Poiché su vari social appaiono numerosi giovani che mostrano il cartello “verità per Giulio Regeni”; e poiché dalle facce si vede che si tratta di ragazzi della Erasmus Generation, per i quali il mondo è un luogo di vacanze-studio, Medio Oriente compreso, dove al turista-studente non deve accadere niente, tocca ricordare qualche “verità per Regeni”.
La prima verità: in Egitto infuria un guerra civile, cari ragazzi Erasmus. Ferocissima, oscura, piena di attentati i cui mandanti stanno nell’ombra. Dove ogni qualche giorno soldati dell’esercito (quello che con Al Sisi ha il potere) vengono massacrati da terroristi, che sono Fratelli Musulmani, o a quelli riconducibili: e i Fratelli Musulmani sono sostenuti da Washington, che anzi – con Obama – gli ha dato a suo tempo in mano il potere in Egitto, anche abbandonando, tradendo e distruggendo il vecchio alleato Mubarak, un militare, dunque dello stesso corpo di Al Sisi. Molti attentati “muslim” avvengono nel Sinai, che come vedremo più sotto è il centro di tutte le avidità internazionali. Per di più, questa guerra civile egiziana si iscrive nella più vasta guerra civile islamica che oppone sunniti agli sciiti, i miliardari wahabiti Saud all’Iran; una guerra in cui entrano a complicarla i servizi americani e quelli israeliani. Un giovanotto di belle speranze che frequenta lì l’Università Americana del Cairo (succursale Cia) con un mandato di un’università inglese i cui “professori” gli hanno dato mandato di ficcarsi nei gruppi d’opposizione, dovrebbe almeno capire che sta mettendo la mano in una tana di scorpioni, in un gioco più grande di lui, Erasmus Boy; evitare di cadere nel riflesso condizionato tipico del dilettante articolista per il Manifesto, che riconosce immediatamente chi ha torto (“il regime autoritario”) e chi ha ragione (“l’opposizione democratica e progressista”, la “società civile”). Se non ci riesce, dovrebbe almeno capire che la sua attività può suscitare sospetti di un regime che ha qualche motivo fondato di essere paranoico.
Il motivo sta in un articolo scritto da Nasser Kandil – il più importante analista libanese, direttore di giornali, cristiano – che già nell’agosto 2013 – tre anni fa! – titolava: “Sinai: base americana?”.
Il Sinai è egiziano, ma che faccia gola a Israele – che l’ha pure brevemente occupato – è ben noto. Kandil scriveva: “Oggi è più che probabile che i servizi e la politica degli Usa si concentrino sul Sinai. Ci potranno volere mesi e forse anni, durante i quali (gli americani) tenteranno varie opzioni. Tra queste opzioni, trasformare questa zona in rifugio-santuario per le diverse reti di Al Qaeda (…) o in un rifugio per Fratelli Musulmani: i quali, forti della continuità geografica con gli altri Fratelli a Gaza [Hamas], potrebbero lanciare da lì una guerra aperta, portando il caos in tutto l’Egitto.
Un’altra operazione facilmente realizzabili sarebbe di sfruttare queste porte aperte al caos con operazioni che diano il pretesto, agitando pretese minacce ad Israele (Elat è così vicina …) di giustificare il loro dominio diretto sul Sinai, per mezzo di basi militari gigantesche che diverrebbero la più importante portaerei USA al mondo. […] Da là sarà possibile compensare la perdita di ricchezze petrolifere dovute al loro insuccesso in Siria. Da lì la sicurezza di Israele sarà sotto sua diretta sorveglianza, così come quella dell’Africa e del Golfo. Gli Usa potranno dire che si sono ri-dispiegati, non che sono stati sconfitti [in Siria]”. E Kandil concludeva:
http://www.mondialisation.ca/le-sinai-base-americaine/5346522
“Gli occhi Usa sono fissi sul Sinai. Facciamo altrettanto, specie gli egiziani e il loro esercito; la mano americana sul Sinai rischia di minacciare la sovranità dell’Egitto, sovranità che esige di liberarsi dalle costrizioni unilaterali imposti dagli accordi di Camp David”.
Camp David – cari Erasmus Boy – sono gli accordi fatti firmare da Carter nel ’78 tra Sadat per gli egiziani e Begin per gli israeliani, che comportano – a solo vantaggio di Israele – di mantenere a penisola del Sinai del tutto smilitarizzata, ossia indifesa. I Fratelli Musulmani massacrano nel Sinai interi automezzi di soldato egiziani, perché essi sono armati solo alla leggera, come una forza di polizia.
Oltretutto, questa penisola di deserto “può esser traversata da gasdotti che partono dal Golfo verso il Mediterraneo” , utilissimi a compensare il gasdotto progettato per portare l’energia dal Katar all’Europa attraverso la Siria allo scopo di sbatter fuori la Russia dalla fornitura del cliente europei: per realizzare questo fu deciso di abbattere Assad, che lo ostacolava. Essendo quello un osso più duro del previsto, l’importanza del Sinai diventa cruciale: una preda ambita per Sion, che spera da sempre di diventare lo hub petrolifero per gli europei nel progetto di sostituzione anti-Putin, e ancor più essenziale per i sauditi, che (fra gli altri) hanno l’ossessione di impedire all’Iran di portare i suoi energetici ai clienti occidentali.
E’ in questo quadro che i Saud – che non riescono a vincere in Yemen- hanno strappato all’Organizzazione di Cooperazione Islamica ( di cui pagano gli stati-membri) la definizione dell’Iran come stato terrorista e di Hezbolla come organizzazione terrorista. Ma il maggior successo l’ha avuto con Al Sisi: dietro promessa di 23 miliardi di dollari in 5 anni – una boccata d’ossigeno per il governo che ha milioni di disoccupati, il nuovo canale di Suez poco frequentato causa recessione mondiale, e il turismo rovinato dal terrorismo – il generale ha ceduto ai Saud le due isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. Sono isole deserte, ma strategiche. In caso di guerra, impediscono ad Israele di uscire dal Golfo di Aqaba e di uscire nel Mar Rosso e nel Golfo Persico. Per questo gli israeliani le hanno occupate nella guerra del 1967. Le hanno dovuto restituire per gli accordi di Camp David, ma con una condizione: che gli egiziani non dovessero cederle ad altri, senza l’accordo di Sion. Gli altri, allora, erano i sauditi, per Sion poco affidabili.
Come sono cambiate le cose! Oggi non solo lo stato ebraico ha acconsentito, ma anzi – da molti indizi – ha voluto e preparato il passaggio delle isole all’Arabia Saudita. Come ha scritto il Times of Israel, è stato il ministero giudaico alla difesa a metter al tavolo il Cairo e Ryad, a Gerusalemme, per sancire il passaggio, e l’ha approvato per iscritto.
Anzi, Sion ha vantato il “nascere di una integrazione strategica”. La monarchia saudita, che gestisce il terrorismo islamico in Siria e Irak, è oggi il miglior alleato della “unica democrazia del Medio Oriente”. Invece la cessione dei due isolotti ha suscitato proteste e perfino manifestazioni di piazza e sui social in Egitto (nonostante il “regime autoritario e repressivo”): ma che poteva fare Al Sisi? Difficile credere che simpatizzi per affinità con il wahabismo saudita. Ma almeno, è sicuro di una cosa: che i Saud sono nemici irriducibili dei Fratelli Musulmani, ossia dei protetti da Washington. Che hanno gli occhi sul Sinai.
https://francais.rt.com/international/18939-president-egyptien-sous-feu-critiques
Il re Salman (o i suoi badanti) è arrivato al Cairo ed ha annunciato addirittura la costruzione di un ponte terrestre fra Egitto e Arabia Saudita, che ovviamente scavalcherà lo stretto di Akaba, appoggiando i piloni sui due isolotti, e sboccherà nel Sinai egiziano. L’utilità per il Cairo non è caldissima; ma piace molto a Israele che spera apertamente di profittare di un tragitto più diretto che la unisca ai nuovi (o vecchi?) amici wahabiti.
Ciò in vista del progetto petrolifero che Sion insegue da decenni: i sauditi pagheranno le pipelines attraverso il Sinai con cui porteranno il loro gas e greggio all’Europa direttamente; queste tubature sboccheranno – udite udite – ad Haifa, che vogliono far diventare la Rotterdam mediterranea, e poi anche via Ashkelon con sbocchi sul Mar Rosso, ideali per portare il greggio a Cina ed India anche se una guerra contro l’Iran (in cui sperano sempre di trascinare gli Usa, come i sauditi) dovesse provocare la chiusura dello stretto di Ormuz: un vantaggio strategico eccezionale, con belle ricadute collaterali. Ossia enormi guadagni in royaltes per lo stato ebraico: che cercava da dieci anni, quando contava di connettersi al Nabucco coll’energia proveniente dal Kazakstan passando dal porto turco di Ceyhan: progetto che richiedeva ritagliarsi una fetta di terre altrui (è un’abitudine) ed è stato mandato a monte dalla durissima, imprevista vittoria di Hezbollah nel 2006.
Si possono solo immaginare le possibilità di cooperazione militare – e d’intervento e spionaggio via radar-satellite – che apre questo condominio saudita sul Sinai; condominio più con Sion che col Cairo. Che ha poco da guadagnare da tutto ciò. Se Haifa diventa quel che sogna Israele, ne avrà danno il traffico nel canale di Suez.
Il re Salman per giunta ha fatto chiudere, pagando, la televisione Al Manar che veniva diffusa dall’operatore egiziano NileSat. Però, Al Sisi è riuscito – al caro prezzo di cessione delle due isole – almeno a non partecipare al vertice dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica del 15-16 aprile, dove i Saud, spadroneggiando col libretto degli assegni, hanno costretto i partecipanti a dichiarare l’Iran “terrorista”: un colpo torto inteso a sabotare gli accordi fra Iran e Washington, un atto di ostilità contro Obama (che ha invitato i popoli islamici ad andare d’accordo…) e un sabotaggio diretto ad una offerta mediazione del Pakistan – evidentemente su mandato Usa – per la rappacificazione tra Teheran e Ryad.
Insomma un tipico colpo di genio e di testa dell’impulsivo principino ereditario saudita, Mohamed bin Salman, che comanda a modo suo al posto di Salman l’Alzheimer, e che ha avuto il successo di simili imprese del principino (vedi guerra agli Houti in Yemen): Pakistan e Turchia si sono defilate invocando relazioni commerciali con ‘Iran che non volevano guastarsi, varie delegazioni hanno evitato di commentare, l’Egitto – con Al Sisi – s’è più che defilato. Insomma se il principino impulsivo aveva il grande progetto di unire sotto la sua guerresca guida tutta la Sunna contro tutta la Scia, ha fallito: è rimasto coi soliti emiri e petro-monarchi del Golfo, ricchi ma politicamente nulli. Ah, non dimentichiamo però il Tribunale Internazionale per il Libano (TPI) che da anni , con procuratori europei spesso del tipo j, cerca i colpevoli dell’attentato a Saah Hariri. I procuratori di questo autorevole tribunale hanno già dimostrato di non essere insensibili ai premi in denaro: hanno accusato per anni Assad. Adesso accusano Hassan Nasrallah, ossia il capo di Hezbollah in persona, di aver ammazzato Hariri: ciò che dimostra che adesso li paga Saud.
L’altro guadagno netto lo incassa Israele, che ha trovato nel principino un nemico ossessivo del suo nemico, l’Iran, e in più un piede di fatto nella penisola del Sinai, e la rinascita del suo progetto di diventare la centrale di smistamento del greggio saudita e del Golfo. In un cero senso è anche una corsa contro il tempo: si tratta di contrastare il progetto iraniano di un canale che dal Caspio sbocchi nel Golfo Persico,facendo finalmente del Caspio un mare “aperto”. Progetto che sembra folle, un canale navigabile che attraversa per 1400 chilometri l’Iran, con le sue aspre montagne. Eppure nel febbraio scorso il presidente cinese Xi Jinping ha visitato Teheran ed ha discusso la partecipazione dell’Iran al suo grande disegno infrastrutturale pan-asiatico, creazione di porti collegati da reti ferroviarie ad alta velocità da Pechino all’Eurasia. La Cina ha i capitali, e le competenze tecniche, per realizzare il Canale di Persia. (Vedi William Engdhal, New Eastern Outlook 6 aprile 2016).
Un progetto da scongiurare ad ogni costo per i due nuovi amici Ryad e Tel Aviv e per gli Usa, e la Gran Bretagna, memore del “grande gioco” che questo progetto annullerebbe, riportando la Russia nei mari caldi. Il Califfato e Al Qaeda sono gli strumenti indispensabili per contrastare tutto ciò; il terrorismo islamico pagato da lorsignori ha davanti a sé un bell’avvenire. Basta non dimenticare, ricorda il dottor Kandil, la recente frase buttata lì da Netanyahu e dal suo ministro Ya’alon: “Al Nusra non rappresenta un pericolo per Israele”. O il più antico inciso di David Petraeus, generale, ex capo Cia ed esperto di sovversione in Irak: “Nessuna vittoria contro ISIS senza cooperazione con Al Nusra”. Per non parlare di Francois Hollande che vuole assolutamente che “Al Nusra (come) partner del processo politico in Siria”.
Provatevi immaginare per un momento i pensieri del gruppo militare egiziano capeggiato da Al Sisi. Vuoi vedere che ci siamo dovuti alleare a così caro prezzo con i wahabiti perché loro non aiutano i Fratelli Musulmani nel Sinai, e ci troviamo con nel Sinai Al Nusra, ossia Al Qaeda – ossia la Cia? Che ce lo espropria per farci passare gasdotti di Haifa?
Non so se riuscite a capire la paranoia. Non dico a giustificarla, ma valutarla dovreste. A meno che non siate un giovine di belle speranze, con borsa di studio britannica, che arriva fresco al Cairo, si piazza all’università della Cia e lì – essendo uno “de’ sinistra” – scopre subito chi, in questo groviglio incendiario dove non è più chiaro chi è il nemico di chi, e la guerra civile fa’ attentati e le potenze globali fanno i giochi più sporchi, scopre subito da che parte stare: contro il regime che essendo militare è “autoritario”, e fare invece comunella con l’opposizione, che è “democratica”.
E’ bello avere questa visione del mondo così limpida e chiara. Spia degli inglesi, il giovinotto? Penso di no per un motivo preciso: lo avessero mandato, lo avrebbero anche istruito sugli errori più plateali da evitare. Il più grosso, è quello di scrivere sui giornali. Nessuna spia lo fa. E all’opposto, proprio perché il mestiere (raccogliere informazioni) può indurre pericolose confusioni, qualunque giornalista professionale inviato su terreni scottanti, fa’ di tutto per non essere preso per un agente di servizi: magari identificandosi presso il governo vigente onde riceverne un badge, e all’estremo scrivendo PRESS sul giubbotto anti-proiettile. Non sempre basta, ma è essenziale la lealtà verso le parti. Tanto che ci sono persino norme deontologiche, nel codice professionale, che fa divieto ai giornalisti di intrattenere rapporti coi servizi, anche quelli nazionali. Qualcuno che l’ha dimenticato – vedi Renato Farina ex agente Betulla – si è disonorato ben bene, perché si mise al libro-paga del SISMI, che gli fece fare dei servizi, diciamo, ambigui.
Ora, il fresco giovinotto invece che fa? Dopo essersi introdotto i sindacati clandestini, ci scrive articoli su Il Manifesto, perché il fondo lui è in vacanza-studio ed è dalla parte del progresso ossia del Bene, ed un po’ di vanità è consentita a chi fa’ il Bene. Ora, non sfuggirà nemmeno ai più inermi mentali che ci sono le ambasciata. L’ambasciata d’Egitto a Roma ha gli “attaché”. Un attaché militare, un attaché addetto-stampa che legge i giornali italiani. Nessun articolo riguardante l’Egitto gli sfugge, altrimenti perché lo Stato pagherebbe stipendi e costosa permanenza lì? Figuratevi solo le antenne che si rizzano. I dispacci cifrati che partono per il Cairo. Chi è questo? Chi lo manda? Su mandato di chi si intrufola negli ambienti dell’opposizione clandestina? Il giovinotto ha fatto due mestieri invece di uno, e non da professionista.
A questo punto, la verità su Regeni non riguarda più la politica, il grande gioco, lo spionaggio. Riguarda ahimé la biologia, la teoria evoluzionista. La “lotta per l’esistenza” che è dura e spietata. Cerco di essere delicato. Mentre finisco di scrivere questo articolo, i giornali radio parlano del seguente fatto di cronaca accaduto in una stazione ferroviaria secondaria, la stazione Certosa di Milano: “Una giovane di 19 anni travolta e uccisa da un Freccia Rossa. Attraversava i binari con la musica in cuffia”. Dunque, due cose: 1) non ha usato il sottopasso, scavalcando i binari a piedi; e come? 2) con le orecchie coperte e l’udito obliterato dalla musica. Certamente senza guardare a destra né a sinistra, perché a lei cosa può succedere? Faceva la modella, lei. “Lisa, splendida ragazza bruna e snella, aveva studiato Fashion Design. I suoi profili sui social network raccontano le istantanee di una vita da modella agli esordi: i selfie davanti allo specchio, il trucco che la trasforma in una star, i backstage dei servizi di moda, l’affetto degli amici che la sostengono «Sei bellissima».
Con tutta la compassione necessaria, detta per l’anima sua una preghiera, bisogna dar ragione a Darwin. Quanti giovani italiani stanno vincendo il concorso degli inadatti alla competizione per l’esistenza? In un mondo dove avranno la concorrenza di orde di profughi famelici che le hanno viste tutte, tutto sopportato, fatto tutte le violenze necessarie per arrivare vivi qui sulle nostre coste? Questi sono i superstiti di un processo di selezione spietato. La nostra generazione Erasmus non sa nemmeno togliersi le cuffiette prima di attraversare illegalmente i binari; e il Freccia Rossa è veloce, di questi tempi.