Roberto PECCHIOLI
Dunque ha vinto ancora lui, il vecchio Donald. Probabilmente è la terza volta consecutiva, tenuto conto dei brogli del 2020. Successo netto, in termini di Stati conquistati e di voti
popolari. L’effetto trascinamento consegna ai repubblicani il controllo di Camera dei rappresentanti e Senato. L’elefante sconfigge l’asinello. Fin qui i dati, i nudi fatti, che
consegnano al ridicolo i sondaggisti- tutti allineati sul pareggio- e dimostrano il fiuto degli allibratori, che pagavano la vittoria della Harris assai più di quella di Trump.
Un altro dato consolante è il rigetto nel Nord Dakota di una norma che avrebbe inserito l’aborto come diritto nella costituzione dello Stato. Analogo orientamento in un
referendum in Florida. Più che un duello destra-sinistra o conservatori –progressisti emerge una volta di più- come nel 2016- la totale incompatibilità tra popolo e élite. Joe
Biden ha definito alcuni giorni fa gli elettori di Trump- la maggioranza degli americani, come si è visto- “spazzatura”.
Il solito riflesso suprematista dei sedicenti illuminati, appostati nei quartieri ricchi, nelle università, nel sistema di comunicazione e
intrattenimento, schierati come un sol uomo dalla parte del partito che si definisce emocratico. Hillary Clinton parlò di “deplorevoli” e perse. François Hollande – che
contende a Macron il titolo di peggior presidente della storia francese- definì “sdentati” i suoi avversari. Non porta fortuna disprezzare il popolo a cui si deve chiedere il voto.
E’ la lezione che un’oligarchia autoreferenziale, carica di disprezzo per la gente comune, non apprende mai, troppo convinta della propria superiorità, incapace di accettare
l’esistenza stessa di un pensiero alternativo. In questo senso, la vittoria di Trump desta sollievo: un macigno sull’arroganza delle classi dirigenti in entrambe le rive dell’Atlantico.
Sollievo, non entusiasmo, ma mille volte meglio il presidente dal ciuffo arancione rispetto a un’avversaria manifestamente incapace, in balia del grumo di potere delle famiglie Obama
e Clinton , nonché della cricca guerrafondaia neocons ( conservatori del predominio Usa!), sostenitrice dell’ abietta ideologia woke, portabandiera di tutte le peggiori cause che gli Usa
esportino nel mondo ( gender,LGBT, bellicismo, cancellazione culturale).
Con Trump alla Casa Bianca e il Congresso a guida repubblicana è probabile una battuta d’arresto, ma non è il caso di abbandonarsi all’entusiasmo. Ha vinto il meno peggio, ma
non arriva l’Impero del Bene. Lo slogan trumpiano è chiaro: MAGA, Make America Great Again , rifare grande l’America. Ovvio, per un patriota americano, ma non rassicurante per
il resto del mondo. Dei tre scenari imprescindibili per la potenza Usa – trascuriamo il “cortile di casa” centro e sud americano- almeno due non vedranno cambiamenti
significativi. In Estremo Oriente la competizione con la Cina si inasprirà (questa fu la politica del primo Trump), mentre in Medio Oriente non è pensabile alcun cambiamento
nelle relazioni con Israele. Trump è un amico fidato delle lobby ebraiche e un fiero avversario dell’Iran. Vedremo se la crisi del governo Netanyhau condurrà a più miti
consigli la violenza dello Stato sionista sui suoi vicini e se la prudenza prevarrà nella polveriera del Vicino Oriente.
Più complicato immaginare il comportamento del neo presidente nello scenario europeo e rispetto alla guerra Russia- Ucraina, che è in realtà uno scontro tra gli Usa e l’Europa.
Prendere atto della sconfitta ucraina e accettare la restituzione alla madrepatria russa dell’est e del sud ucraino potrebbe essere la via giusta, assicurando una via d’uscita al
dittatore Zelensky ( tale è, poiché in Ucraina non si tengono più elezioni e quasi venti partiti sono stati messi fuori legge) e alla martoriata Ucraina un ragionevole piano di
ricostruzione. Difficile, tuttavia, per la prevedibile resistenza del deep State americano e per le pressioni dell’arrogante ex potenza britannica, che fece fallire nel 2022 una pace di
compromesso.
L’auspicio che corrisponda a verità la promessa fatta a caldo di non iniziare guerre e fermare quelle esistenti.
In più, proprio perché Trump persegue la grandezza americana, tenere l’Europa vassalla è nell’interesse di ogni amministrazione Usa. Capiremo presto se gli scenari asiatici – e le
difficoltà nell’ America a sud del Rio Grande- saranno per Trump più importanti del vecchio, servile alleato europeo. Dal punto di vista geopolitico, è arduo immaginare che gli
Usa permettano il riavvicinamento naturale tra Europa (ossia soprattutto Germania) e Russia.
Forse saranno tenuti a bada i falchi – o falchetti- antirussi in Europa, non fosse altro perché i costi dell’impegno Usa in Europa e nella Nato sono elevati e Trump già nel
precedente mandato chiese agli europei di provvedere alla difesa con risorse proprie. Un argomento di peso, tenuto conto che le opinioni pubbliche europee sono contrarie alla
guerra e all’aumento delle spese militari.
Quanto alla battaglia culturale in atto in occidente sul piano dei valori civili, è sperabile- ma niente affatto certo- che la presidenza repubblicana riesca a bloccare le derive peggiori.
Non osiamo immaginare niente di più.
Un altro tema caldissimo è quello delle transizioni promosse dalle oligarchie occidentali, ossia americane. Transizione climatica, alimentare,
digitale, sessuale, riunite nella rivoluzione tecnologica, nell’avanzata dell’Intelligenza Artificiale, nel cammino del transumanesimo. Quale sarà il ruolo di Elon Musk, l’ oligarca
tecnologico schierato con Trump? Difficile immaginare l’abbandono dell’Agenda 2030.
L’ultima riflessione riguarda i numeri, le divisioni della società americana. La Harris supera nettamente Trump nel voto femminile, mentre il repubblicano avanza tra i latinos e
vince nettamente nel voto cattolico e protestante. Le analisi approfondite sono premature, a scrutinio appena terminato, ma appare chiara la spaccatura radicale tra due concezioni
inconciliabili, quella del progressismo globalista e “dirittista”, prevalente nelle élite, nelle grandi aree urbane, tra le donne in carriera, e quella del radicamento nelle tradizioni civili,
etiche, religiose, del popolo. Sempre più, il conflitto è tra alto e basso, centro e periferia.
Nullo, purtroppo, il dibattito sul modello liberal liberista. Il conflitto- ancora una volta- è interno al sistema. Stavolta hanno vinto i meno pericolosi, ma non è tempo di esultanza,
bensì di prendere slancio nella battaglia sui temi antropologici, civili, economici, finanziari, dalla parte del popolo, delle classi medie e basse, i cui interessi sono opposti a quelli del
capitalismo globalizzato tecno finanziario.
La soddisfazione maggiore – i lettori perdonino la malizia- è vedere i volti, le espressioni, le reazioni stizzite, talora inconsulte, dei tifosi di Kamala, qui e in America. Non
necessariamente i nemici del mio nemico sono buoni e giusti, ma chi odia The Donald è nemico dei nostri principi e dei nostri interessi.
Ci rallegriamo per la sconfitta avversaria più che felicitarci con il vincitore. Piuttosto che niente meglio piuttosto, diceva qualcuno.
Piuttosto che Harris, Obama, LGBT, woke, aborto diritto universale, deep State, esportazione armata della democrazia, meglio il ciuffo del vecchio Trump.
https://x.com/StefanoFassina/status/1854101932631056582
https://x.com/DrLoupis/status/1854050528658948372
Cosa farà Trump II in politica estera?
se lo domanda la rivista The American Conservative. E si risponde:
Il disinnesco della Cina e dell’Iran sono in cima alla lista.
Per quanto riguarda il secondo mandato, Trump ha chiarito che la conclusione della guerra in Ucraina è una priorità assoluta, arrivando a promettere di porvi fine nei mesi che intercorrono tra la rielezione di novembre e l’Inauguration Day di gennaio. Anche se questo calendario potrebbe non essere possibile (perché, tra l’altro, il cittadino Trump violerebbe il Logan Act conducendo una diplomazia per conto degli Stati Uniti), rende chiaro che Trump non continuerà ad alimentare con armi e denaro il tritacarne di Kiev che non sembra produrre risultati positivi.
Che abbia o meno un rapporto speciale con Putin, Trump cambierà radicalmente politica aprendo un ciclo di diplomazia con la Russia. La Russia a questo punto sembra matura per le discussioni, visto che i suoi sforzi per fare progressi all’interno dell’Ucraina non sono andati a buon fine. Come nella maggior parte delle guerre inconcludenti, l’accordo di “pace” che ne risulterà sarà disordinato.
La Russia non ha motivo di abbandonare il campo a mani vuote e l’Ucraina dovrà senza dubbio cedere del territorio, magari con il pretesto di una “zona cuscinetto controllata dai russi” o con qualche altro abile termine di giustificazione. Nessuno può dire oggi quale sia stato il costo in uomini e dollari per ciascuna delle parti, ma è stato sostanziale e quindi, al netto della pornografia nazionalista dell’amministrazione Biden sul “popolo libero dell’Ucraina”, è probabile che si trovi un accordo. Un Congresso controllato dai repubblicani renderà le cose ancora più veloci.
Con la Cina, Trump potrebbe scegliere di affinare la lotta più come competizione, principalmente economica, tra quasi pari che come una Terza Guerra Mondiale light. Tra il 1991 e il 2022, Taiwan ha investito 200 miliardi di dollari in Cina, più persino degli investimenti della Cina negli Stati Uniti. La Cina rimane il più grande partner commerciale di Taiwan. “Un paese, due sistemi” non solo ha mantenuto la pace per decenni, ma si è anche dimostrato dannatamente redditizio per tutte le parti. Come ha detto Deng Xiao Ping di questo tipo di modus vivendi , “A chi importa di che colore è un gatto finché cattura i topi?” La Cina potrebbe un giorno cercare di acquistare Taiwan, ma fino ad allora, perché sganciare bombe su uno dei suoi migliori clienti? Hanno persino invitato Taiwan alle Olimpiadi di Pechino e hanno partecipato insieme a loro a Parigi.
Il primo mandato di Trump si è concentrato sull’isolamento dell’Iran, che lui definisce “il principale sponsor statale del terrorismo”. D’altro canto, Trump, parlando ai giornalisti a New York City, non è entrato nei dettagli su cosa, se rieletto, cercherebbe in un eventuale accordo, ma ha detto che i colloqui sono necessari a causa della minaccia rappresentata dalla ricerca di armi nucleari da parte dell’Iran: “Dobbiamo fare un accordo, perché le conseguenze sono impossibili. Dobbiamo fare un accordo”. Il nuovo presidente riformista dell’Iran dice che anche lui vuole riaccendere l’accordo sul nucleare.
E’ il momento delle Rosee speranze…