Ho ricevuto questa lettera firmata.
“Ha visto questo?
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Contestato il parroco che ha chiesto di pregare anche per il padre che ha commesso questa orribile strage. Che dire? Oramai il popolo pretende che i parroci ragionino secondo la giustizia del mondo (nessuna pietà e nessuna speranza eterna per chi si è macchiato di tale crimine) invece di preoccuparsi di recuperare e salvare l’anima di chi ha sbagliato e la cui salvezza eterna al momento è pregiudicata.
Dispiace che l’ignoranza abbia la meglio, Era chiaro che non si trattasse altro che di una preghiera di conversione affinché l’omicida si possa rendere conto dell’atrocità che ha commesso e poter così intraprendere un percorso di pentimento sincero e, come tale, sofferto. Ma questa è la situazione di oggi”.
No, caro amico e lettore, stavolta non sono d’accordo. La vita è una cosa seria, la morte anche di più. Non molto tempo fa la Chiesa negava ai suicidi la sepoltura in terra consacrata: segnale tremendo ma pedagogia necessaria. Non erano ancora i tempi del “chi sono io per giudicare”, e la sapienza cristiana sapeva che il suicida si è escluso volontariamente dalla possibilità stessa di misericordia e perdono nel Giudizio, con un atto di superbia suprema buttato in faccia al Dio che è Amore.
“Di là” non c’è il buonismo: c’è la Verità, ossia la Giustizia; c’è l’Amore assoluto che è assoluta esigenza, c’è la Maestà. Là è finito il tempo della “prova” in cui il pentimento è possibile, e c’è il Giudizio della Maestà. Offesa.
Quanto l’abbia offesa questo individuo che non voglio nemmeno nominare, è spaventosamente evidente. Ha ucciso le sue stesse bambine, tradendo non solo gli obblighi assoluti che un adulto ha verso innocenti, ma persino gli affetti più naturali. Il tradimento della sua funzione di agente dell’ordine, non è nemmeno il caso di ricordarlo, sparisce ai nostri occhi di fronte ai due infanticidi delle sue stesse figlie: ma anche questo nel Giudizio, viene pesato.
In più, ha trattato per ore, asserragliato, creando false speranze che le avrebbe alla fine lasciate vive: invece le aveva già uccise. Fin dal principio. Aveva premeditato tutto. Anche il proprio suicidio: quelle ultime ore della sua vita, in cui poteva ancora arrendersi e affrontare la pena della giustizia umana, quindi la salita verso l’espiazione e il perdono, le ha sprecate in questa menzogna e finzione. Un atto di suprema, esiziale superbia: ha sputato in faccia alla Carità e alla Verità. Adesso se le vede con la Giustizia.
Ma ha anche sputato in faccia alla comunità della sua cittadina, e questo rende profondamente giusto lo sdegno della gente in quella chiesa. E’ questa una tragedia nel senso vero, greco, precristiano del termine: e allora la folla in chiesa diventa il coro tragico sulla scena di tremila anni fa, il coro che piange sugli innocenti, che esprime cantando il suo orrore per il Fato indecifrabile ed il Male nella forma irrazionale, incomprensibile – che “non si può” perdonare.
Pregare per questo? Non sia mai, ha detto il coro con sacro orrore. Un coro antichissimo poté piangere ancora su Edipo, pur dopo averne conosciuto l’oscena dissacrazione, uccidere il padre e andare a letto con la madre, perché non sapeva, era una vittima del Fato, sulla cui innocenza non si poteva giurare (perché nel Fato agisce una incoercibile giustizia) – ma nemmeno escludere.
Ma qui? Noi no, come comunità, non chiederemo perdono per questo che era dei nostri e ci ha collettivamente oltraggiato, incurante del nostro sdegno e del nostro dolore ci ha esibito oscenamente il suo odio e rifiuto della natura umana, ci ha fatto l’oltraggio che una comunità storica non può capire ed accettare, uccidere il proprio sangue. E tutto con volontà deliberata.
Gesù non ha chiesto di pregare per Giuda.
Se credete che parli di epoche “di prima”, di epoche che non conoscevano misericordia e perdono, ricordate una cosa: Cristo non ha chiesto di pregare per Giuda. Ha solo detto: sarebbe stato meglio per quest’uomo non essere mai nato. Una frase che innumerevoli volte un coro geco pronunciò, misurando la vertigine di una libertà umana che si perde per sua volontà. Dato Colui che l’ha detta, una pietra tombale di sepoltura in un inferno tanto profondo, da non poter essere immaginato.
L’infanticida-suicida aveva un’amante. Non è vero dunque che “non poteva immaginare la propria vita” senza la moglie e le bambine. No, il suo movente era di rovinare la felicità degli altri, della moglie e delle bambine. Attenzione, non un impulso “incoercibile” (che poi non esiste mai), ma un progetto a lungo meditato, elucubrato, goduto in anticipo.
Un abisso di odio nero la cui natura satanica non solo non può, ma non deve essere trascurata: anche perché questo semi-tono luciferino, lo vediamo già troppo spesso negli ultimi fatti di cronaca nera, gli omicidi-suicidi, i cannibali che sezionano corpi e mangiano i cuori, ci devono avvertire che qui non si è più davanti al “normale” malvagio. Costui fa il male alla ricerca di un qualche bene, il piacere, il potere e il denaro. Ma qui sempre più persone fanno il male senz’altro guadagno che il male, senz’altro scopo che godere oscenamente, pregustare la morte dell’altro e il suo spavento, il tradimento della sua fiducia, la potenza della magia nera .
Sempre più frequenti. Per allontanamento di sé da ogni idea di Dio e di bene, per la generale incredulità e apostasia, forse anche per l’indebolirsi delle potenze sacramentali ed esorcistiche di una Chiesa che abbandona il sacro per darsi ai servizi sociali mediaticamente approvati; forse per le Messe tirate lì in qualche modo, i “Credo” non pronunciati, l’abbandono della preghiera, non so. Ma è evidente per me che sono indebolite le protezioni invisibili, e Satana impera su migliaia di anime che stanno ruminando invidia, odio, volontà di nuocere, premeditando il Male, senza controllarsi, senza trattenersi (ciò che è sempre possibile, luomo è libero in questa scelta) dicono “Sì” all’Omicida. E in più un Papa che crede – lo ha detto a Scalfari, e mai corretto – che le anime dei malvagi saranno semplicemente azzerate, annichilite. Massimo incoraggiamento a far il Male. Di fronte a tutto ciò, il coro di Latina ha fatto bene a rumoreggiare, a rivoltarsi. In mezzo a tanta dissoluzione – la dissoluzione nichilista di cui il buonismo fa parte – la trovo una reazione sana.