“L’uguaglianza di ognuno davanti all’imposta è un principio riconosciuto dal 1789. Ma oggi c’è da chiedersi, alla Orwell, se non ci sono dei più uguali degli altri”. L’economista Jacques Sapir ha messo in luce un’altra stortura delle normative europee: un’ingiustizia fiscale che obbliga gli Stati ad agire radicalmente a favore del capitale e dei ricchi.
L’occasione è l’esame di una delle riforme di Macron prossima ad entrare in vigore: la ritenuta alla fonte, su salari e pensioni, dell’imposta sul reddito. Una cosa che noi conosciamo, ma per la Francia è una novità. Sapir nota anzitutto che questa era perfettamente adeguata all’epoca “fordista”, quando grandissima parte della popolazione era salariata da grandi imprese. Oggi, nella diffusione dei lavoratori indipendenti, “uberizzati”, intermittenti, precari,”auto-imprenditori”, il prelievo alla fonte rischia di essere un metodo arcaico.
Ma non è tutto. In un paese che preleva con le tasse il 44.4 % del Pil, uno dei più alti prelievi dell’OCSE (la Germania è sul 40%), la quota di imposta sul reddito personale non è alta: pesa il 17% sul totale dei prelievi. L’IVA ad esempio fa la parte del leone, vale il 43%. E già qui si vede una iniquità grave: l’IVA non essendo progressiva (come è l’imposta sul reddito) , grava in percentuale uguale sui ricchi come sui poveri.
Libertà totalitaria dei capitali, non del ceto medio
Ma non è tutto. Da decenni, la “base fiscale” tende a restringersi alle sole classi medie e popolari. La loro “ sensazione di pagare più di quanto dovrebbero” è alla base dell’insurrezione dei Gilet Gialli, come anche la vera rivolta contro l’abolizione della Imposta sulle Grandi Fortune (ISF, la patrimoniale sugli ultraricchi) che Macron ha cancellato nella speranza di attrarre in Francia grandi capitalisti. Non solo i Gilet Gialli, ma il 75-80 per cento dei francesi vuole che questa imposta sia rimessa.
Ma perché la base fiscale si è ridotta alle classi medie e basse? “La libertà totale di circolazione dei capitali, che è uno dei punti intangibili delle regole della UE, porta ad una evasione massiccia ma legale; non solo le imprese, ma gli altissimi redditi”, che si cercano il paese a tassazione per loro più amichevole. La libertà assoluta dei capitali è consacrata negli articoli da 63 a 66 di Maastricht. Il trattato obbliga gli stati membri a levare ogni restrizione dei capitali non solo fra gli stati membri ma fra questi e i paesi terzi. “La libera circolazione dei capitali è considerata la pietra angolare del mercato unico. Ciò finisce per privare gli stati del controllo su una parte importante della loro base fiscale”. Visto che i capitali ricchi volano a farsi tassare altrove,lo Stato deve tassare “chi resta” e non può sfuggire, appunto le classi medie e popolari.
Peggio: il trattato organizza in seno all’Unione Europea la concorrenza fiscale tra gli stati, sì che alcuni come il Lussemburgo, l’Irlanda o il Portogallo sono divenuti veri paradisi fiscali. Ora, persino Olivier Blanchard, l’ex economista-capo del Fondo Monetario (quello che con Cottarelli ha devastato la Grecia sbagliano certi moltiplicatori) riconosce che l’ineguaglianza è cresciuta a livelli socialmente preoccupanti, e quindi consiglia che gli Stati tornino a stabilire controlli sui movimenti di capitali; ma si urta “ “con la fermissima volontà di Bruxelles che intende mantenere la libertà di circolazione dei capitali”, scrive Sapir..
E a tal proposito sottolinea “l’immensa ipocrisia da parte dell’Unione Europea di esigere che ogni stato si conformi alle regole di bilancio [riduzione del debito e deficit] e nello stesso tempo indebolisce la base fiscale di questi stati”.
Sempre più vasti territori abbandonati (neo-latifondismo)
Altra considerazione: le imposte devono coprire spese “che non sono necessariamente determinate dalle entrate” tributarie. Le spese per ferrovie, strade, ponti sono determinate non dagli introiti fiscali, ma dalla superficie del Paese e dalla sua orografia. Le spese sanitarie dipendono dalla quantità della popolazione e dal suo invecchiamento. Le spese di istruzione, dalla quantità della popolazione in età scolare.
Avendo persa la sovranità monetaria e quindi non potendo creare moneta dal nulla, lo stato deve dipendere strettamente dalle entrate fiscali (o dai debiti ad interesse); costretto a spendere costantemente meno di quel che “deve”, restringe e riduce e lascia decadere le infrastrutture e i sistemi sanitari ed educativi, il che si ripercuote negativamente sulla crescita.
In conclusione: “la ragione è la nostra adesione all’euro, che ha prodotto un freno importante alla crescita. Senza dubbio pari all’1% ogni anno”.
Sapir dunque ha calcolato quale sarebbe stata la crescita della Francia senza l’euro, se avesse mantenuto la valuta nazionale.
In vent’anni di libertà monetaria, la crescita aggiuntiva avrebbe fatto sì che –a parità di spesa pubblica – la pressione fiscale sul Pil sarebbe del 38% e non del 44,4% come oggi sotto Macron. Più soldi in tasca ai contribuenti avrebbero aumentato i consumi e la crescita, in un circolo virtuoso. Insomma, ciò che i Gilet Gialli trovano un eccesso di tasse sui poveri (loro), “rinvia in realtà a una crescita insufficiente (grazie, euro) e alle regole che ci sono imposte dalla UE , la libera circolazione dei capitali”.
E’ per questo che, nella gabbia della crescita insufficiente permanente, gli Stati abbandonano a sé stessi pezzi interi di territorio – come in una inedita forma di latifondismo da capitalismo finanziario – mentre la ricchezza si concentra nelle zone già ricche, che diventano più ricche mentre i poveri diventano più poveri: è ciò che vediamo nel Mezzogiorno d’Italia abbandonato, e che i francesi vedono nella “France péripherique” dei villaggi senza servizi medici, distributori né supermercati , oggi in rivolta. Anche nella ricca Germania il successo economico ha arricchito una piccola minoranza, mentre i tedeschi in generale si impoveriscono. E addirittura 1,5 milioni di tedeschi si affidano per mangiare alle banche del cibo, a cui i supermercati conferiscono gli alimentari invenduti e in scadenza.
L’effetto – attenzione – non è solo che aumenta il divario fra tanti poveri e pochi ricchi; è peggio, è che l’arricchimento crescente dei ricchi è sempre più direttamente la causa dello sprofondare dei poveri in sempre più bassa povertà. E sempre più precaria. Nascono così i “lavori Foodora”, i consegnatori di pizze a domicilio, e i taxisti che sono sostituiti da quelli di Uber, dei privati che per pagarsi un’auto che non possono permettersi, rubano il lavoro ai tassisti. E’ tutta una foresta di “lavoratori” saltuari schiavizzati soggetti, fra l’altro, a tagli arbitrari dei magrissimi salari, che configura ormai un vero arretramento della civiltà. Un tema morale-sociale scottante e rivoltante per le coscienze rette. Richiederebbe come minimo una nuova enciclica sociale che, come quella di Leone XIII, lucidamente puntasse il dito sulla piaga e ne indicasse i rimedi cristiani.
Ma sono poveri di cui la Chiesa di Bergoglio non si cura, perché ci vuole tutti far restare nell’euro, “in Europa”, non di farci restare in grazia di Dio. E vuol per giunta riempirci di violenti “poveri” stranieri che dovremmo mantenere con la nostra base fiscale in restringimento, mentre i ricchi realmente si esentano dalla tassazione.
Arrivando al punto che Alexis De Tocqueville aveva visto già in America nell’800: “ Occupandosi nella sola cura di far fortuna, gli uomini non tengono più conto dello stretto legame che unisce la fortuna particolare di ciascuno di loro con la prosperità di tutti”. Un’America che vede Zuckerberg e Bezos ricchi di 100 miliardi di dollari (miliardi, non milioni) e allo steso tempo i senzatetto che fanno i bisogni sui marciapiedi; la stretta gabbia di schiavitù che ci ha ingabbiato in Europa e ci degrada al declino ineluttabile, sono tutti segni che siamo assoggettati ad un regime mostruoso di oppressione e inumanità totalitaria, a cui è difficile persino dare un nome – latifondismo iper-capitalista? Oligarchia totalitaria, dispotismo senza sovranità? Collusione dei miliardari coi pubblici dirigenti? – non dittatura. Ma solo perché “dittatura” indica un regime troppo facile da identificare come tale, incentrandosi su un uomo solo, ed eventualmente da rovesciare.
Paul Krugman ha ricordato che nei Trenta Gloriosi, l’età di euforia finanziaria che ha preceduto (e causato) la crisi del ’29 , almeno l’insieme della società avanzava allo stesso ritmo, i frutti della crescita erano ripartiti meglio, i ricchi guadagnavano, ma anche i poveri avanzavano. Qualche tempo fa (mi spiace di non ritrovare l’articolo) Le Figaro uscì con un pezzo che titolava: “Il grande ritorno della servitù”, e intendeva i domestici: servi (un tempo in livrea) che le grandi ricchezze impiegano sempre più, sguattere e istitutori, spazzini e cuochi, “valets de chambre“e cuciniere … In questa chiave, dovremmo imparare a guardare come lacchè di lusso, maggiordomi e amministratori del Signor Usura i funzionari, i Juncker, i Tusk, i Mogherini, che usano gli strumenti di repressione a loro disposizione per disciplinare i nuovi servi della gleba (vedi greci, vedi Gilet Gialli a cui sparare, vedi italiani straccioni e spregevoli, “lebbra”, con le loro richieste di democrazia, di referendum). La Democrazia sono Loro, per eccellenza. «Non esiste la scelta democratica contro i trattati Ue», come ha sancito il maggiordomo Juncker.
In questa chiave, diventa perfettamente spiegabile la metamorfosi del giornalisti, un tempo ausiliari della democrazia. La Gruber, i Molinari, i Calabresi, le Berlinguer,dovrebbero indossare la livrea: cameriera dei Bilderberg, sguattero di De Benedetti, lacché della Famiglia Rotschild, orgoglioso cuciniere di Casa Blackrock. Tutto sarebbe finalmente chiaro.