Una “cortina di ferro” della NATO

Titolo originale:

CHE DIAVOLO SUCCEDE A TRIESTE?

Lorenzo Maria Pacini

Ago 21, 2024

Di Lorenzo Maria Pacini per Strategic Culture Foundation – traduzione a cura di Old Hunter

Per rispondere a questa domanda, tenendo presente il tema dell’incontro a porte chiuse, bastano poche parole: il prossimo teatro di guerra.

Pochi giorni fa si è tenuta a Trieste una riunione segreta, a cui hanno partecipato autorità di vario genere: membri della NATO, membri dell’Atlantic Council, membri del think tank ungherese Danube legato a Viktor Orbán, membri dell’entourage di Donald Trump, membri delle Forze armate e della Polizia italiane, rappresentanti del governo cittadino e rappresentanti della Massoneria locale. Non troverete queste informazioni altrove. Il tema della riunione era la militarizzazione del porto di Trieste. Qual è il motivo?

Il ruolo strategico di Trieste nella dottrina del Trimarium

Era il 1942: negli Stati Uniti d’America veniva pubblicato un libro destinato a diventare una pietra angolare della scienza strategica marittima americana. Si intitolava America’s Strategy in World Politics ed era stato scritto dal geografo accademico Nicholas John Spykman, uno dei padri della geopolitica marittima e allievo spirituale di Sir Halford Mackinder. A quanto pare, il libro in questione non ebbe successo presso il grande pubblico, mentre divenne una vera e propria bibbia della strategia delle “rotte marittime” per tutti i potenti talassocrati, introducendo il concetto di Rimland che utilizziamo oggi in geopolitica. Nel testo c’è un piccolo capitolo dedicato a un argomento particolare: la dottrina Trimarium, oggi meglio nota con il nome modernizzato di Three Seas Initiative (3SI o TSI). Si tratta di una strategia che diventerà la regola d’oro per mantenere il potere americano nel continente europeo. La 3SI, nota anche come dottrina Baltico, Adriatico e Mar Nero, è oggi considerata un’iniziativa strategica a cui partecipano 13 stati membri, ovvero Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, più 2 stati aggiunti di fatto che sono Moldavia e Ucraina, ed è stata ufficialmente lanciata come progetto nel 2015 dal presidente polacco Andrzej Duda e dal presidente croato Kolinda Grabar-Kitarovič sotto l’attento coordinamento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Una coincidenza? Assolutamente no.

Quando gli americani giunsero in Europa durante la seconda guerra mondiale, non avendo semplicemente intenzione di prendersi una vacanza estiva ma piuttosto di rimanerci e stabilire una potenza duratura, dovettero escogitare un modo per tenere sotto controllo il continente, non solo militarmente – cosa che riuscirono a fare grazie all’enorme numero di basi militari americane sparse in tutti i paesi europei – ma anche finanziariamente e commercialmente, oltre che politicamente. A quel tempo, l’Europa era in una fase di divisione tra Est e Ovest, tra influenza atlantica e sovietica. L’Europa centrale o, più precisamente, la Mitteleuropa, era il fulcro geografico su cui fondare l’esercizio di questa potenza. Bisognava trovare un modo per controllare il continente in modo stabile e duraturo, esigenza divenuta impellente alla fine della prima guerra mondiale e con la disgregazione dell’Impero asburgico, vero e proprio cuscinetto geopolitico che aveva ammortizzato non pochi attriti e rivendicazioni tra russi, ottomani e tedeschi. La geografia politica che aveva preso forma con i 14 punti del programma di Woodrow Wilson non era sufficiente a garantire la governabilità. Anche Winston Churchill era ben consapevole della necessità di un blocco solido, impenetrabile dalle potenze orientali. Fu quindi lanciata l’idea, d’intesa tra Churchill e il successore Franklin Delano Roosevelt, di trovare una soluzione geo-economica: con l’aiuto di tre Club Federali, il Club di Londra, il Club di Parigi e il Club di Roma, nel 1945 venne pubblicata la Carta Intermarium, un documento basato sulle teorizzazioni dell’americano Spykman, che proponeva l’unione di tutti i popoli dal basso Adriatico (in particolare l’Egeo) ai mari del Nord Europa, nella convinzione che la stabilità della regione fosse di fondamentale importanza per una pace duratura in tutta Europa. In particolare, è stato necessario tenere sotto controllo una serie di porti di enorme importanza, come Amburgo in Germania e Costanza in Romania, e in particolare il porto di Trieste. Da allora, la dottrina del Trimarium è stata perseguita con coerenza e determinazione, attraverso vari accordi internazionali multilaterali che hanno coinvolto rotte commerciali, istituti bancari, fondi di investimento e il settore strategico. Tutto ciò è stato facilitato dal crollo dell’URSS, che ha significato un notevole indebolimento delle entità politiche dei paesi coinvolti nel cuore dell’Europa orientale. Se ci pensiamo, il Trimarium crea geograficamente una specie di triangolo a Est, che corre vicino al confine con la Federazione Russa. Esattamente quello che la NATO fa da 75 anni, ovvero espandersi verso Est per provocare e attaccare la Russia. La pratica è stata coerente con la dottrina. Infatti, è uno strumento di controllo per l’intera macroregione balcanica, che è oggetto di speculazioni, missioni militari e costanti problemi politici e sociali, deliberatamente tenuti sotto controllo e instabilità. Il nuovo nome di Three Seas Initiative non modifica la geometria strategica del vecchio Trimarium: sono stati aumentati i porti coinvolti e implementata la presenza militare americana nelle aree di interesse, tra cui la più importante e costantemente sotto l’attenzione degli USA è ancora Trieste. Come mai?

Il Porto Franco di Trieste e il Territorio Libero di Trieste

Non molti conoscono lo status giuridico di Trieste, che è in effetti singolare e meritevole di approfondimenti (che non faremo in questo articolo, forse più avanti). Dopo la seconda guerra mondiale, l’area triestina fu designata come spazio libero che avrebbe dovuto garantire un equilibrio di potere tra le potenze contendenti, come spazio smilitarizzato e neutrale, dotato di un governo autonomo e di convivenza tra le diverse etnie presenti. Nel 1947 fu firmato il Trattato di Parigi, in cui fu stabilita la pace e furono assegnate le divisioni di influenza tra i paesi vincitori e sconfitti. Con la 16a risoluzione fu istituito il Territorio Libero di Trieste (TLT). Nel 1954 il Memorandum di Londra affidò l’amministrazione civile provvisoria della Zona A all’Italia e della Zona B alla Jugoslavia. Nel 1975, tuttavia, con il Trattato di Osimo, Italia e Jugoslavia stabilirono un confine tra territori non di loro proprietà, violando l’autonomia del TLT e il Trattato di Parigi. Con il crollo della Jugoslavia e la successiva divisione del territorio in più stati, il TLT si è trovato diviso tra tre paesi – Italia, Slovenia e Croazia – che lo hanno occupato illegittimamente, violando i trattati precedenti e innescando contenziosi, lotte politiche e giudiziarie, scandali e proteste che continuano ancora oggi. Ciò che è più interessante è l’approccio italiano. Trieste è posta sotto occupazione amministrativa e militare, in quanto vi sono probabilmente forze armate e di polizia della Repubblica Italiana… e americana, in quanto l’Italia è una colonia degli USA sotto occupazione militare, come testimoniano le oltre 120 basi statunitensi sparse su tutto il territorio. Proprio a Trieste, gli americani hanno posto la scuola di intelligence dell’ONU e uno speciale controllo di polizia, tra cui l’Eurogendfor, che mantiene non solo la città ma anche le rotte commerciali sotto un persistente controllo militare. Il porto di Trieste, che dovrebbe essere un porto franco internazionale, è il porto per eccellenza che consente alla Mitteleuropa di accedere al Mar Mediterraneo, che si apre all’Oriente e all’Africa, con una convenienza del 73% rispetto agli altri porti europei. La sua posizione è strategica sotto ogni aspetto. Ecco perché gli americani hanno voluto prenderne il controllo per attuare la dottrina del Trimarium. Governare Trieste e il suo porto significa governare l’Europa meridionale e orientale. Da Trieste al Baltico si crea una linea retta che definisce una immaginaria “cortina di ferro”, ma anche un corridoio nord-sud in termini di gasdotti e oleodotti, rotte commerciali via terra e l’amministrazione militare unica dei territori. Tutto ciò viola la sovranità del TLT e gli accordi internazionali con cui è stato istituito, commettendo un duplice atto di violenza. Nel frattempo a Trieste sono intervenute anche Cina e Russia, la prima con importanti investimenti, fortemente frenati con la retrocessione dell’Italia dalla Via della Seta nella primavera del 2024, la seconda già presente fin dal periodo sovietico e ora, dopo anni di investimenti, bloccata per le sanzioni europee dal 2022.

La Via del Cotone passa per Trieste

Torniamo all’incontro segreto di qualche giorno fa. Il tema era la militarizzazione del porto, già di fatto sotto controllo militare, ma che verrebbe messo totalmente sotto assedio quando l’Italia avvierà la Via del Cotone. Si tratta di una rotta commerciale alternativa alla Via della Seta, realizzata attraverso una partnership tra USA, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Israele, Giordania e Unione Europea, costituita da due collegamenti, uno ferroviario e uno portuale, con fondi del Global Infrastructure and Investment creato dal G7 nel 2002 e del Global Gateway dell’Unione Europea. L’obiettivo è competere con la Cina e, in generale, con i partenariati eurasiatici e i BRICS+, da cui i paesi europei sono esclusi in virtù della sottomissione anglo-americana. A questo corridoio economico tra India, Medio Oriente ed Europa, l’Italia parteciperà in virtù del memorandum firmato nel settembre 2023 proprio attraverso il porto di Trieste.

Peccato che la situazione geopolitica in Europa – per non parlare di quella economica, totalmente disastrosa per tutti gli stati del continente – non sia proprio favorevole:

il conflitto russo-ucraino dura più di quanto previsto dalla NATO e ciò provoca una grande instabilità all’interno stesso del triangolo Trimarium – a cui nel 2023 si è aggiunta l’Ucraina, con il pretesto di rafforzarne l’indipendenza militare –

; la situazione in Medio Oriente è un disastro epocale;

l’economia di guerra non ha favorito la ripresa dei paesi europei, anzi, li ha gettati uno dopo l’altro in un lungo inverno di inflazione;

il sostegno internazionale è venuto meno con l’avvento di un mondo multipolare a guida orientale, sgretolando giorno dopo giorno, accordo dopo accordo, l’egemonia americana in tutto il mondo.

Cosa fare allora del Trimarium e di Trieste?

La militarizzazione di un porto franco internazionale sembra essere una provocazione ben concepita. In violazione del diritto internazionale e con l’uso prepotente della forza, il blocco atlantico vuole alzare la voce contro Russia e Cina, cercando di limitare i loro interessi nei territori occupati. Ma ancora più probabilmente, ciò che stanno cercando di fare è consolidare quella “cortina di ferro” dal Mediterraneo ai mari del Nord, in modo da poter gestire (o quasi gestire) l’eventuale disallineamento geografico del conflitto russo-ucraino. Proviamo a immaginare il seguente scenario: l’Ucraina cade, la NATO e il suo rappresentante noto come Unione Europea, costretti a combattere una guerra per procura suicida, non mollano la presa e accettano di estendere il conflitto nel cuore dell’Europa. Dove andrebbero a combattere? Prendendo come valido un approccio di conflitto convenzionale, i territori più ottimali sarebbero la Polonia e la Germania, passando per l’Ungheria. Raggiungere già la Germania, tuttavia, significherebbe far crollare la Deutsche Bank, ancora in una crisi terribile, che è la principale fonte di flusso di denaro per la Banca Centrale Europea, e questo è inaccettabile perché farebbe implodere il sistema politico dell’UE e l’euro come moneta, con conseguenze disastrose per il dollaro già malconcio. Dobbiamo quindi respingere il nemico e tenerlo oltre un certo confine. Da Trieste al Nord, quindi, reprimendo la Mitteleuropa con l’aiuto di Moldavia e Romania, è possibile stabilire un teatro di battaglia circoscritto e gestibile, già denso di presenza militare NATO da decenni e in continuo aumento negli ultimi anni, con esercitazioni e scuole di guerra in Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania che preparano i soldati allo scontro con la Russia. Tenendo presente che la Croazia ha reintrodotto la leva obbligatoria e che l’Italia lo farà presto, come è già in discussione in Parlamento da mesi.

Cosa diavolo sta succedendo a Trieste? Per rispondere a questa domanda, tenendo presente l’oggetto dell’incontro a porte chiuse, bastano poche parole: il prossimo teatro di guerra. E di certo non verranno a chiederci il permesso per iniziare

Lorenzo Maria Pacini

Il professor Pacini è un raro esempio di pensatore geopoolitico italiano. Questo articolo sta avendo eco all’estero. Qui  sottto chi è e cosa scrive:

https://independent.academia.edu/PaciniLorenzoMaria

Qui un altro che segnala Trieste  come punta della “cortina di ferro” NATO

https://pluralia.forumverona.com/en/a/triangle-made-in-usa-that-should-pass-through-trieste/

Washington ha un piano strategico occidentale per creare un triangolo Trieste-Danzica-Costanza, denominato Corridoio N3. Viene presentato come un corridoio commerciale, ma nella logica del blocco militare, sarebbe in realtà molto più ragionevole presentarlo come uno scontro con la Russia. Ecco perché il porto franco di Trieste rischia di diventare il perno di una fortezza a tre partiti

Il 21 maggio, l’Atlantic Council Journal ha pubblicato un articolo, firmato da un gruppo di quattro esperti, ” Bridge the Baltic, Black, and Adriatic seas would serve both European and NATO interests “, firmato da Kaush Arch (USA), Adam Eberhardt (Polonia), Paolo Messa (Italia) e George Scutaru (Romania). In allegato all’articolo c’era una mappa che mostrava il “Triangolo Trieste, Danzica, Costanza” chiamato Corridoio N3, che riproduciamo anche qui.

Tutti e quattro gli autori sono esperti molto noti.  Kaush Arha è presidente del Free and Open Indo-Pacific Forum e non-resident senior fellow presso l’Atlantic Council e il Krach Institute for Technical Diplomacy presso la Purdue.  Adam Eberhardt è vicedirettore del Center for East European Studies presso l’Università di Varsavia. L’italiano Paolo Messa è non-resident senior fellow presso l’Atlantic Council e fondatore di Formiche, un progetto culturale ed editoriale italiano. George Scutaru è CEO del Center for New Strategy ed ex National Security Advisor del Presidente rumeno.

L’Atlantic Council è un think tank americano altamente funzionale e di alto profilo con sede a Washington DC, il cui scopo è quello di “promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sulla centralità della comunità atlantica di fronte alle sfide del 21° secolo”.

Tesi simili, sebbene con un orientamento più storico e culturale, sono state sostenute anche da Arha e Messa lo scorso marzo nell’articolo ” Perché un porto italiano è centrale per la competizione indo-pacifica “, nella rivista bimestrale National Interest dell’American Republican a Washington. Nota 1.

Nell’Europa centro-orientale, è particolarmente nota per aver promosso la Three Seas Initiative (3SI), che ora unisce tredici paesi, dall’Estonia alla Grecia, situati lungo l’asse nord-sud tra il Mar Baltico, l’Adriatico e il Mar Nero. Nata nel 2014 da un iniziale riavvicinamento tra Polonia, Romania e Croazia, da allora si è espansa fino a includere la Grecia, come più di recente nel settembre 2023, portando in dote una grande base statunitense nel porto di Alexandroupolis, vicino ai Dardanelli, insieme alle basi di Stefanovikeio, Cretan Souda Bay e Larissa.

Il triangolo Trieste – Danzica – Costanza si chiama Corridoio N3 ed è stato concepito a Washington. Può sembrare un progetto commerciale ma in realtà è presentato come una difesa contro l’aggressione militare russa e la coercizione cinese

L’articolo sostiene inoltre che parte del fondo da 100 miliardi di dollari proposto dal Segretario della NATO Stoltenberg per l’Ucraina dovrebbe essere assegnato al Corridoio N3 e conclude come segue: “Gli Stati Uniti, l’Europa e la NATO devono rafforzare la loro resilienza economica e militare collettiva per contrastare sia l’aggressione militare russa sia la coercizione economica cinese. I corridoi N3 serviranno a entrambi gli scopi.

Non solo mobiliteranno meglio l’intera forza delle capacità militari e di difesa dell’Europa centrale e orientale, ma cambieranno anche potenzialmente l’interazione della regione con l’economia globale. Non si dovrebbe perdere tempo per implementare questo piano strategico”.

L’analista di Limes (Centro studi strategici italiano) Mirko Mussetti ha spiegato in un articolo intitolato ” I tre mari dividono l’Occidente e il mondo russo “, pubblicato dal mensile Maritime Journal della Marina Militare italiana di marzo 2022: “La Three Seas Initiative (3SI, gergo per Three Seas) è una rielaborazione regionale degli obiettivi geopolitici della NATO: far entrare gli americani, tenere fuori i russi e reprimere i tedeschi. È quindi funzionale all’espansione dell’egemonia americana nell’Europa centro-orientale con una funzione prevalentemente anti-russa, ma utile per tenere d’occhio Berlino e contenerne le tendenze espansionistiche. Ciò spiega la frequente partecipazione di alti funzionari di Washington ai vertici di dodici paesi situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico”.

E ancora: “Tuttavia, l’apparente interesse americano per questa piattaforma di cooperazione economica e infrastrutturale rivela l’obiettivo di Washington di degradare o rendere vulnerabili in ogni momento i progetti di maggiore autonomia europea (economica, strategica o culturale) dall’influenza nordamericana schiacciante concepita nelle capitali occidentali del Vecchio Continente. Un fronte compatto e filoamericano che esegue diligentemente i dettami della Casa Bianca sta dilagando nell’ammorbidimento o nel rinvio delle politiche di integrazione in discussione a Bruxelles. A partire dall’idea ricorrente di dare all’UE una difesa comune, alternativa e potenzialmente concorrente con l’Alleanza Atlantica.”

Inoltre: “Tra i progetti principali c’è la linea ferroviaria Rail2Sea, che collegherà Danzica (Polonia) sul Mar Baltico a Costanza (Romania) sul Mar Nero. Spostare merci da un mare semi-chiuso a un altro bacino semi-chiuso non è una buona idea; molto più preferibile sarebbe impiegare collegamenti logistici con la città portuale di Trieste sul terzo mare, l’Adriatico (vedere la mappa seguente – ndr ). Pertanto, il significato profondo del progetto ferroviario Rail2Sea ​​promosso dagli USA non sta tanto nello sviluppo economico decantato, quanto nell’efficiente trasporto di equipaggiamento militare lungo tutto il fianco orientale della NATO… La simmetria della nuova virtuale “cortina di ferro” è incredibile e poggia sui due bastioni del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica: Polonia e Romania.”

Trieste potrebbe diventare il porto strategico della nuova cortina di ferro in Europa come vertice più arretrato del triangolo. Importante polo logistico, capitale del retro

Se tracciate una linea retta tra Danzica e Costanza, vedrete che corre molto vicina e quasi parallela alla linea che collega l’exclave russa di Kaliningrad (l’antica Königsberg dove nacque Kant) e la città di Odessa, un porto strategico ucraino sul Mar Nero, attraversando la Transnistria, che è praticamente “un’altra exclave sotto il controllo russo”.

Questa è la linea rossa dell’istmo europeo, cioè il fronte più corto tra il mondo russo e l’Europa, sotto l’influenza americana, punteggiato di basi militari e missilistiche.

Ma questa prima linea deve essere rifornita di truppe e di finanziamenti in caso di scontro.

Ed ecco il significato del terzo vertice del Triangolo: il porto strategico di Trieste, che tra l’altro si trova a due passi dalla base aerea americana di Aviano, da cui nel 1999 decollarono gli aerei che bombardarono Serbia e Belgrado durante la guerra del Kosovo.

Nella mappa seguente (in basso), è possibile vedere il triangolo proposto dall’Atlantic Council Magazine sovrapposto (in blu) a una precedente mappa dell’istmo europeo (cerchiata in rosa e con le principali basi militari adiacenti contrassegnate), pubblicata in un articolo di InsideOver del dicembre 2021 , prima che le truppe russe entrassero in Ucraina (24 febbraio 2022).

L’uso militare di un “porto franco internazionale” come Trieste non è consentito ai sensi del Trattato di pace del 1947 che ne disciplina la funzione

Trieste è un porto dai fondali profondi, in grado di accogliere le più grandi navi di ultima generazione, ed è ben collegato con l’entroterra europeo da una rete ferroviaria esistente fin dal 1859, eredità dell’Impero asburgico.

Le ferrovie sono il mezzo preferito per il trasporto rapido di attrezzature pesanti, armi e truppe.

Si tratta di un porto franco internazionale, come stabilito dal vigente Trattato di Pace del 1947 e dal suo Allegato VIII , ma da settant’anni il Governo italiano, che ne è l’amministratore dal Memorandum di Londra del 1954, non ha voluto applicarne pienamente le caratteristiche di regime di franchigia doganale e di accessibilità all’intera comunità internazionale senza eccezioni o restrizioni, ” come è consuetudine negli altri porti franchi del mondo ” (art. 1 dell’Allegato VIII PT 1947), continuando a trattarlo come un qualsiasi porto nazionale, salvo taluni aspetti doganali.

Ciò nonostante le continue richieste di piena applicazione dello status di Porto Franco da parte degli operatori portuali, anche di grandi dimensioni come MSC (Mediterranean Shipping Company – ndr ), e le politiche locali promosse dai cittadini.

L’uso militare, o “duplice uso” a favore di una parte e a esclusione delle altre, non sembra essere in linea con lo spirito del Freeport, né con il diritto internazionale ancora in vigore.

L’offerta al porto di Trieste, che soffre molto per il semi-blocco del canale di Suez dovuto alla crisi di Gaza, sarebbe quella di farne il terminal europeo della Via del cotone, la risposta americana alla Nuova Via della seta cinese, che avrebbe dovuto avere il suo terminal marittimo nel porto giuliano prima di essere bloccata dall’intervento statunitense.

Ed è improbabile che la popolazione si renda conto di essere diventati una base logistica militare strategica in caso di conflitto, soprattutto considerando lo sviluppo di risorse a medio e lungo raggio progettate per colpire in profondità dietro questo tipo di centri logistici.

Con i Tre Mari , l’idea avanzata dalla Casa Bianca nel 2014 attraverso il ripristino e il rinnovamento di Mezhmorje dal maresciallo polacco Józef Piłsudski , una delle più significative teorie geopolitiche riguardanti lo spazio centro-orientale dell’Europa , gli strateghi americani hanno radunato le fila dei paesi dell’Europa centrale e li hanno legati logisticamente e difensivamente alle decisioni di Washington. Il processo è di lunga data e procede in modo simmetrico, lento e delicato: formalmente, mira a ” incrementare il commercio e la connettività nei trasporti, nell’energia e nelle infrastrutture “.

Tuttavia, il progetto infrastrutturale richiede un capitale enorme e Three Seas non ha fondi sufficienti per realizzare i lavori previsti per un valore di almeno sette miliardi. Gli Stati Uniti hanno detto che sarebbero intervenuti fornendo il doppio del capitale raccolto dagli stati membri, ma quando la Polonia ha fornito 735 milioni, ha cambiato idea e ha detto che era disposta a fornire solo prestiti: solo dopo le trattative, ha fornito circa 300 milioni. Infatti, l’anno scorso la disponibilità di fondi da erogare era di circa un miliardo, ma solo se fosse garantito un rendimento chiaramente esorbitante del 14%.

Si parla di possibili finanziamenti, ma non più concreti, tramite la BERD e la BEI, nonché di un consenso politico europeo, ma gli Stati dei Tre Mari rappresentano solo il 15% del PIL totale dell’UE e ovviamente non hanno la potenza economica per realizzare tutte le 143 infrastrutture progettate (ferrovie, strade, energia elettrica, cavi dati).

Pertanto, la dimensione militare-strategica dei Tre Mari ha chiaramente preso il sopravvento su quella economica, anche a seguito della crisi ucraina. Contribuendo solo al 30 percento del denaro al Fondo dei Tre Mari , gli Stati Uniti spostano gran parte del costo dei propri interessi strategici sui tredici paesi membri.

Ora si vuole coinvolgere in modo specifico Trieste, storica “ porta ” intermodale dell’Europa centro-orientale, che ha il vantaggio di avere un’infrastruttura ferroviaria, presupponendo una partecipazione del suo territorio ai Tre Mari, anche se non da parte dell’Italia.

Non si tratta solo di speculazioni geopolitiche o di articoli di riviste (che in realtà sono preparativi per le operazioni): i contatti vengono intensificati, vengono effettuate ricerche e pressioni, vengono organizzati incontri locali e americani e pianificati importanti eventi pubblicitari.

Ma Trieste non offre alcuna nuova infrastruttura, come ad esempio gli auspicabili cavi sottomarini per la trasmissione di dati, che, come già avviene nel porto di Marsiglia, dove generano più fatturato delle merci tradizionali, creerebbero entrate supplementari per lo sviluppo e la produzione a valore aggiunto.

A Costanza, Danzica e in Croazia è prevista la posa di cavi sottomarini per lo sviluppo delle infrastrutture IT nell’Europa centrale e orientale.

La proposta al porto di Trieste, che sta soffrendo molto per il semi-blocco del Canale di Suez dovuto alla crisi di Gaza, sarebbe quella di trasformarlo nel terminal europeo della Via del cotone , la risposta americana alla Nuova Via della seta cinese , il cui terminal marittimo avrebbe dovuto essere nel porto giuliano di Venezia prima che venisse bloccato dall’intervento statunitense.

“ La Cotton Road , o India – Middle East – Europe Economic Corridor (IMEC) , è un progetto di corridoio logistico tra India ed Europa che consentirebbe alle merci di transitare dall’India ai porti dell’Arabia Saudita e poi prendere una rotta via terra fino al porto israeliano di Haifa, da dove salperebbero di nuovo per l’Europa.”

Ma mentre il commercio di beni tra l’Europa centrale e la Cina è molto significativo (il primo partner della Germania è la Cina), il commercio con l’India non è molto significativo. Inoltre, la crisi in Medio Oriente ha reso impossibile una rotta terrestre verso un porto israeliano e ha per il momento messo a repentaglio gli Accordi di Abramo , a cui l’Arabia Saudita ha aderito.

E come se non bastasse, la Turchia, attore regionale di crescente importanza, che sta espandendo la sua influenza nel Mediterraneo dalla costa turca alla Libia con la dottrina Mavi Vatan – la patria blu – si oppone perché verrebbe tagliata fuori dai flussi commerciali.

“ L’ho detto chiaramente e lo ripeto: nessun corridoio può essere stabilito senza la Turchia ”, ha tuonato Recep Tayyip Erdogan dopo il vertice del G20 di settembre 2023 a Nuova Delhi, dove sono stati firmati i protocolli per il corridoio economico IMEC (India – Medio Oriente – Europa), comunemente noto come Cotton Road. E ha aggiunto: “ Se si vuole collegare il Golfo Persico all’Europa, la Turchia rimane la via più logica ”.

A differenza del corridoio IMEC , il corridoio proposto da Erdogan prevede un sistema di collegamenti ferroviari e autostradali che collega i porti degli Emirati e del Qatar all’Europa attraverso l’Iraq e la Turchia.

Erdogan ha affermato che gli Emirati, il Qatar e la Turchia sono “ pronti a cominciare ” e che nessuno dei partner coinvolti “ intende perdere altro tempo ”.

Questo progetto infrastrutturale riguarda essenzialmente l’Iraq e prevede la costruzione di una linea ferroviaria a doppio binario lunga circa 1200 chilometri e di un’autostrada che porterà al porto di Al-Faw, nella provincia irachena di Bassora.

La Turchia e le monarchie petrolifere del Golfo hanno sottolineato la possibilità che il corridoio commerciale sarà accompagnato anche da oleodotti, gasdotti e impianti industriali lungo il percorso.

Di grande importanza per Trieste è la Turchia, dove ormai il 60% delle merci in transito, di cui il 90% destinate all’Europa, provengono o sono destinate ai porti turchi, la cui operatività è aumentata anche grazie alle deviazioni dei flussi e alle triangolazioni causate dalle sanzioni occidentali contro Russia e Iran.

Nel frattempo, la Cina, attraverso la sua CCCC (China Communications Construction Company – ndr ), ha appena acquisito il 49% del porto in acque profonde di Anaklia sul Mar Nero in Georgia, in costruzione, collegato alla Trans-Caspian International Transport Route (TITR), meglio conosciuta come “ Corridoio di Mezzo ”: si tratta del ramo principale della Nuova Via della Seta di Pechino , che dovrebbe collegare Cina ed Europa e su cui la Turchia è molto attiva con i suoi partner centroasiatici.

Anche il porto georgiano di Anaklia ambisce a collegarsi al Golfo Persico (Bassora in Iraq) attraverso la stessa rotta indicata dalla Turchia.

Di recente Ankara ha presentato domanda per entrare a far parte dei BRICS con il sostegno di Brasile e Russia, e il suo ministro degli Esteri Hakan Fidan è volato in Russia l’11 giugno per partecipare al summit, mentre la nazione si prepara a partecipare al prossimo incontro della Shanghai Cooperation Organization del 3 e 4 luglio con Cina, India, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan.

Al contrario, l’ambasciatore statunitense in Turchia Jeff Flake ha espresso in un’intervista la speranza che la Turchia rimanga fuori dai BRICS.

“The Big Game” è tornato, e non solo in Asia Centrale: poiché viviamo in un mondo globalizzato, i suoi effetti sono evidenti anche in Europa, e coinvolgono direttamente città portuali come Trieste, che in Italia è percepita come una “città in alto a destra ” periferica, ma che è invece centrale in questo contesto geopolitico in ebollizione.

Al momento, “ il Nuovo Grande Gioco ” riguarda infrastrutture e corridoi logistici, energetici e informatici, ma sempre più anche questioni militari: la guerra in Ucraina ha cambiato le regole del gioco, insieme al semi-blocco di Suez .

Come si può vedere, la situazione è complessa e in rapida evoluzione e varrà la pena di analizzarla in successivi articoli approfonditi.

Giornalista, scrittore

Paolo Deganutti