Marcello Veneziani
C’è una data, un simbolo e un atto da cui prende origine la cancellazione del pensiero avverso, l’eliminazione con disprezzo di chi non si conforma e l’egemonia culturale. È il 15 aprile del 1944.
In quel giorno viene ucciso un filosofo, forse il più grande filosofo italiano del Novecento e il più grande promotore di cultura in Italia. Giovanni Gentile fu filosofo del fascismo e la definizione è vera ma riduttiva: la sua filosofia era già compiuta prima che nascesse il fascismo, la sua impronta culturale va ben oltre il regime; fu gran ministro della pubblica istruzione, fece una vera riforma della scuola, fondò l’Enciclopedia italiana, fondò e diresse istituti di cultura. Fu ucciso da un commando di partigiani comunisti. Non ricostruirò la storia dell’assassinio, i retroscena, i colpevoli. Il miglior libro sul tema, il più onesto, resta quello di Luciano Mecacci, La ghirlanda fiorentina, edito da Adelphi.
Eravamo in guerra, il clima era feroce. Ma a Gentile, prima che il suo passato di ministro e di fascista, non si perdonò il suo appello alla pacificazione e a sentirsi italiani prima che fascisti e antifascisti. Inviso anche ai fascisti più fanatici, fu proprio quel suo appello alla concordia a renderlo ingombrante; avrebbe favorito una transizione meno feroce dal fascismo all’antifascismo.
Non rivangherò le responsabilità comuniste, l’atto d’accusa di Concetto Marchesi prima dell’omicidio, la “sentenza di morte” emessa contro di lui, poi la dissociazione del Partito d’Azione; e non tornerò sul tema se il mandante fosse Palmiro Togliatti o l’Intellettuale Collettivo. Ne ho scritto abbastanza.
Non ci sarebbe comunque da sorprendersi di Togliatti, considerando le sue responsabilità nel massacro degli anarchici da parte dei comunisti in Spagna, sui comunisti italiani rifugiati e trucidati in Unione sovietica, la complicità sulle foibe… Il suo cinismo e il suo allineamento a Stalin non ci impediscono di riconoscere la sua grande intelligenza politica, l’amnistia concessa da Guardasigilli ai fascisti, il suo ruolo di costituente e poi nella repubblica.
Togliatti avrebbe potuto giustificare l’esecuzione come azione di guerra ma andò oltre, usando parole sprezzanti. Come sarà per Mussolini e i gerarchi, non bastò “giustiziarli”, ma vi fu lo scempio di Piazzale Loreto; così non bastò uccidere Gentile, si volle fare scempio della sua figura e del suo pensiero. Sull’Unità del 23 aprile del ’44 Togliatti rifiutò il tono rispettoso per un morto, volle scrivere “il necrologio di una canaglia”; “traditore volgarissimo”, “camorrista”, “corruttore di tutta l’intellettualità italiana” (compreso quella che poi passò armi e bagagli al Pci); “intellettualmente disonesto”, “moralmente un aborto”, “un gerarca corrotto”. Dopo di lui infierirono sul cadavere, con odio, Eugenio Curiel e altri intellettuali: “raccattato nell’immondezzaio”, “lenone”, “mediocre vacuo”…
Gentile non aveva nulla da guadagnare nell’esporsi con l’ultimo fascismo di Salò, da cui era rimasto fino allora appartato: aveva tanti contro, non aveva mai amato l’alleanza con Hitler, detestava il razzismo; ma per coerenza e carattere non si tirò indietro, come scriverà in Genesi e struttura della società (un libro che ripubblicai con Vallecchi, ora uscito da Oaks a cura di Gennaro Sangiuliano). Si espose, accettò di presiedere l’Accademia e fu ucciso. Era stato fascista e mussoliniano, aveva avuto onori e onorari dal regime, e grande potere; ma era stato anche attaccato da molti fascisti e intellettuali, fu emarginato dal regime dopo i Patti Lateranensi.
Per Gentile il fascismo passa ma l’Italia resta, lo Stato viene prima del Partito e la Nazione prima del regime. Aveva difeso e riformato la scuola e l’università italiana, la Normale di Pisa, aveva fondato l’Istituto di studi orientali, l’Ismeo, aveva creato quel monumento alla cultura che è l’Istituto dell’Enciclopedia, la Treccani. E aveva difeso tanti intellettuali antifascisti, dissidenti ed ebrei, ne aveva portati ben 85 – contarono i suoi detrattori in camicia nera – a collaborare all’Enciclopedia; protesse antifascisti militanti come Piero Gobetti che pure lo aveva attaccato e giovani docenti oscillanti tra l’ossequio al fascismo e il larvato antifascismo, come Norberto Bobbio. Era stato, si, paternalista, autoritario, passionale; ma anche generoso, educò ai doveri e al coraggio, difese e diffuse cultura e intelligenza. Il filosofo Antonio Banfi, diventato comunista, commentò sul giornale comunista La nostra lotta l’assassinio di Gentile; dopo una caterva d’insulti, ammetteva trincerandosi dietro un si dice: “Era, si dice, un onesto uomo, affabile, generoso di aiuto, molti protesse e difese in anni tempestosi… Era uno studioso, un filosofo”; ma i tempi erano quelli che erano, richiedevano atti drastici e spietati.
E dire che Togliatti, come Gramsci, era stato gentiliano all’epoca di Ordine nuovo, come ammise il cofondatore Angelo Tasca. Dopo la guerra, quando curò per le edizioni di Rinascita il profilo di Marx scritto da Lenin, Togliatti cancellò il riferimento a Gentile, unico citato da Lenin tra i filosofi viventi. La censura ideologica cominciò allora…
Uccidere Gentile fu una bestialità coerente al clima generale. Peggio che sparargli fu però infangarlo e diffamarlo dopo morto, usare il suo assassinio come uno spauracchio, volere la sua eliminazione come premessa per instaurare l’egemonia culturale e liberare gli stessi intellettuali all’ombra del Pci dal debito imbarazzante verso di lui. Condannavano il filosofo della dittatura e poi si piegavano al partito di Stalin e al totalitarismo comunista.
L’uccisione di Gentile fu un parricidio culturale e insieme un avvertimento e un esempio, da seguire seppure in forme incruente in tempo di pace: eliminare chi dissente, cancellare i non allineati; morte civile e infamia. I meriti, i valori, le verità non contano se sei dalla parte sbagliata. Cominciò così l’egemonia culturale…
MV, La Verità 15 aprile 2021