Gli enigmatici templi di Gobekli Tepe, con i pilastri a T con bassorilievi raffiguranti animali, risalenti 12 mila anni fa, hanno stupito per molti fondati motivi ma per uno in particolare: sono stati elevati prima dell’adozione dell’agricoltura. Sicché non sembrava possibile che un gruppo umano di cacciatori-raccoglitori – ritenuti seminomadi – avesse sufficiente manodopera qualificata da dedicare in esclusiva, invece che alla ricerca di cibo, alla costruzione di un così imponente, vasto e complesso sistema di templi – trasportando da 2 chilometri i blocchi delle colonne a T, pesanti anche 40 tonnellate ed alti anche 8 metri.
Si aggiungeva al mistero il fatto che a Gobekli non sono state trovate né sepolture né segni di residenza umana; erano santuari in cui probabilmente i celebranti di feste e riti venivano da lontano, e poi ripartivano per i loro villaggi. Ma avevano poi dei villaggi, dei cacciatori-raccoglitori, costretti per seguire la selvaggina al nomadismo di necessità, come facevano i pellerossa a seguito dei bisonti?
La risposta viene dagli scavi, ad una ventina di chilometri, dove il Tigri si incontra col fiume Batman: sulla collina di Koertik. Qui gli archeologi turchi hanno portato alla luce un insieme di abitazioni in pietra, abitate fra i 12500 e gli 11700 anni orsono. La fondazione di questo villaggio è, se possibile dunque, ancora più antica di Gobekli. Possono averci abitato benissimo dei costruttori.
Sono state portate alla luce 86 “case”, bisogna chiamarle così perché avevano sottili pareti in pietra, pavimenti in terra accuratamente battuta, benché di forma circolare. Altre strutture più piccole con pavimenti in ciottolato sono interpretate come depositi. Sotto i pavimenti sono state trovate le sepolture; i morti in posizione fetale, circondati di oggetti per l’aldilà.
Dai resti di cucina (chiamiamoli così) si capisce che gli abitanti di Koertik Tepe macellavano in gran parte capre selvatiche (scelte per lo più fra gli agnelli e le femmine), oltre il 40 degli ossami si riferiscono a queste specie, poi cervi (37%), poi in misura molto minore bovini e asini selvatici; parecchie le anatre; ed erano capaci di catturare prede piccole e veloci come i conigli selvatici e uccelli volanti come le pernici: con trappole?
Inoltre, raccoglievano grani selvatici che macinavano: sono state trovate le macine o mortai di clorite con vari pestelli per i diversi tipi di alimenti da pestare.
Non ci sono indizi che gli abitanti coltivassero. Erano dunque una società di cacciatori-raccoglitori, però stanziale, ordinata e gerarchica (lo dimostrano le offerte rituali nelle tombe, più o meno ricche – che fanno pensare ad un rango superiore o inferiore del defunto).
Sono stati recuperati ben 30 mila oggetti
Pesi di pietra per tessitura; perline per collane fatti di pietre, conchiglie, e lo stelo duro di piume; bottoni, aghi da cucito in osso, vari attrezzi per l’intaglio, il taglio e la perforazione, fatti di selce focaia o ossidiana, ami da pesca. Persino i resti di cordicelle e spaghi. Tutto testimonia una cultura sofisticata e agiata, che può permettersi dei lussi, come generi d’importazione.
L’Ossidiana, questo vetro vulcanico lucido e nero, che si frattura con bordi affilati utilissimi per farne oggetti da taglio, era molto pregiata prima della metallurgia; era oggetto dei primi commerci “Internazionali” nell’età della pietra. Anche a Koertik Tepe i reperti di ossidiana testimoniano che la comunità dei cacciatori-raccoglitori partecipava questi contatti e scambi e non solo con le popolazioni limitrofe.
Poiché erano ancora sconosciute le tecniche di produzione di terracotta, il vasellame era in clorite: una pietra relativamente morbida e dunque facile da lavorare, incavare ed erodere, ed anch’essa non presente nella regione, quindi oggetto di scambi.
I vasi di pietra hanno le più diverse forme, secondo gli usi quotidiani che se ne facevano. Alcuni sono dotati di fori per maniglie o ganci, tutti sono decorati con eleganti motivi geometrici, più raramente con raffigurazioni di capre di montagna, scorpioni, uccelli. L’interno dei vasi era accuratamente lucidato. I vasi d’uso sono più decorati di quelli lasciati nelle tombe come offerta ai morti.
Asce di pietra, con il foro in mezzo per infilarvi il manico, sono numerose; normalmente appaiono segnate ed usurate per intenso uso, le teste d’ascia trovate nelle tombe appaiono mai usate; erano fabbricate apposta per il morto. Diverse anzi sono fatte di clorite, pietra soffice, ed hanno un aspetto più elegante.
Un gran numero di collane sono state sepolte coi morti nei vasi, e rivelano – come il vasellame – una eccezionale qualità estetica. In alcune tombe non si sono trovate collane, cosa che viene interpretata come l’appartenenza del defunto a una classe inferiore.
Tutto insomma testimonia una società di cacciatori-raccoglitori ma evoluta, con una struttura sociale complessa, credenze spirituali, stabile e per di più agiata, che può permettersi interessi artistici e non essere assillata dalla fame.
E tutto ciò – fatto interessante – nella finestra temporale del Drias Recente, tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa, caratterizzati da un repentino e imponente calo delle temperature. Il sito è stato occupato tra i 12.500 anni e gli 11.700 anni fa, per molti secoli dunque; insediamento alla fondazione più antico di Gobekli Tepe, il cui complesso templare viene datato attorno all’8400 a.C. ; ossia migliaia di anni prima delle più antiche piramidi egizie, e prima della domesticazione degli animali, dei metalli, della coltivazione del grano e persino della terracotta.
Ché poi, la scoperta di Gobekli Tepe nel 1995 fu in realtà una riscoperta; l’identificazione negli anni 60 fatta da archeologi americani fu in qualche modo dimenticata, perché non si sapeva come inserire una civiltà evidentemente antichissisma, ma estranea alle credenze e narrative della preistoria. Del resto già nel 1983 gli ora celebri pilastri a T scolpiti furono messi alla luce: non a Gobekli Tepe ma vicino, nella località Nevali Cori, quando, poiché la zona stava per essere allagata per la costruzione della Diga Ataturk, archeologi turchi benemeriti ottennero i fondi per recuperare le eccezionali strutture megalitiche: fra cui un tempio coi pilastri monoliti a T, però non a pianta circolare come a Gobekli, bensì perfettamente rettangolare , nonché una quantità impressionante di statue – il tutto visibile nel museo di Sanliurfa in Turchia – cosa che oggi difficilmente l’avventurismo di Erdogan permetterà. Siamo infatti presso la Siria e in territorio curdo.