionismo catalano: come massimo una replica della Guerra Civil, come minimo un altro sgretolamento dell’unità europea, perché la Catalogna indipendnte sarebbe ipso facto fuori dalla UE e costretta a chiederne la riammissione. Una bella prova per dimostrare le qualià di statista europeista di Angla Merkel. Per adesso, nessun segnale. Nemmeno da Mogherini e Juncker.
Inoltre quel 46% del Pil lucrato con le esportazioni è uno di quei “successi” di Merkel, che pesa come una piramide in bilico sulla sua testa – e basta una crisi estera qualunque per ridurre quella percentuale, e quindi i posti di lavoro in Germania. E le crisi estere e globali in attesa di scoppiare sono una dozzina almeno. Angela potrebbe aver voluto un cancellierato di troppo. Se si fosse ritirata,l’avrebbero ricordata come una vincente.
E già l’elettorato tedesco deve avere questo dubbio, se hanno ragione i sondaggi dell’agenzia YouGov eseguiti il 19 settembre: La CDU vincerebbe sì ancora una volta, ma passando dal 41,5 al 36 per cento, perdendo 5,5 punti percentuali, e 56 seggi in parlamento, dai 311 di oggi ai 255. Una di quelle vittorie che suggeriscono che anche molti elettori ormai abbiano la sensazione che Frau Merkel abbia fatto il suo tempo. Alternativ fur Deutschland passerebbe dal 4,7 al 12 per cento, diventando il terzo partito tedesco.