di Sabino Paciolla
E’ tutto un fiorire di Veglie ecumeniche di preghiere per il superamento dell’omotransfobia in molte diocesi italiane (qui). Quest’anno poi, alcune di esse saranno presiedute da alcuni vescovi.
Il sito di Gaynews (qui) così riporta la notizia: “Dopo Beschi a Bergamo e Lorefice a Palermo colpo di scena a Reggio Emilia: il vescovo Camisasca presiederà la veglia anti-omofobia“. Se Gaynews è sorpresa della presenza di mons. Camisasca alla veglia anti-omotransfobia, a maggior ragione lo saremo noi.
Che dire oltre la sorpresa e lo sconcerto? Che grande è la confusione sotto il sole. Una confusione che a volte è propalata ad arte, a volte abbracciata, a volte subita per inadeguatezza culturale, a volte ammessa per debolezza, a volte non percepita per subalternità culturale, a volte diffusa in buona fede. In ogni caso un mesto spettacolo.
Che senso ha dare una patente di legittimità ecclesiale, sia pure indirettamente ed in buona fede ?), ad un movimento potente ed internazionale ben definito, che fa proprio un pensiero anticristiano che sta facendo di tutto per insinuarsi nella Chiesa sotto varie sottili, ambigue, forme? Che non ci debba essere discriminazione, qualsiasi tipo di discriminazione (di sesso, religione, razza, ecc.), è una cosa che deve essere data per scontata. Per questo, qualsiasi discriminazione sia avvenuta o possa avvenire in futuro sarà e dovrà essere sempre condannata.
Ma tutt’altro capitolo è dare spazio, a volte anche inconsapevolmente o mediatamente, ad una ideologia che vuole un falso bene dell’uomo.
La stessa sigla di “Cristiani LGBT” è un’espressione ambigua e senza senso. Un’espressione che genera steccati e recinti. Quei recinti che non ci devono mai essere e che si vogliono combattere. Ma la sigla “LGBT” associata alla parola “cristiani” è la dimostrazione lampante della presenza della ideologia. Infatti, un cristiano è cristiano e basta, senza sigle ideologiche, perché è colui che riconosce Gesù Cristo come suo unico Salvatore; che riconosce Dio come il suo Signore che lo ha creato e dal quale dipende.
Al contrario, la sigla LGBT è l’espressione di una ideologia che viene da lontano. Una ideologia che vede nella bramata diversità dei desideri, dei gusti e delle molteplici identità sessuali la massima espressione di sé. Una ideologia che vede l’essere umano realizzato solo quando sia sganciato da qualsiasi legame, anche da quello con il proprio corpo che è sessuato. Una ideologia che fa propria la tensione verso una radicale autonomia sessuale ed identitaria che, per essere tale, deve necessariamente postulare la rescissione di qualsiasi legame, anche quello originario con il Creatore. Una radicalità che deve essere non solo accettata dagli altri, ma soprattutto coltivata e propagandata. A titolo di esempio, si veda questo breve filmato (qui)
Quest’anno segna il mezzo secolo dal mitico ’68, data che ci ricorda la rivoluzione sessuale e del “libero amore“. Ma in pochi decenni siamo passati dal “sesso libero“ alla “libera identità sessuale“. E la cosa più sorprendente è che ciò sia avvenuto con una impressionante accelerazione negli ultimi 4-5 anni.
Tutto questo dovrebbe essere chiaro e dovrebbe spingere ad essere molto prudenti. Ed invece stiamo annegando nelsentimento e nella esaltazione della coscienza. Anche e soprattutto nella Chiesa.
Ed è così che sentiamo pastori come il card. Christoph Schoenborn, che papa Francesco ha definito un “autorevole interprete” di Amoris Laetitia, dire in una intervista (qui) durante il Sinodo sulla Famiglia del 2015, che occorre riconoscere gli “elementi positivi“ delle unioni omosessuali; e aggiungendo poi:“Possiamo e dobbiamo rispettare la decisione di formare un’unione con una persona dello stesso sesso, [e] di cercare mezzi del diritto civile per proteggere la loro convivenza con le leggi che garantiscono tale protezione“. Schoenborn ha poi criticato come “moralisti intransigenti“quei vescovi che avevano “un’ossessione per l’intrinsece malum (mali intrinseci)”.
Oppure il card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, che in una intervista (qui) del gennaio scorso ha detto che la Chiesa nel suo insegnamento sulla morale sessuale non può applicare un “rigore cieco“; che è “difficile dire dall’esterno se qualcuno sia in stato di peccato mortale” – un principio che egli ha detto si applica non solo a uomini e donne in “situazioni irregolari“, ma anche a quelli in relazioni omosessuali, perché ci deve essere un “rispetto per una decisione presa in libertà” e alla luce della propria “coscienza“.
Senza parlare del suo vice, l’arciv. Franz-Josef Bode, che ha chiesto (qui) la benedizione delle coppie omosessuali. Ha detto inoltre: “Dobbiamo riflettere su come valutare, in modo differenziato, la relazione tra due persone omosessuali. . . . Non c’è tanto di positivo e di buono e di giusto in modo che dobbiamo essere più giusti? “.
Infine, non si può non far cenno al gesuita padre James Martin, consultore dei media vaticani, molto vicino al mondo LGBT, che ambiguamente e sottilmente rifiuta l’insegnamento della Chiesa Cattolica quando questa definisce le tendenze omosessuali come “oggettivamente disordinate” (CCC 2358). Egli, infatti, propone di sostituire quelle parole con tendenze “diversamente ordinate“.
E allora, se questi sono gli esempi che ci vengono proposti “autorevolmente” dall’alto, non possiamo sorprenderci poi se si diffondono a macchia d’olio le veglie contro l’omotransfobia.
E se queste sono le premesse, è facile immaginare che nel giro di qualche anno la gran parte delle diocesi italiane, nel mese di maggio, il mese dedicato alla Madonna, darà corso alle veglie ecumeniche di preghiere per il superamento dell’omotransfobia. Presenziate dal vescovo. E ci mancherebbe!
di Sabino Paciolla