“Il complesso militare-industriale ESISTE. E vuole guerre”: così Donald Trump in una lunga intervista alla CNSN. E’ la prima volta che un presidente riconosce apertamente l’esistenza del complesso militare-industriale e lo critica. La prima volta, s’intende, dal 17 gennaio 1961, quando Eisenhower, nel suo messaggio di addio alla nazione, metteva in guardia da “ questa congiunzione di un immenso establishment militare e di una grande industria bellica”; essa “ è nuova nell’esperienza americana. La sua influenza – economica, politica, persino spirituale – si fa sentire in ogni città, in ogni casa e stato, in ogni ufficio del governo federale. Totale. [Anche se] riconosciamo la sua assoluta necessità ….Nell’attività di governo, dobbiamo guardarci dal far acquisire un’influenza ingiustificata, sia per inavvertenza o volontariamente, al complesso militare-industriale. Qui esiste ed esisterà la possibilità per una crescita disastrosa del suo potere mal diretto. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza cosciente e informata può costringere il corretto intreccio dell’enorme meccanismo di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, affinché la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme”. [1]
Molto meno solenne, Trump ha raccontato che “in Siria, sai, ho eliminato il 100 per cento di califfato […allora] Ho detto: voglio riportare truppe a casa – e quelli sono diventati matti. Vogliono tenerli là – hai gente qui a Washington, che non vogliono andarsene [dall’area]. Ho detto: sai cosa farò, lascerò un paio di centinaia di soldati – ma se dipendesse da loro ne avrebbero mandati migliaia. Beh, io sono l’unico che dice che queste guerre durano da 19 anni, e il personale è sempre lì. Non c’è da illudersi, hai un complesso industriale militare. A loro piace la guerra”.
“Non vogliono mai finirla e partire, vogliono sempre guerreggiare”. Lui, ha detto, con gli stati stranieri ostili preferisce se possibile risolvere le tensioni con l’economia che con la soluzione militare. “No, io non voglio guerreggiare; ma hai situazioni come l’Iran. Non puoi lasciare che abbiano armi nucleari. Non puoi permettere che ciò accada”.
E’ un discorso anti-Establishment ed anti-Deep State che Trump affronta per la prima volta così apertamente – lui che si è preso John Bolton come consigliere – perché sa che il suo pubblico lo ha votato perché ponesse fine alle guerre eterne che dissanguano tutti, e che questo elettorato, esasperato, guarda a Tulsi Gabbard, la sua possibile concorrente delle prossime presidenziali. In una video-intervista di due ore e mezzo, la Gabbard – colonnello, ha prestato servizi in Irak nel 2005 – s’è scagliata contro “l’establishment della politica estera e il complesso militare-industriale, che scatenano una guerra dopo l’altra di regime change sotto pretesti umanitari – guerre che aumentano le sofferenze e le devastazioni in quei paesi, e rafforzano i jihadisti tipo Al Qaeda”.
Since I was young, I knew I wanted to use my life to serve others. It’s why I chose to serve as a soldier & in politics. I’ve never had any ambition to “be president” — it’s always been about doing my best to be of service and how I can make a greater positive impact. pic.twitter.com/NfTSUhbFXX
— Tulsi Gabbard (@TulsiGabbard) May 19, 2019
L’intervista con Joe Rogan, realizzata il 13 maggio, ha avuto 1,6 milioni di visualizzazioni nella prima settimana, e il numero di quelli che scaricano i suoi discorsi sul suo podcast sono circa il doppio. “Podcast” è il modo in cui la deputata democratica delle Hawaii comunica con i cittadini, perché da quando (nel 2017) con grande sprezzo dell’impopolarità è andata a trovare Assad a Damasco , dichiarando poi che il presidente siriano non è una minaccia per gli Stati Uniti (e quindi non si capiva perché dovessimo fargli guerra), la Gabbard è diventata una Non-Persona per i media mainstream. Bollata come “amica di dittatori” e “di Putin”, nessuno la intervistava, e raramente viene anche solo nominata. Adesso, dopo l’intervista, il numero dei titoli di giornale che la nominano è passato da 1-2 al giorno (e spesso zero al giorno) a 4-5; adesso è classificata al quinto posto tra i candidati democratici nei media mainstream: insomma con quella intervistona auto-prodotta ha “bucato” e superato la congiura del silenzio, fatto essenziale per avere qualche possibilità nella corsa alla Casa Bianca, che comincia con un truppone di aspiranti candidati presidenziali che per lo più non riescono ad attrarre su di sé l’attenzione del pubblico, perché non ricevono gli immani fondi necessari dai miliardari dei poteri forti.
Adesso, il successo del video contro il “war party” segnala che qualcosa è cambiato nel pubblico americano, sempre più esasperato.
Anche Oliver Stone s’è aperto ad una speranza, ed ha twitato: “Sembra un sogno che @TulsiGabbard possa diventare #President , ma mi piacerebbe ancora vederlo accadere. Tulsi vs Trump nel 2020 — che dibattito! E scommetto che la signora vincerebbe”
Farage e Tulsi Gabbard: l’anti-Establishment nel cuore del potere anglo
Quale stato d’animo collettivo interpreta l’inopinato successo di Tulsi Gabbard? L’analista politico Tom Luongo appaia la bella hawaiana al personaggio in ascesa stellare dall’altra parte dell’Atlantico, Nigel Farage: due campioni di una fase nuova e più energica , meglio preparata e massiccia di “populismo” e “sovranismo”, che travolge e minaccia direttamente l’Establishment anglo-americano mondialista . Ossia quello che ancora conta davvero.
“E’ in arrivo un riallineamento nella politica nel voto, che è iniziato con Ron Paul nel 2008 e quindi sta crescendo da oltre un decennio.” E’ una volontà politica di “recupero della sovranità nazionale e anche di libertà personale che i poteri controllano spasmodicamente. Qualcosa che sobbolle sotto la superficie, e poi esplode”. L’esplosione si vede “in Gran Bretagna dopo il tradimento della Brexit” . In Usa, “è la risposta al tradimento di Trump della sua promessa di porre fine alle guerre e ai cambi di regime – Tulsi Gabbard raccoglierà un sacco di elettori nauseati a morte della nostra politica estera che distrugge la vita di milioni, prosciugando il nostro spirito e svuotando le nostre tasche”.
La stessa esplosione è visibile, dice, “nelle elezioni parlamentari europee. Dove il cagnolino Macron non riesce a tenere sotto controllo i Gilet Gialli,e la UE non riesce a reprimere Matteo Salvini”. Magari invece con Salvini, per la sua impreparazione, l’euro-oligarchia e i complici interni riusciranno a prendere il sopravvento. Trucchi sporchi sono in atto. Come quello che ha liquidato il populista Strache in Austria
http://vocidallagermania.blogspot.com/2019/05/chi-ce-dietro-il-video-della-stangata.html
Con un deliberato ed organizzato assassinio politico, allo scopo di riportare l’Austria nel vecchio ordine centrista voluto da CDU e Merkel. Strache è stato scemo a caderci, ma – come ha detto Marine Le Pen – “l’elettorato che lo ha votato mica scompare”. L’analisi di Tom Luongo indica in fondo questo: il “populismo” italiano o austriaco può fallire per i suoi limiti – ma l’elettorato non sparisce, perché esprime un riposizionamento epocale di disaffezione estrema, di revulsione del pubblico europeo verso il Sistema virtuoso e corrotto che fa’ la morale e diffonde l’immoralità, che “combatte le fake news” e diffonde la menzogna della propaganda totale politicamente corretta. I successi dell’Establishment e la repressione del “populismo” significa solo che la lotta è meno facile di quel che si creda, e bisogna continuarla.
Nigel Farage è l’esponente capace di cavalcare meglio questa revulsione. Era praticamente scomparso nel nulla, “ma Theresa May e quelli nella bolla di Westminster hanno rifiutato di accettare di non avere più il controllo della situazione. Theresa May, come una scimmia autistica, continua a far votare per ottenere il suo Trattato di revoca del Brexit. Spera che rendendo legale il suo trattato fermerà la rivoluzione di Farage. Ebbene, lo sappia lei e i tecnocrati a Bruxelles, Farage vincerà non solo questa elezione ell’europarlamento, ma la prossima elezione generale, ed annullerà il suo trattato ai sensi dell’articolo 62 delle Convenzioni di Vienna sulle leggi dei trattati.
“Lo stessa è accaduto 2016 negli Stati Uniti, sia a sinistra che a destra. Bernie Sanders e Donald Trump, uno a sinistra, l’altro a destra, sono stati l’espressione della nostra profonda insoddisfazione per la corruzione di Washngton . … I signori di Davos non hanno capito il messaggio. E non ascolteranno finché non saranno costretti a farlo”.
Ora Tulsi Gabbard rappresenta la forza di questa revulsione anti-establishment, populista, che ha portato alla Casa Bianca Trump. Ma “Trump si è azzoppato a causa della sua vanità e della sua debolezza”. Ebbene: se non nel 2020, il 2024 può vincere e portarci in un mondo post-Trump. Sia lei che Farage, insieme a Salvini e molti altri in tutta Europa, rappresentano la spinta verso l’autenticità che può cambiare il panorama politico in Occidente . Con la speranza che Trump non distrugga il mondo, prima, per sbaglio”.