IL TORMENTONE ESTIVO DEL BURKINI di Luigi Copertino

IL TORMENTONE ESTIVO DEL BURKINI

Solo settant’anni fa una donna che osasse esporsi in spiaggia in bikini – e si trattava di bikini che oggi riterremmo molto castigati – rischiava feroci condanne morali e perfino salate multe amministrative per “oscenità”.

In un Occidente che non sa neanche distinguere, ad esempio, un burqa da un chador (oltretutto entrambi di origini pre-islamiche, dato che il primo fu indossato da Roxane, l’amata consorte battriana, ossia in termini odierni “afghana”, di Alessandro Magno, al momento delle nozze ed il secondo di origine mesopotamica, attestato nell’epoca della dinastia persiana degli Achemenidi, serviva a distinguere la donne di rango dalle prostitute e dalle serve; la Santa Vergine Maria indossò il chador come testimonia ancor oggi l’iconografia mariana), abbiamo assistito, in questi ultimi giorni, al tormentone estivo a proposito del cosiddetto “burkini”, un costume da bagno usato dalle donne islamiche. Un costume integrale, di recente produzione, che copre l’intera persona nel rispetto della pudicizia e della norma coranica per la quale si devono coprire tutte le parti del corpo femminile suscettibili di richiami sessuali e quindi tutto il corpo salvo viso, piedi e mani.

Il primo ministro francese, socialista, Manuel Valls, in appoggio a quei sindaci che hanno vietato sulle loro spiagge l’uso del burkini, si è lanciato in una polemica anti-islamica che rivela tutta l’abissale ignoranza del personaggio. Una ignoranza abissale della storia e dell’antropologia religiosa che lo accomuna al nostro Matteo Salvini, capo leghil-populista italiano, esibitosi in analoghe perfomance mediatiche nella speranza di raccogliere voti tra gli italiani più sensibili ai (malintesi) richiami identitari. Più intelligentemente il nostro ministro degli Interni, Alfano, ha evitato di imbarcarsi in inutili quanto strumentali guerre di religione. Da parte cattolica invece, con le dichiarazione di  mons. Galantino segretario generale della Cei, c’è stata una presa di distanza dalle posizioni di Valls e di Salvini, forse anche perché, sotto il profilo morale, non è certo possibile indicare nella maggior parte delle donne occidentali, anche tra le cristiane, un esempio di civiltà da additare al mondo islamico.

Almeno a giudicare dalle immagini circolate in questi giorni sui media, il burkini non sembra neanche un indumento impresentabile. Anzi rileva perfino una sua “erotica” eleganza quando è indossato dalle giovani e spesso avvenenti donne di fede islamica. Sarà, forse, perché  noi maschi occidentali, ormai del tutto assuefatti al nudo integrale femminile, non siamo più abituati all’immaginazione che un velo sul corpo femminile può suscitare.

In realtà quello del burkini è un tormentone che, ancora una volta, rivela il cortocircuito dell’ideologia occidentale.

Come è già accaduto per il caso della reintroduzione del reato di opinione a proposito del negazionismo – sia chiaro che affermando questo lo scrivente non sta dichiarando alcuna simpatia per i “negazionisti” ma sta solo dicendo che essi devono essere affrontati e tacitati con le armi della storiografia e della cultura e non con il codice penale – il divieto per le donne islamiche di indossare quel che vogliono è una chiara, palese e patente contraddizione con la filosofia portante del liberalismo occidentale la quale pone al primo posto, anche al di sopra della Verità (che oltretutto per il liberalismo integralista non esiste), la “Libertà”, il diritto di ciascuno e di ciascuna di fare tutto quel che si vuole salvo danneggiare il prossimo.

Non a caso una delle giovani donne in burkini, intervistata in questi giorni da una tv, si è appellata proprio ai principi liberali dell’Occidente per rivendicare la sua libera scelta di indossare quel costume da spiaggia.

Naturalmente, molti occidentali, a fronte della rivendicazione dell’intervistata in questione,  avranno pensato che le donne islamiche non siano effettivamente libere nella loro scelta ma invece costrette dalla pressione religiosa delle loro comunità. Questo del resto è lo stesso ragionamento che viene di solito applicato dall’occidentale medio, che si ritiene laico ed evoluto, alla scelta claustrale delle suore cattoliche, che si fa dipendere da condizionamenti culturali o familiari e mai dalla gioia di un incontro con il Vero Amore. Nella mentalità dell’occidentale medio lo stesso senso di colpa che un credente può provare, per i suoi peccati, di fronte a Dio altro non sarebbe che atavico e barbarico retaggio di un passato oscuro e difficile da estirpare. Sicché, poi, per spiegare il fenomeno l’occidentale in questione ricorre a tutto l’armamentario illuminista, libertario o marx-freudiano che i vaghi ricordi di quanto appreso dai suoi professori negli anni scolastici ed universitari, confermatigli dalla quotidiana e banale ripetizione massmediatica, gli mettono a disposizione.

Si potrebbe, però, chiedere al nostro occidentale medio quando sono invece libere le nostre laiche ed evolute donne nello spogliarsi? Se, in altri termini, esse lo fanno per effettiva libera scelta o perché indottevi dalla moda del nostro tempo e quindi dalla pressione culturale e sociale benché diversa da quella che induceva le loro nonne ad indossare vestiti coprenti ed a portare il velo sulla testa in chiesa? Oppure ancora, se una donna che si spoglia – e questo vale anche per l’uomo – lo fa per decisione immune da ogni vanità o desiderio di attrarre l’attenzione dell’altro sesso oppure proprio perché cede a questo desiderio, del resto naturale ma anche da comporre con quanto nell’uomo non è mera animalità bensì spiritualità (la “sacramentalizzazione” o la ritualizzazione che le religioni fanno dell’unione tra uomo e donna proprio a questo serve, a rendere spirituale anche l’unione carnale e sessuale)?

Ora è chiaro che se una donna mussulmana vuole indossare il burkini nessuno potrà, secondo i canoni dell’Occidente liberale, impedirglielo come nessuno può impedire ad una donna occidentale di indossare il bikini, il monokini o di andare completamente nuda (almeno nelle spiagge riservate ai nudisti).

Vietare il burkini è un contravvenire alle stesse basi valoriali dell’Occidente, checché ne pensi il ministro francese Valls che ha parlato, a proposito dell’indumento estivo delle mussulmane, di un attentato ai “nostri valori”.

Quali valori? Il punto infatti sta tutto nell’approccio francese, un approccio giacobino, all’idea di “Liberté”. Quel che il primo ministro francese ha contestato alle mussulmane è, infatti, che esse indossando il burkini intendono manifestare pubblicamente la propria appartenenza religiosa e quindi distinguersi dalle altre cittadine francesi mettendo al di sopra della “sacra laicité repubblicana” il proprio credo religioso. Le giovani islamiche sarebbero responsabili di lesa maestà repubblicana. La Marianne non può tollerare alcuna diversità che metta in discussione l’egalitarismo rivoluzionario.

Valls attesta nuovamente, se ve ne fosse ancora bisogno, l’essenza totalitaria del giacobinismo rivoluzionario e della “laicité” alla francese.

Questo modo di approcciare la laicità, infatti, è lo stesso che impone in Francia la “privatizzazione” anche della pratica religiosa cristiana, la quale non può avvenire pubblicamente ma deve esprimersi solo nei luoghi a ciò adibiti ossia nelle chiese, e dispone il divieto di esporre il Crocifisso negli uffici pubblici.

La modernità ha elaborato un altro modo di approcciare alla laicità ossia quello che ha prevalso negli Stati Uniti e che consiste nella libertà di espressione pubblica della propria fede religiosa ma anche nel riconoscimento statuale di qualsiasi fede, anche quelle settarie sul tipo di Scientology, in nome di un sostanziale indifferentismo o, per dirla con Benedetto XVI, relativismo. Tutte le fedi possono liberamente e “concorrenzialmente” (l’idea americana della laicità è del tutto mercantile) agire in ambito pubblico purché nessuna pretenda l’esclusiva, il monopolio, a discapito delle altre.

Tra il modello francese e quello americano, in fondo, non c’è molta differenza perché entrambi, il primo in modo autoritario ed il secondo in modo indifferentista, minano alla radice l’esperienza religiosa intaccandone la specificità ed i suoi inevitabili legami con la società, anche politica.

Nell’antichità il problema della convivenza tra le fedi era stato risolto con la tolleranza di fatto, da parte della fede egemone in un territorio, delle minoranze religiose allogene. Tolleranza di fatto che, sia chiaro, non escludeva affatto anche pesanti limitazioni civili e con una certa frequenza anche conflitti e violenze sociali cui le autorità cercavano di porre argini non sempre in modo efficace. Tuttavia, il sistema antico ha permesso, nonostante i suoi difetti, alle fedi di convivere ed alle varie minoranze di perpetuare la propria esistenza comunitaria fino ad oggi.

Non abbiamo avuto notizie di eventuali reazioni, in Francia, da parte della destra nazionalista e lepenista. Di sicuro, in essa, avrà prevalso l’anti-islamismo sull’anti-socialismo e si sarà accodata al coro occidentalista antiburkini in nome di una malintesa difesa dell’identità nazionale minacciata dall’islamizzazione. Probabilmente il neopaganesimo illuminista e nicciano di alcuni settori della destra francese, quelli facenti capo ad Alain De Benoist, avrà colto l’occasione per la solita reprimenda contro il “totalitarismo monoteista”, dal quale dipenderebbero l’egalitarismo di cui si nutre il laicismo francese, che a differenza del “pluralismo politeista” non ammette differenze. Una reprimenda che naturalmente non mette in conto – è quanto il pensiero nicciano e neopagano puntualmente nasconde! – che la fede nell’Unicità di Dio (la quale, pur nelle loro differenze, accomuna cristiani, ebrei ed islamici) dichiarata sul piano soprannaturale e trascendente non nega, anzi afferma ed impone, la diversità tra gli uomini, i popoli e le culture sul piano immanente e naturale.

Ma dalla destra, qualunque destra attuale, incapace di articolare un qualsiasi discorso culturale quale base della propria proposta politica nessuno, almeno non lo scrivente, si aspetta ancora qualcosa di intelligente.

Sono invece i cristiani e le cristiane a dover riflettere approfonditamente, consci di come e quanto l’ideologia occidentale ha essi per primi colpito duramente.

Lo scrivente, infatti, da cattolico (vorrei dire, ma non lo dico, “tradizionalista” se questo termine non fosse ormai abusato e svalutato da tanto trogloditismo, settario o teocons, che ammorba da alcuni decenni il cosiddetto tradizionalismo cattolico rendendolo una macchietta), non può non simpatizzare con le donne islamiche in burkini.

Questo perché ogni atteggiamento, maschile o femminile, di modestia, di umiltà, apre il cuore a Dio, ci avvicina all’Amore Assoluto, mentre, al contrario, gli atteggiamenti che sollecitano le nostre vanità, il nostro orgoglio, ed i nostri desideri non incanalati verso l’Alto ci chiudono nella protervia prometeica dell’esaltazione auto-deificatoria dell’io, allontanandoci dalla Luce Increata che vorrebbe accoglierci tutti se Glielo consentiamo.

Da cattolico peccatore, consapevole appunto dei miei innumerevoli peccati, non posso sentirmi migliore di una islamica che indossa il burkini e che almeno si sforza di essere più umile e più modesta di me.

                                                                                                 Luigi Copertino