A riscontro di quanto esposto dal generale Vannacci sulle classi separate, a conferma della correttezza delle sue tesi, desidero inviare un documento tratto da una storia realmente vissuta e raccontata in alcune pagine nella “Scuola a Caporetto” (autopubblicato) di cui sono l’autore, molto prima che la neolingua denominasse i portatori di handicap con il termine “diversamente abili”.
Con licenza di pubblicazione. Nicola D’Adamo
7 Novembre 1986 Venerdì: Ispezione del dottor Lelio Abbisogno, del Provveditorato agli Studi di Città.
La mia è una cattedra orario, una di quelle che si formano, assegnando al professore due ore in una scuola, cinque in un’altra e così via, fino a raggiungere le fatidiche diciotto ore.
Ma mi reputo un fortunato, perché in sorte mi sono toccate solo due sedi: la Pascoli, e l’Augusto, che posso tranquillamente raggiungere a piedi. In quest’ultima ho trovato ad accogliermi il medesimo Preside con cui, per il mio passaggio in ruolo, feci giuramento di essere fedele al mio Paese, che mi accingevo a servire.
Oggi, dopo qualche mese di scuola, gli ho chiesto di essere ricevuto: “D’Adamo”, ha esclamato, allargando le braccia, mentre entravo nel suo Ufficio, “c’era forse bisogno che ti annunciassi tramite il bidello? Per te la Presidenza è sempre aperta”.
“Ecco”, gli ho risposto, “quando devo affrontare un problema di una certa gravità, s’impone che io ufficializzi la richiesta. Nonostante l’amicizia che ci lega. Sa come la penso: nella scuola siamo pubblici funzionari, e come tali dobbiamo agire: nell’interesse esclusivo dello Stato e degli alunni, che ci sono affidati”.
Ha gradito la mia risposta. Mi ha fatto accomodare e, dopo avere ricordato i bei tempi passati, mi ha chiesto i motivi della visita.
Così ho iniziato ad esporre il problema della 3A, nella quale insiste dalla prima un portatore di handicap.
“Il ragazzo” gli riferisco ” ha un quoziente intellettivo di un allievo di terza elementare. Nelle primarie ha imparato a malapena a leggere. Meccanicamente. Quando si passa ad operazioni più complesse, suo malgrado, non riesce a compierle: nonostante abbia a sua disposizione una docente di sostegno.
Ma ciò che è peggio di ogni altra cosa è la totale impunità di cui gode, grazie alla sua diversità. Ogni momento è buono per alzarsi dal suo banco e disturbare i suoi compagni, prendere le loro penne, guardare nelle cartelle, scartocciare merende, tra la generale ilarità di chi non è direttamente coinvolto. Sicché gran parte dei momenti scuola divengono occasioni di riso e schiamazzi . Ha una particolare predilezione per le compagne, di cui cerca in tutti i modi di toccare il seno. E queste, per nulla turbate, anziché reagire alle molestie, ne approfittano per ridacchiare… e fare nulla. I ragazzi mi hanno raccontato che la cosa avviene senza soluzione di continuità dalla prima media. Perciò,” continuo ” non parlo solo dello scritto d’italiano, nel quale la totale ignoranza della sintassi, induce i ragazzi a commettere errori gravissimi nella costruzione del periodo. Ma come affronteranno il Latino o il Greco senza le necessarie basi grammaticali? E mi risulta che anche in Matematica non hanno solo lacune, ma voragini. Perciò fin dal primo giorno ho imposto quella che è la premessa per poter fare lezione: la disciplina. E, quando sono passato alle vie di fatto, ho trovato una classe interessata, che mi ha immediatamente compreso.
Tuttavia, il portatore di handicap, invitato a sedersi al suo banco, ha cominciato a fare resistenza. Ho dovuto alzare il tono di voce. Finalmente, dopo reiterati inviti, ha fatto cenno di sedersi, appoggiandosi al bordo della sedia. Poi ha chinato la testa sul banco, ha posto le due mani sulle orecchie affermando che la mia voce gli provocava fastidio, dalle due froge del naso ha iniziato a far scendere due grossi moccoloni che, caduti sul pavimento vi hanno creato una grossa chiazza di muco. Infine ha cominciato ad urlare di voler uscire gridando:”La voce mi rimbomba dentro! mi rimbomba dentro. Voglio uscire!”
Naturalmente gli ho consentito solo di andare al bagno. Da quel giorno, non appena entro in classe, gridando, mi chiede sempre di andare fuori. Ad ogni mio diniego, dà il via al consueto spettacolo: proteggersi le orecchie con le mani, urlare che la mia voce gli rimbomba dentro, emettere lunghi ed interminabili moccoloni. Cosa debbo fare? Preside, per cortesia”, aggiungo, “venga in classe a constatare di persona”.
“Verrò a trovarti” mi ha risposto “in confidenza” continua, aprendo le palme delle mani, ” se lo vuoi sapere, la colpa in qualche modo è mia. All’inizio dell’anno, prima della tua nomina, ho dovuto ricevere quasi tutti i genitori della classe. Tutti preoccupati perché i loro figli affronteranno i Licei senza la dovuta preparazione. Perciò, quando dal Provveditorato mi è arrivata la tua nomina, ho pensato subito a te. Devi scusarmi. Capisco. Ti ho dato una grana. Di cui non ho voluto parlarti prima, perché ero convinto che tu l’avresti facilmente risolta. Mai a supporre che la cosa avrebbe preso la piega, che tu mi esponi! Fa’ il tuo lavoro. Sii certo: ti sarò vicino”.
Quindi, si è alzato, dal momento che era la mia ora libera, mi ha invitato a prendere un caffè e al suono della campanella, mi ha accompagnato in aula, dove ha potuto constatare di persona ciò che gli avevo riferito.
10 dicembre Mercoledì.
Il Preside, incontrandomi mentre varco la soglia della Scuola, discretamente mi invita ad andare in Presidenza: senza fretta, al termine delle lezioni.
“Non ti preoccupare” mi dice “non è nulla di grave”.
Nel suo ufficio mi accoglie con una stretta di mano. “Non è nulla di così rilevante”, mi fa per minimizzare la cosa, “sai, in uno di questi giorni si è riunita la Commissione dei genitori democratici…”
Immediatamente comprendo la natura del problema: la solita antifona, e la solita sigla, dietro cui si celano i soliti noti: “color che tutto sanno”. Perciò lo interrompo: “Ma, Preside, tutti gli altri genitori, quelli che insistentemente mi chiedono di essere ricevuti durante le mie ore libere, che mi chiedono di insegnare, che cosa sono? Non sono forse anche loro democratici? E’ forse antidemocratico fare lezione ?”
“Ma no, D’Adamo, non ti scaldare. Stammi a sentire: le solite cose. Tutto si scarica sulla Scuola. Anche la problematicità di certi ragazzi”.
Poi, cercando di tranquillizzarmi:
“Che colpa ne abbiamo noi, se un ragazzo è portatore di handicap e non riesce neanche a stare in classe? Ne ho parlato all’Ispettore del Provveditorato, da cui sono stato contattato qualche giorno fa. Verrà per una visita ispettiva. Durante una riunione dei “genitori democratici”, quelli dell’alunno portatore di handicap della tua 3°A hanno sollevato il problema del rapporto che il figlio ha con te. Parlando di discriminazione. E, in quella sede, dove era stato invitato un Ispettore del Provveditorato, avevano posto all’o.d.g. il problema. Desideravano che l’associazione si facesse promotrice di un articolo di giornale sui tuoi presunti atti discriminatori nei riguardi del ragazzo. Non ti dico le parole…. Ma lasciamo stare. Siamo insegnanti. E dobbiamo tollerare. L’Ispettore mi ha riferito di aver impedito la pubblicazione dell’articolo con il pretesto di voler constatare di persona la cosa. Perché gli sembrava impossibile che un docente potesse avere un atteggiamento discriminatorio verso un allievo, per giunta portatore di handicap. I genitori hanno accettato l’invito a malincuore. Sai…” continua con un sorriso ironico, “eri già stato processato e condannato. Si sono fermati soltanto per via dell’Ispettore. Che ha consigliato loro di procedere soltanto dopo la sua visita ispettiva finalizzata all’accertamento delle accuse. Per l’amicizia , che ci lega , ti devo confessare che ha dovuto faticare non poco. Ma io so come stanno le cose… Non devi preoccuparti. Gli ho esposto il problema, elogiando non solo il tuo operato, ma anche l’energia mostrata nell’affrontare e risolvere il problema, che altri non hanno avuto il coraggio neanche di sfiorare. In ogni caso, continua a non far uscire il ragazzo , anche se te lo chiede con insistenza. Solo in caso di emergenza e solo per qualche minuto, come per tutti gli altri, perché l’Ispettore verrà a verificare di persona”.
Giovedì, 11 Dicembre ore 8,30.
L’Ispettore bussa discretamente alla porta accompagnato dal Preside. Così di persona si rende conto della situazione, che non solo io, ma la classe intera deve vivere.
Non dice altro. Dopo essersi soffermato per pochi secondi nella classe – la cosa deve avergli fatto alquanto schifo – si scusa con me, pregandomi di aver pazienza. Ci penserà lui a placare gli animi. E a fornire ai “genitori democratici” una versione più attendibile circa il mio modo di agire. Intanto che io faccia pure uscire il ragazzo a suo comodo: “senza esagerare, però”. Con molta educazione riferisco di aver stabilito una specie di patto con il ragazzo: ogni permesso di uscita sarà il premio di un suo comportamento rispettoso verso di sé e dei compagni. E avverrà solo dopo che egli avrà partecipato attivamente alle lezioni. Aggiungo:”E’ solo questione di tempo”…….