di Roberto PECCHIOLI
L’estensore di queste note ha fama di rompiscatole, ipercritico, bastian contrario, per quanto preferisca definirsi un ribelle alla Juenger, un anarca che “passa al bosco”, come il grande autore del Lavoratore e Sulle scogliere di marmo. Talvolta, dinanzi agli spropositi cui assistiamo, la reazione è insieme di rabbia e dolore, come un cane a cui qualcuno abbia calpestato la coda. I cosiddetti buonisti, poi, riescono a scatenare in noi reazioni scomposte; mentono spudoratamente oppure hanno smesso di attivare il cervello. Nel tempo, il fastidio si è accentuato: troppi indifferenti, una maggioranza spaventosamente superficiale, narcotizzata, dimentica della dignità.
Ernst Juenger, nel Trattato del ribelle, stimava che solo il due per cento dell’umanità avesse la stoffa del ribelle. Più di recente, Giulietto Chiesa stimava che in Italia fosse rimasta una quantità irrisoria di persone capaci di pensiero critico. E’ proprio così e il 2020, l’anno del virus, lo dimostra. Il potere – non solo quello domestico, dell’Italietta periferica e provinciale- ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di essere ostile, nemico del popolo, i sudditi su cui regna.
Chiuso in casa, obbligato alla mascherina, terrorizzato da mesi da messaggi e immagini durissime, l’italiano medio ha dimostrato di che pasta (frolla) è fatto. Obbedienza, cieca, pronta, assoluta, come nelle vecchie vignette sui comunisti di Giovannino Guareschi, a ogni diktat governativo – rivelato a reti unificate e diramato con atti amministrativi del capo del governo – nessun dubbio di fronte a un martellamento mediatico senza precedenti.
Zitti e mosca, criminalizzati i pochi dissidenti, incoraggiata, sollecitata la delazione, ferita la libertà individuale e la privatezza di tutti noi. Dobbiamo ammetterlo con mestizia: aveva ragione Hobbes, lo Stato –Leviatano ci opprime fingendo di proteggerci perché la paura della morte- fondata o meno – è più forte di tutto. La stessa Chiesa cattolica ha interrotto i suoi riti bimillenari, dismesso la missione spirituale, chiuso le porte e sostituito l’acqua benedetta con il gel igienizzante. Non ci sentiamo più di usare il termine popolo, con riferimento agli italiani, dopo averli visti accettare tutto e il contrario di tutto. Code interminabili a distanza di un metro, e ci può stare, nell’emergenza, ma abbiamo visto aspiranti bagnanti in fila, bloccati da poliziotti e guardie urbane, per accedere alle spiagge libere. Nessuna ribellione sotto il sole, almeno in Liguria, storica terra del “mugugno”, il libero borbottio su ogni cosa.
Il gregge si è dimostrato tale: scarica l’applicazione “Immuni”, in buona misura ormai inutile, chiede a gran voce il vaccino, accettando senza fiatare che il governo finanzi ampiamente Bill Gates, guru informatico, ora aspirante dittatore sanitario. Vaccino più microchip: la futura, zootecnica umanità, o il marchio della Bestia, il 666 dell’Apocalisse di Giovanni, ormai sconosciuta anche alla chiesa “in uscita”, nel senso di precipitosa ritirata. Sono stati geniali: prima ci hanno tolto l’identità, poi ci hanno convinto che ciascuno può ricrearsi la sua a colpi di ridicoli, costosi tatuaggi multicolori, infine ci imporranno – tra gli applausi della mandria felice- il tatuaggio definitivo, quello dal quale un apparecchio iper tecnologico ci controllerà da remoto in ogni momento e situazione.
Un amico ci ha esposto una teoria che condividiamo: dietro il coronavirus opera secondo lui un preciso esperimento psico sociale volto a scoprire fino a che punto il potere può spingersi “contro” i popoli. Temiamo che sia così: è l’unica spiegazione, vedendo in azione, per la prima volta con tanto zelo, vigili, carabinieri, poliziotti e altri personaggi in uniforme, tesi a multare, colpire, reprimere condotte non in linea con le “grida” manzoniane del governo. Non ricordavano analogo accanimento nei confronti dei malviventi, degli spacciatori di droga e dell’intera fauna umana multietnica che rende invivibili pezzi sempre più grandi del territorio. Sopportiamo, tolleriamo tutto, anzi sono moltissimi i volontari della delazione dagli indici puntati contro i reprobi. Chi viaggia in treno, ascolta ad ogni fermata un pistolotto registrato che invita a segnalare al capotreno “chi manifesta sintomi del virus “. Quali, di grazia? La tosse, lo sguardo torvo, il respiro affannato, magari dopo una corsa per non rimanere a terra? Diventiamo tutti medici, virologi, esperti in grado di additare l’untore, il criminale postmoderno a piede libero.
Nel Nuovo Mondo di Aldous Huxley, c’è bisogno di una droga, il Soma, per tenere tranquillo e sedato il popolo. La realtà supera la fantasia letteraria: basta la paura amplificata, un apparato di informazione e disinformazione efficiente e il gregge pascola mansueto nelle praterie prescritte dal potere. Un macigno psicologico, un pregiudizio antico e resistente, è il migliore alleato del potere: pensiamo sinceramente che i governi abbiano buone intenzioni, siano, in qualche modo, dalla nostra parte. Non è così, per quanto sia difficile da accettare. Chi scrive se ne è persuaso in decenni di attività professionale in un’agenzia ministeriale, partecipando a riunioni, verificando i meccanismi autentici del potere, vedendo all’opera i funzionari di vertice e scoprendone le vere motivazioni.
Non solo la burocrazia è nemica, ma lo è ogni grande struttura consolidata, il cui scopo principale è ingrandire se stessa: la persistenza degli aggregati scoperta da Vilfredo Pareto, più la legge di Parkinson sulle burocrazie, con l’aggiunta dell’estensione sempre maggiore del principio oligarchico, mascherato da menzogne credute per coazione a ripetere e sfinimento mentale, tipo la forza della “società civile” o il ruolo attivo dei “cittadini”. Nella sedicente democrazia in cui molti sono ancora convinti di vivere, è ancora più difficile riconoscere la dura realtà che il sistema è non solo indifferente, ma apertamente ostile, nemico dei cittadini. Lo Stato siamo noi, ci viene ripetuto e purtroppo ci crediamo. Infatti, è allo Stato che il potere vero delega il lavoro più sporco.
La capacità narcotica di costoro è sopraffina : il nostro Soma è un cocktail di paure indotte, problemi creati ad arte per cui viene prospettata una soluzione, in genere lesiva della libertà e del portafogli, descritta come inevitabile per evitare guai peggiori, unita a false credenze diffuse da un sistema di comunicazione che privilegia l’emozione immediata, la reazione istintiva, superficiale e scoraggia , attraverso l’uso spregiudicato dei meccanismi neurologici e psicologici, il pensiero libero. Siamo al punto in cui i dissidenti diventano oggetto non solo di attacchi forsennati, ma di fastidio popolare come portatori insani di idee dannose, spesso bollate come criminali.
Davanti all’emergenza del contagio, è stato enfatizzato un grottesco patriottismo da parte di forze politiche la cui storia e prassi è di ben altra natura. Bandiere dappertutto, chi non si conforma alle direttive dei Superiori (il governo, gli esperti, le misteriose task force) è nemico della Patria. Aveva ragione Samuel Johnson, lo scrittore inglese che pure era un convinto conservatore: il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie. La neolingua, poi, riesce a far credere il contrario della realtà che vediamo. Lo slogan era e resta “andrà tutto bene”. Decine di migliaia di vittime, malati non curati per tutte le altre patologie – sono saltate finanche le terapie oncologiche, in qualche caso – disoccupati, saracinesche chiuse, vecchi e nuovi poveri ringraziano: è andato tutto bene. Basta rovesciare i significati e il gioco è fatto.
La maggioranza piega la schiena senza accorgersene, ma da ultimo l’hanno convinta a inginocchiarsi per dimostrare appartenenza al grande Corano occidentale postmoderno, l’antirazzismo “strutturale” immenso e arcobaleno. La verità è che i più si sono inginocchiati semplicemente all’istinto di conservazione, sapientemente evocato dalle campagne internazionali sul virus assassino. Siamo morti dentro, terrorizzati dall’esserino invisibile che sfugge anche agli orgogliosi esperti. Il potere ha avuto gioco facile: la narcosi del docile gregge umano ci ha resi preda di una specie di “dormizione “collettiva.
Siamo giunti alla disperante conclusione che gli apparati di manipolazione– la cui potenza è imparagonabile rispetto a quella dispiegata nel passato da dittature efferate – abbiano tra gli scopi quello di diffondere, uno dopo l’altro, i sette peccati capitali, funzionali agli scopi del potere. In particolare l’avarizia, l’egoismo dei sentimenti di generazioni chiuse nel particolare, nel tornaconto, nel plexiglas che ci allontana e distanzia. L’invidia spinge al consumo compulsivo, all’imitazione narcisista dei modelli imposti. La gola è rappresentata dalla volontà di ottenere tutto e subito e non fermarsi mai nell’indigestione. La superbia è la convinzione della grandezza dell’uomo contemporaneo, orgoglioso del “progresso”, certo di vivere nel migliore di mondi possibili. La lussuria è diffusa attraverso sempre nuovi “diritti”, quasi tutti riferiti alla sfera degli impulsi sessuali. L’ira è alimentata contro i dissenzienti, fastidiose zanzare intente a contestare la narrazione ufficiale delle magnifiche sorti e progressive.
Mancava l’accidia, il settimo e il meno compreso dei vizi capitali. Da bambini, al catechismo, non ci sapevano spiegare che cosa fosse. Accidia significa torpore dell’animo, inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa, una condizione che caratterizza l’uomo del nostro tempo, afflitto da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazione di immobilità, vuoto interiore, oltreché negligenza nell’operare il bene e nell’esercitare le virtù.
L’accidia di massa sembra avere raggiunto, in questi mesi, vertici insospettabili. Non più una risata, come nello slogan del 68, ma uno sbadiglio ci seppellirà. Chiusi nel nostro Io minimo, distanziati, in attesa dell’ordine del pastore, il gregge vive nel torpore e nell’inerzia, pago di constatare la propria soggettiva esistenza in vita. Una pigrizia esistenziale, uno stato di attesa indistinta, un vizio più pernicioso degli altri perché in apparenza vago, indefinito.
Il pittore Hieronymus Bosch, nei Sette peccati capitali, rappresenta l’accidia nell’ immagine di un borghese, seduto davanti al camino, appoggiato mollemente il capo a un cuscino, sonnacchioso, mentre una suora invano lo invita alla preghiera. Il sistema di potere contemporaneo ci vuole così, sudditi, servi, in attesa, tra uno sbadiglio e un istinto da soddisfare senza indugio, del pastone da lui somministrato. Così si spiega la tendenza a introdurre forme di reddito universale, naturalmente modesto, da distribuire con criteri insindacabili e, va da sé, in forma digitale, per controllarne e predefinirne gli utilizzi, nonché prevenire opposizioni o rivolte. Risultato: masse, generazioni di nulla facenti e nulla pensanti eterodiretti, schiavi soddisfatti chiusi nella caverna di Platone senza riconoscerla e senza sospettare che c’è vita, di fuori, addirittura ignari dell’esistenza di un “fuori”.
L’ignavia, il comportamento gregario e conformista si diffonde a macchia d’olio. Dante disprezzò e confinò nell’Antinferno “coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.” Il capolavoro dei burattinai è far credere che il conformismo sia trasgressivo e le idee ricevute, farina del sacco dei singoli capi di bestiame umano. Si diffondono zelatori e delatori, non si reagisce se ci viene detto che siamo controllati dall’alto dai droni: è’ per la nostra salute, andrà tutto bene. Così rassicurati, la ragnatela del potere ci avvolge sempre più. Ci hanno fatto credere praticamente tutto: siamo convinti che la sovranità appartenga a noi, il popolo, poiché lo afferma la tavola più alta della Legge, la Costituzione venerata come “la Carta”. Ci assicurano che godiamo della presunzione di innocenza, se cadiamo nelle spire della legge, salvo sperimentare amaramente il meccanismo angosciante di una giustizia ostile.
Viviamo in una serie di dittature a cerchi concentrici – finanziaria, tecnologica, della sorveglianza, ora anche sanitaria – ma siamo gli orgogliosi uomini della Democrazia. Una quantità crescente di istituzioni, soggetti, enti, istituzioni ha diritto di ingerirsi nella nostra vita, impartire disposizioni, pronunciare divieti, disporre obblighi, ma che importa: è, sempre e comunque per il nostro bene, per proteggerci dalla giungla, ossia da noi stessi.
Tutto questo distrugge la libertà, ma porta altresì alla sconfitta, alla scomparsa dell’amor proprio, della volontà di essere protagonisti e responsabili. Produce narcosi, indifferenza, paura, accidia. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice ai discepoli che i giusti “dai frutti li riconoscerete”. I frutti della postmodernità progressista sono avvelenati, l’umanità che si va formando in questo pezzo di mondo, è una turba di atomi diversamente uguali, dipendenti in tutto e per tutto dal padrone e dai suoi sgherri, assopiti, spinti in un paradossale Nirvana, porta del Nulla.
Sbigottisce che siano numerosi coloro che restano convinti che “andrà tutto bene”. Dicono di avere speranza, ma non agiscono né fanno, non alzano la voce, si nascondono, non esprimono alcuna carità per i vicini (l’odiato prossimo, a cui preferiscono lo sconosciuto, il lontano) e si lasciano sopraffare dal panico. La loro vita sembra la misera arte di afferrarsi a un chiodo incandescente. Pessimisti o ottimisti a comando, fachiri del nulla. Lentissimi nel fare, accidiosi, ma rapidi nel dire, prendere posizione, la più facile, la più numerosa, quella “consigliata” dall’alto, che esenta dal pensare e permette di proseguire l’anestesia.
Sentiamo un intenso dolore, morale e fisico, per la facilità con cui i più si lasciano ingannare. Avvertiamo dolore, come il poeta fingitore di Fernando Pessoa, per la cecità sociale, l’indifferenza, lo sbadiglio, la fulminea velocità con cui vengono applaudite idee e teorie velenose, opinioni che negano realtà e verità evidenti, purché siano nuove, “moderne”, inusitate, frutti dell’Eden chiamato progresso. Menzogne attraverso le quali i ciarlatani trionfano. E’ tipico delle società nevrotiche rimanere bloccate, incomunicabili, accidiose per il sopore sparso in dosi industriali. A denti serrati, restiamo dei disperati attivi, che lottano ancora nonostante tutto, benché convinti della sconfitta nel breve termine. Forse, oggi come ieri, il segreto di ogni potere consiste nel sapere che gli altri sono più codardi di noi.