Danilo Quinto
Le componenti degenerate della Chiesa (deep church) e dello Stato (deep state) svolgono il ruolo che deliberatamente hanno scelto. Sono dei venditori di sofferenza. Sul piano spirituale e sul piano materiale. Hanno adottato persino i loro simboli: la Pachamama, un feticcio in legno di ominide femminile incinta (la madre terra), simbolo pagano della fertilità, intronizzata presso la Cattedra di San Pietro nel mese di ottobre 2019; la Porta dell’Inferno, l’opera di Auguste Rodin, che sarà esposta a partire dal 15 ottobre, a Roma, presso le Scuderie del Quirinale.
Due anni per chiudere il cerchio ed arrivare ad una conclusione: deep church e deep state agiscono in base ad uno scopo comune – l’eliminazione di Dio dalla scena umana e dalla coscienza degli uomini – e colpiscono insieme. Il siero genico sperimentale chiamato vaccino – inoculato grazie ad uno scudo penale che annulla qualsiasi responsabilità del somministratore – diventa così, per Bergoglio, la luce della speranza e per Draghi la base della ripresa.
Le norme restrittive, lesive e coercitive delle libertà personali – che sono sacre – sono non solo condivise, ma applicate all’unisono, in un contesto da stato di emergenza permanente, iniziato il 31 gennaio 2020, più volte prorogato e il cui termine, previsto per il 31 dicembre 2021, sarà probabilmente disatteso, per allungare l’agonia e aumentare le sofferenze. Si può essere certi che all’emergenza del bacillo seguirà quella dei cambiamenti climatici o quella della mancanza del grano o quella di una crisi economica che prostrerà buona parte della popolazione.
Per abbruttire ancora di più la situazione, per violentarla, per renderla ancora di più lacerata e foriera di esiti imprevedibili, si fomenta in modo strumentale – attraverso il concorso determinante del mainstream e soprattutto di quella che Pier Paolo Pasolini chiamava scatola nera, strumento del nuovo fascismo, avvertendo che questo, a differenza del fascismo, sarebbe riuscito a sottrarre all’uomo anche la sua anima – una contrapposizione tra due parti, due fazioni.
Da una parte coloro che si sono fatti iniettare il siero genico sperimentale e coloro che non l’hanno fatto. I primi dicono di averlo fatto altrimenti non si vive. Così si esprimono, intendendo per vita quella che altri – per loro – concepiscono e preparano. I secondi affermano di non volerlo fare perché intendono morire per ragioni di natura e, se sono credenti, quando decide Dio, comunque senza compiere atti auto-lesionistici. Tra breve – ora ne conosciamo solo i prodromi – le due fazioni, si scontreranno. Figli contro madri e padri. Fratelli contro fratelli. Amici contro amici.
L’origine del termine diavolo è greca (Διάβολος). Il diavolo è colui che divide. Questa è l’essenza della sua natura. Fu lui, nell’Eden, a separare gli uomini da Dio. E’ lui a seminare il Male, il terrore e la paura tra le creature e a contrapporle. E’ lui il nostro avversario, come lo è stato di Nostro Signore. E’ lui che su questa terra, con il permesso di Dio, dispensa le sofferenze. E’ lui che va combattuto.
«La corona della vittoria non si promette se non a coloro che combattono», scrive sant’Agostino ne Il combattimento cristiano. Il combattimento comporta la tribolazione. A proposito della quale, sempre sant’Agostino afferma: «Non ci sconvolga il fatto che in questa vita secondo la carne che essi portano, i giusti sopportino molti mali gravosi e difficili. Infatti, non soffrono alcun male coloro che ormai possono dire ciò che quell’uomo spirituale, l’Apostolo, canta con esultanza e predica dicendo: Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Se dunque in questa vita, dove vi sono tanti grandi travagli, gli uomini buoni e giusti, quando sopportano tali sofferenze, possono non solo tollerarle con animo sereno, ma anche gloriarsi nell’amore di Dio, che cosa pensare di quella vita che ci è promessa, dove nessuna molestia sentiremo da parte del corpo?
In effetti il corpo dei giusti non risorgerà per lo stesso scopo per cui risorgerà il corpo degli empi. Come sta scritto: Tutti risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati. E affinché nessuno creda che questa trasformazione non è promessa ai giusti, ma piuttosto agli ingiusti, e non consideri che essa procuri pena, l’Apostolo prosegue e dice: E i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. Tutti i cattivi, dunque, sono ordinati in modo tale che ciascuno nuoce a se stesso e tutti si danneggiano vicendevolmente.
Infatti, desiderano ciò che è amato in modo pernicioso e ciò che ad essi può essere facilmente portato via; e queste cose portano via a se stessi a vicenda quando si perseguitano. E così sono angustiati coloro ai quali vengono tolti i beni temporali, perché li amano; al contrario coloro che se ne impossessano, godono. Ma una siffatta gioia è cecità e somma miseria: infatti coinvolge ancor più l’anima conducendola a tormenti sempre più grandi. Anche il pesce è contento, quando, non vedendo l’amo, divora l’esca. Ma appena il pescatore comincia a tirarlo, per primo vengono attorcigliate le sue viscere, in seguito, da tutto quel piacere per mezzo di quella stessa esca dalla quale era stato attratto, è trascinato alla morte. Similmente accade di tutti coloro che si reputano felici per i beni terreni. Abboccano, infatti, all’amo, e con quello vanno errando. Verrà il tempo quando sentiranno quanti tormenti avranno divorato con l’avidità. E ai buoni non arrecano danno per nulla, perché viene tolto loro ciò che essi non amano. Infatti, nessuno può loro sottrarre ciò che essi amano, e per cui sono felici. Il tormento del corpo affligge miseramente le anime malvagie, invece purifica fortemente quelle buone. Così avviene che l’uomo cattivo e l’angelo cattivo combattono per disposizione della divina Provvidenza, ma ignorano quale bene Dio trae da loro. E quindi vengono ricompensati non per i meriti del loro servizio, ma per i meriti della loro malizia».
Il combattimento riguarda innanzitutto in nostro foro interiore e richiede di sottoporre la nostra anima a Dio, «se vogliamo sottoporre il nostro corpo a schiavitù e trionfare del diavolo», afferma sant’Agostino, che aggiunge: «La fede è la prima che sottopone l’anima a Dio; poi i precetti del vivere, con l’osservanza dei quali la nostra speranza si rafforza, e la carità si alimenta e comincia a risplendere quello che prima solo si credeva. Poiché la conoscenza e l’azione rendono beato l’uomo, come nella conoscenza bisogna guardarsi dall’errore, così nell’azione bisogna guardarsi dal peccato. Erra invece chiunque crede di poter conoscere la verità vivendo ancora nell’iniquità. È iniquità amare questo mondo e avere in grande considerazione le cose che nascono e passano, bramarle e affannarsi per esse per conquistarle; rallegrarsi quando abbondano e temere di perderle; contristarsi quando si perdono. Tale vita non può contemplare quella pura, sincera e immutabile verità e attaccarsi ad essa, né staccarsene più per l’eternità. Pertanto, prima di purificare la nostra mente dobbiamo credere quello che non possiamo ancora comprendere; poiché in tutta verità fu detto per mezzo del profeta: Se non crederete, non comprenderete».
Per sant’Agostino, «la fede nella Chiesa si esprime con somma brevità; in essa sono comprese le verità eterne che non possono ancora essere comprese dagli uomini carnali e le cose temporali passate e future che l’eterna divina Provvidenza ha fatto e farà per la salvezza degli uomini. Crediamo dunque nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Queste sono (Persone) eterne e immutabili, cioè un solo Dio, la Trinità eterna di una sola sostanza, Dio, dal quale è tutto, per il quale è tutto, nel quale è tutto. […] Nutriti con il latte di questa semplicità e sincerità di fede, noi ci nutriamo in Cristo e quando siamo ancora piccoli non desideriamo gli alimenti dei grandi, ma cresciamo con nutrimenti molto salubri in Cristo, mentre progrediscono i buoni costumi e la giustizia cristiana, nella quale la carità di Dio e del prossimo è perfetta e ben salda; in modo che ciascuno di noi trionfi, in se stesso, nel Cristo di cui si è rivestito, sul diavolo nemico e i suoi angeli. La perfetta carità non ha né la cupidigia del secolo, né il timore del secolo, cioè né la cupidigia per accaparrarsi le cose temporali, né il timore di perderle. Attraverso queste due porte entra e regna il nemico, il quale deve essere cacciato prima col timore di Dio e poi con la carità. Dobbiamo pertanto desiderare una chiarissima ed evidentissima conoscenza della verità tanto più ardentemente, quanto più ci accorgiamo di progredire nella carità e avere il cuore purificato dalla sua semplicità, in quanto proprio attraverso l’occhio interiore si vede la verità: Beati i puri di cuore, dice il Signore, perché essi vedranno Dio. In questo modo radicati e fondati nella carità possiamo comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; sapere l’altissima scienza della carità di Cristo, per essere riempiti di tutta la pienezza di Dio, e dopo queste battaglie col nemico invisibile, poiché per quelli che vogliono e amano il giogo di Cristo è soave e il suo fardello è leggero, possiamo meritare la corona della vittoria».
E’ questo il contenuto del combattimento a cui i figli di Dio sono chiamati in questo momento, che è anche – se non soprattutto – un momento di grazia. Un contenuto che trascende la miseria della realtà che viviamo, che non possiamo definire finale – perché a noi non appartiene il tempo, né spetta esprimere giudizi – ma che possiamo considerare decisivo per tentare di salvare la nostra anima e sperare che Dio, mosso a pietà del pentimento dei nostri peccati, sollevi i Suoi figli dal giogo che li opprime.
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