di Roberto PECCHIOLI
Ci risiamo. Arrivano nuove restrizioni, confinamenti, chiusure. Nessuno sa quanto dureranno. E’ una delle ore più nere della storia recente dell’umanità, il primo blocco su scala globale. L’Italia non è che uno dei teatri di un’operazione planetaria la cui imponenza, simultaneità e fulminea realizzazione lasciano sgomenti. Viene in mente il titolo di uno dei romanzi più importanti del Novecento, Uomini e topi, di John Steinbeck. Salta la distinzione tra le specie. Siamo ridotti a vivere nel sottosuolo, senza luce, senza futuro e con pochissima speranza, lontani gli uni dagli altri. La solitudine rende più grave lo stato di ansia generalizzata, la difficoltà di comunicare è un problema ulteriore, enfatizzata da divieti e imposizioni che hanno ormai oltrepassato la soglia sottile tra emergenza e dittatura.
La differenza, rispetto a qualche mese fa, è la stanchezza, uno sconforto di massa su cui fa leva il potere per rinchiuderci ogni giorno di più, reprimere i riflessi di vita e criminalizzare le reazioni che, qua e là, cominciano ad affiorare, le prime crepe nel muro di paura, egoismo e silenzio di una popolazione invecchiata di colpo. Uomini come topi. Ha un’ombra sinistra il paragone con il mondo della Grande Crisi descritto da Steinbeck nelle vicende dei suoi anti eroi. Lennie e George sono due sconfitti, braccianti stagionali che si guadagnano da vivere vagando per l’America di fattoria in fattoria. Simboli di quella che venne chiamata generazione perduta, somigliano fin troppo ai precari del nostro tempo, con il trolley in mano, sulla strada, puntini in balia del vento.
A milioni sono costretti a competere per lavoretti pagati cinque, quattro euro l’ora, in balia di una serrata che li lascia senza speranze. Per di più, è proibito lamentarsi. Manifestare espone a conseguenze penali per il rischio di contagio; il popolo si divide tra untori potenziali, controllori occhiuti e una folla di impauriti. Colpisce il cambio di rotta della comunicazione: si è passati dall’ottimismo sciocco della primavera, in cui la consegna era “andrà tutto bene”, al catastrofismo odierno. Ancora più fa pensare il concorde cambio di passo a livello internazionale, che non può essere frutto esclusivo della seconda ondata virale.
Nel romanzo di Steinbeck, l’onesta animalità di Lennie Small e la dolorosa intelligenza di George Milton nel loro sogno infranto di libertà anticipano la tragedia del 2020, l’anno I dell’evo del virus e fanno rammentare un verso di Virgilio: una salus victis, nullam sperare salutem, Una sola salvezza resta ai vinti, non sperare nella salvezza.
Uomini che non vogliono diventare topi, abbiamo il dovere di unirci. Come Karl Marx nel 1848 chiese l’unità ai proletari di tutti i paesi, non ci resta che invocare l’unione dei nuovi dannati della terra nell’epoca del virus e del Grande Reset, la gigantesca trasformazione del mondo e della vita da tempo progettata e pensata, la cui realizzazione ha subito una poderosa accelerazione a causa del Coronavirus.
Un’ amica ci regala un’immagine: siamo come pesci in agonia gettati sul molo. Al contrario, il potere è trincerato dentro i suoi palazzi d’inverno. Non sanno, non riescono (o non possono?) fermare il contagio, mentre ogni minuto che passa c’è più povertà; l’odio e la stupidità della bestia diventata massa cresce e si sposta in avanti l’asticella della speranza. “Quando” arriverà il denaro promesso dall’UE, “quando” cambierà il governo, quando passerà la pandemia, quando riprenderà l’economia. Viviamo al condizionale, aspettando un miracolo dalla scienza o l’intercessione di un negromante benefico. Illusioni, miraggi come oasi nel deserto. Guai a chi costruisce deserti, gridava Zarathustra. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
E’ arrivato il momento di reagire. Il pesce sul molo cerca ancora l’acqua, la vita. Qualche segnale positivo appare nella reazione di segmenti di popolazione alle nuove misure di confinamento e distruzione del tessuto connettivo sociale ed economico. Si intravvede all’orizzonte un conflitto tra garantiti e non garantiti, tra potere, funzionari, sceriffi, caporali, truppa di chi comanda e tutti gli altri. Disgustoso è colpevolizzare la popolazione – specialmente i giovani e tutti coloro che devono lavorare- della seconda ondata del virus, mentre restano inascoltate le voci di chi segnala l’aumento della mortalità per tutte le altre patologie che sembrano dimenticate. Gli stessi garantiti di oggi rischiano di essere gli sconfitti di domani, se la crisi continuerà. Disse Jean Marie Le Pen che quando finiscono i soldi, finiscono i diritti. Quel momento non è più tanto lontano.
L’ansia e la depressione avanzano. Siamo convinti che si stiano dilagando l’alcool e i paradisi artificiali, sintomo di inferni che occupano cuore e anima. Non resta che reagire e porre a se stessi la domanda fatidica: ha senso non vivere per non morire? Il destino di topi a tempo indeterminato è degno della nostra condizione di uomini? La prudenza e la profilassi individuale davanti al virus sono un dovere, come la ricerca medica, ma la perdita prolungata, terribile, della libertà sta scavando fossati che sarà difficilissimo colmare, mentre milioni di persone tremano alla prospettiva di non avere più un reddito e tanti anziani provano terrore di fronte alla prospettiva del ricovero, dell’abbandono, di una sopravvivenza priva di senso, lontani dalle persone e dalle cose che hanno riempito la vita sino al fatidico febbraio, il triste natale del virus.
Occorre dunque stare dalla parte di chi rivendica libertà. Una libertà niente affatto filosofica, ma la concreta possibilità di compiere i gesti quotidiani: muoversi, lavorare, comunicare, amare, litigare: vivere. Libertà concreta. Non resta che il coraggio e un indomito amore per le libertà. Se c’è qualcosa che accomuna tutti i dissidenti di oggi è il ripudio per le limitazioni sempre più soffocanti delle libertà elementari. Davvero, poco importa da dove proviene ciascuno, quale sia il retroterra culturale, civile, politico di ascendenza. Conta che si vada dalla stessa parte e si riconosca un nemico comune. Riaffiora l’insegnamento di Carl Schmitt sulla distinzione primordiale, amico/nemico. Suona profetica la distinzione della Teoria del partigiano tra l’avversario con cui ci si confronta per poi riprendere il cammino su basi diverse e il nemico assoluto.
Nemico assoluto è chi sta usando il virus come arma letale per cambiare in peggio la nostra vita, ed imporre un’agenda di riformulazione antropologica. Non è questo, ovviamente, che muoverà le folle. L’opposizione, se nascerà, si coagulerà attorno a richieste assai semplici: lavoro, libertà di movimento, ritorno al massimo possibile di normalità, aiuti immediati a chi sta entrando nella spirale della povertà e persino della miseria. Tuttavia, le avanguardie non possono dimenticare che quello che stiamo vivendo risponde a logiche sempre meno oscure e più inquietanti.
Ne forniamo un breve ripasso, nella speranza di equivocarci nel pensare che stia stata dichiarata una guerra civile planetaria contro i popoli, e che all’interno delle oligarchie di potere – finanziario, tecnologico, culturale, “riservato “- sia in corso una battaglia campale per impadronirsi della governance globale. Dietro la grande crisi pandemica si muove un enorme progetto in cui è in atto una ridistribuzione delle aree di influenza metapolitica tra grandi attori globali (Soros, Gates, Buffet e le loro ONG) ma soprattutto un confronto globale tra il capitalismo di ieri e quello di oggi (Amazon, Silicon Valley), sullo sfondo dei poteri finanziari di sempre.
Tra gli obiettivi e le finalità dell’operazione Covid ( indipendentemente dall’origine del virus) ci sono la vaccinazione di massa, un reset del modello economico e produttivo caratterizzato dal cambio energetico e dall’inutilità di grandi masse umane, il passaggio alla digitalizzazione totale, la generalizzazione del telelavoro, la robotizzazione, qualche forma di reddito universale da spendere presso canali prestabiliti, il declino demografico, la repressione dei dissidenti con il pretesto della protezione della salute. Tali manovre passano in questa fase per il rafforzamento del potere coattivo degli Stati e il mantenimento di stati di emergenza permanenti, con l’uso di minacce sanitarie per sottomettere la maggioranza della popolazione nonostante l’abbandono dello Stato nazionale prodotto dalla sottomissione all’agenda globalista.
Il passo successivo è il passaggio dalla politica alla cibernetica, la scienza che si prefigge la realizzazione di dispositivi capaci di simulare le funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e di controllo. Pura ingegneria sociale tesa al transumanesimo, ovvero al superamento della condizione umana. In questo gigantesco piano è sicuramente in atto uno scontro interno tra fazioni oligarchiche. La formula detta Grande Reset spiega molto. L’arricchimento impressionante di alcuni settori economici e tecnologici e di alcune persone fisiche (Jeff Bezos di Amazon su tutti) fa pensare a battaglie sotterranee dell’iperclasse. Pensiamo alla recente presa di posizione del Fondo Monetario Internazionale, santuario dei poteri finanziari , per il quale è essenziale “riconsiderare la narrativa prevalente sui lockdown “ nella direzione di “un compromesso tra salvare vite umane e sostenere l’economia”.
A giugno il direttore generale del FMI, Kristina Georgieva ha parlato di una Grande Trasformazione successiva ai lockdown. Entusiasti del blocco dell’economia e della libertà di movimento delle persone, per i padroni del denaro si dischiudono nuove “opportunità”. Tra queste la trasformazione digitale e la possibilità di muoversi verso una società “più verde”. Per gli iperpadroni, il virus non è una tragedia con il suo carico di lutti e sofferenze, ma il passo decisivo verso la “grande trasformazione “. Una visione condivisa dal WEF – World Economic Forum di Davos – che parla di Grande Reset. Il concetto è stato presentato nel corso di un evento online organizzato dal WEF, dove si sono ascoltati gli appelli dell’industria e della finanza occidentale ad utilizzare l’”opportunità” concessa dalla pandemia (!!!) per “sostituire il modello vigente con un New Deal verde, ossia, in soldoni, il cambio di paradigma produttivo, energetico, tecnologico, esistenziale per gran parte dell’umanità.
Klaus Schwab, massimo ispiratore del Forum di Davos, ha scritto un libro intitolato Covid 19: il Grande Reset. Peter Koenig , scenarista economico della Banca Mondiale, esponente “critico” dell’iperclasse, lamenta che il testo “ammette, quasi con soddisfazione, che milioni di posti di lavoro andranno persi e continueranno ad essere eviscerati a velocità mozzafiato, che milioni di piccole e medie imprese se ne andranno per sempre, che solo poche sopravvivranno, ovvero i conglomerati globalizzati”. Il Grande Reset si basa sulla completa digitalizzazione dell’economia e del mercato del lavoro; sulla sostituzione delle fonti energetiche tradizionali con quelle alternative; sull’avvio di una quarta rivoluzione industriale attraverso le reti 5G e 6G.
Il Grande Reset, dovrebbe produrre un modello economico “verde”, con gli enormi costi della ristrutturazione generale – economici ed esistenziali- totalmente scaricati sui popoli, diventati un carico superfluo per i padroni del mondo. Questo spiega il ruolo di personaggi come Greta Thunberg e forse il posizionamento della Chiesa con l’enciclica Laudato sì. Non è questa la sede per valutare la validità del modello, specie nella competizione globale con la Cina, massimo consumatore di prodotti energetici fossili e temibile concorrente della supremazia del petro-dollaro negli scambi internazionali. Conta prendere atto che il Covid 19 è un campo di battaglia in cui la salute dei popoli del mondo conta assai poco, nel quale sono appaltate ai giganti del “capitalismo della sorveglianza “le applicazioni relative al tracciamento dei contagi e nel quale la progressiva digitalizzazione della vita quotidiana produce un costante aumento della capacità di controllo e sorveglianza di ciascun essere umano.
Il Grande Reset- di cui la gestione del virus è una tappa fondamentale- rientra nel progetto Agenda 2030 delle Nazioni Unite i cui obiettivi sono stati così riassunti dall’ analista William F. Engdahl. Avremo un mondo “con uguaglianza di reddito, uguaglianza di genere, vaccini per tutti sotto l’egida dell’OMS e della Coalition for Epidemic Preparedness Innovations lanciata nel 2017 dal WEF in collaborazione con la Bill & Melinda Gates Foundation”. La parola chiave dell’intera Agenda 2030 è “sostenibile”, un termine apparentemente virtuoso dietro il quale “si cela una riorganizzazione della ricchezza mondiale attraverso mezzi come le tasse punitive sul carbonio che ridurranno drasticamente i viaggi aerei e dei veicoli”.
La trasformazione si maschera dietro utopie moralistiche ed umanitarie, ma è una nuova distopia oligarchica, che prevede una sostanziale erosione dei redditi della classe media per consentire sia la riduzione di consumi ed emissioni, sia quella “uguaglianza di reddito” che il capitalismo della sorveglianza trasformerà in uguaglianza verso il basso, tendente a una “amazonizzazione” della società, con un gigantesco trasferimento di reddito verso il vertice della piramide. Il lockdown ha accelerato il processo: nei mesi della serrata generale gli uomini più ricchi del mondo e le imprese loro collegate hanno aumentato di un enorme 25 per cento i loro patrimoni. Il valore in Borsa dei GAFA più Microsoft supera ampiamente il PIL annuo del Giappone, la terza economia del mondo. Il solo patrimonio del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, si è incrementato di 76 miliardi di dollari, il triplo di una manovra economica di uno Stato come l’Italia.
Secondo la rivista Forbes, i quattrocento più ricchi del mondo hanno aumentato le loro ricchezze dell’8 per cento in un solo anno, a fronte di redditi dei lavoratori dipendenti diminuiti di 3.500 miliardi. Quando nel computo saranno calcolate le perdite di milioni di piccole e medie imprese, di artigiani, professionisti e dei comparti più esposti ai confinamenti da virus, il quadro sarà ancora più devastante. Per l’Unione di Banche Svizzere, non un covo di bolscevichi o complottisti, la concentrazione della ricchezza è tornata ai livelli del 1905. Ecco che cosa c’è dietro e attorno le questioni del virus che sta modificando le nostre vite come una guerra. Il Grande Reset è un nuovo ordine mondiale in chiave transumanista e cyber-animista (una sorta di culto della Madre Terra hi-tech). Un disegno in cui la maggioranza degli esseri umani sarà un alveare, mero ingranaggio con l’unica “mission” di lavorare per lorsignori, limitando al minimo svaghi, socialità, consumi: un incubo.
Che cosa c’entra tutto ciò con il Covid 19 e le misure che ci stanno soffocando? Il Forum di Davos sembra formato da profeti, poiché il 18 ottobre 2019, pochi mesi prima dell’esplosione del contagio, ha realizzato a New York l’esercitazione denominata “Event 201” in collaborazione con la Fondazione di Bill Gates. Il presupposto sa di divinazione: “È solo questione di tempo prima che un’epidemia diventi globale, con conseguenze potenzialmente catastrofiche. Una grave pandemia, che si manifestasse come ‘Event 201’, richiederebbe una cooperazione affidabile tra diversi settori, governi nazionali e istituzioni internazionali chiave”. Lo scenario dell’esercitazione prefigurava “l’esplosione di un nuovo coronavirus trasmesso dai pipistrelli ai maiali agli umani, trasmissibile da persona a persona, sino alla pandemia.
Non crediamo ai complotti, ma neppure ai profeti. Per questo imploriamo la parte più ricettiva dell’opinione pubblica di sostenere – al di là delle ideologie di riferimento – ogni movimento sociale e di opinione che faccia sentire la voce dei popoli, a partire dalle categorie più esposte alle misure governative, destinate, loro malgrado, a diventare avanguardie di un riscatto popolare. E’ altresì opportuno che si espongano, in queste fasi caratterizzate dalla repressione, soprattutto le persone meno ricattabili in termini di carriera e futuro. E’ un compito in cui ai giovani più combattivi dovranno affiancarsi gli anziani, l’ultimo grande, disinteressato servizio da svolgere a favore della propria gente. Disse Guglielmo il Taciturno: non occorre sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare. Il cielo non lascia mai spiragli tanto chiusi che la speranza non possa farli socchiudere (Calderòn de la Barca). Uomini o topi.