Di Francesco Mario Agnoli
Se ci si occupa criticamente delle sanzioni inflitte, in accordo con gli Stati Uniti, dall’Unione Europea ai cosiddetti oligarchi russi (con particolare riferimento al congelamento dei beni posseduti in Italia) non è per benevolenza nei loro confronti (oltre tutto a scaricarli con un duro discorso ha provveduto lo stesso Putin), ma per il sospetto che non si siano rispettati i principi dello Stato di diritto. Timori di mancato rispetto emersi fin dalla loro prima presentazione con toni belligeri da parte dei mass-media e da ultimo confermati dalla notizia che il Tesoro americano ha costituito una task-force transatlantica, “Repo” (Russian elites, proxies and oligarchs), incaricata di coordinare gli sforzi per scoprire i beni da congelare. In realtà il problema risulterebbe più palese a tutti se, fra Covid e conflitto russo-ucraino, non si fosse determinato una sorta di perpetuo e incostituzionale stato di emergenza. Comunque esiste. Se non per gli Stati Uniti, dove rispetto e applicazione dei principi dello Stato di diritto risultano alquanto ballerini (basti pensare alle prigioni di Abu Ghraib e Guantanamo, alle extrarordinary renditions a suo tempo bollate come “illegali” dal Parlamento europeo), per paesi come l’Italia, la Francia, e la Germania, che invece li affiancano nella missione (così è stata definita) di “applicare misure contro ufficiali russi e le élites vicine al governo, così come alle loro famiglie e chi li aiuta, per identificare gli asset che possiedono nelle nostre giurisdizioni”.
La Repo se la prende anche con gli ufficiali, ma atteniamoci agli oligarchi, che, quale che ne sia la definizione (finanzieri, industriali o comunque ricconi con conseguenti influenze e probabili agganci nel potere politico) possono costituire una sottospecie umana, ma non, allo stato, una categoria giuridicamente rilevante. Per quanto riguarda l’Italia, dove, non essendo stato dichiarato lo stato di guerra, dovrebbero continuare a valere tutte le regole del tempo ordinario, gli oligarchi proprietari nel nostro paese (in genere in rinomate località di villeggiatura al mare o ai monti) di beni immobili o mobili registrati come yacht e auto di lusso, russi o no (esistono oligarchi di altre nazioni come il premier ucraino Zelinsky, proprietario di una lussuosa villa a Forte dei Marmi), sono semplicemente cittadini stranieri che hanno fatto acquisti nel rispetto delle leggi vigenti. La legalità dell’acquisto rende ineledubile, in uno Stato di diritto, la necessità di una norma idonea a legittimare gli interventi espropriativi o comunque limitativi a loro carico. Norma che un articolo pubblicato il 5 marzo da AGI (fra i pochissimi che se ne sono interessati) ritiene di avere individuato, per l’Italia, nel decreto legislativo n. 109 del 22 giugno 2007. Lo suggerisce l’intitolazione “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE”, anche se la direttiva richiamata riguarda soltanto il “finanziamento del terrorismo” e, ugualmente, lo stesso d. lgs. solo di questo fornisce una espressa definizione mentre per il resto rimanda a regolamenti del Consiglio dell’Unione.
Sembra però che la ricerca debba iniziare più a monte, cioè in sede Unione Europea. Qui, nell’ambito della PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune), si è avuta la delibera ad opera del Consiglio in applicazione degli artt. 75 e 215/2° comma del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE), che includono fra le “misure amministrative” (art. 75) e le “misure restrittive” (art. 215/2° comma) “il congelamento dei capitali, dei beni finanziari o dei proventi economici appartenenti, posseduti o detenuti da persone fisiche o giuridiche, da gruppi o da entità non statali” (art. 75).
Si tratta di decisione del Consiglio, che, in quanto tale, risulta immediatamente operativa ed esecutiva in tutti gli Stati membri senza necessità, a differenza di quanto avviene per le Direttive, di espresso recepimento da parte loro, sicché nella fattispecie per l’applicazione delle sanzioni anti-oligarchiche non vi è necessità (e forse nemmeno spazio) di ricorrere al citato D.Lgs., anche se il presupposto per la sua applicazione, nel caso di attività di Paesi minacciose per la pace o la sicurezza internazionale, è dato proprio, oltre che dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, dalle “deliberazioni dell’Unione europea” (art. 2). Trovata la base normativa (anzi, al lmite, addirittura due: una europea e una italiana) legittimante le sanzioni a carico, invece che di Stati, di persone fisiche o giuridiche, restano ugualmente problemi di conformità ai principi fondamentali dello Stato di diritto. Fra questi – essenziale- la garanzia di un autentico diritto di difesa a tutela di chiunque sia colpito da un provvedimento sanzionatorio.
A livello europeo entra in gioco l’art. 275 TFUE, che, mentre esclude in linea di massima la competenza della Corte di Giustizia per quanto riguarda le disposizioni relative alla PESC, l’ammette per i ricorsi “riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche”. Tutto a posto? Certamente no. In un articolo pubblicato l’11 marzo dal Riformista, Baldassare Lauria ritiene che “qualcosa non torni”. Fra il “qualcosa che non torna”, appunto il diritto di difesa, che per essere effettivo deve consentire, quanto meno (è il minimo sindacale), la possibilità di dimostrare l’infondatezza dell’addebito. Possibilità che manca se non esiste un addebito formale e presupposti della sanzione sono soltanto la cittadinanza russa e un successo negli affari da meritare l’accesso alla élite economica del paese. Come potrebbe difendersi l’interessato? Negando di essere russo o ricco e potente? O forse dovrebbe dimostrare la propria contrarietà alla politica del suo governo?
Per di più, a chiusura del cerchio dell’illegittimità di un sistema sanzionatorio che non presuppone l’esistenza di una colpa o la dà per scontata e assiomaticamente connessa a una determinata appartenenza nazionale, l’appena citato Lauria ci ricorda che l’art. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) sancisce il diritto di ogni persona al rispetto da parte degli Stati delle proprie libertà individuali e l’art. 1 del Protocollo addizionale garantisce il diritto di proprietà di ogni persona fisica o giuridica senza fare eccezione per gli oligarchi russi (o di altri paesi).
Per completezza va detto che la lesione del diritto di difesa costituito dalla mancata contestazione di un reale addebito si presenterebbe pressoché negli stessi termini anche se si ritenesse possibile utilizzare il d.lgs. n. 109/2007 per dare esecuzione, in ordine ai beni esistenti in Italia, alla decisione del Consiglio, nonostante che, come si è detto, questa non ne abbia necessità. Difatti il Ministro dell’Economia, al quale spetta, di concerto col Ministro degli Affari Esteri, l’emanazione del decreto di congelamento (art. 4), difficilmente potrebbe apportare aggiunte o modifiche alla decisione del Consiglio, inclusa una propria motivazione, se non – caso mai – in ordine alla individuazione del bene. Per di più il non richiesto ricorso al d.lgs. comporterebbe ulteriori problemi in ordine all’autorità competente a decidere dell’eventuale ricorso, che per il decreto del Ministro dell’economia il decreto legislativo individua nel Tar Lazio.