Oltre un secolo dopo la Rivoluzione d’Ottobre, a Mosca finiscono agli arresti due esponenti del Partito Comunista e intanto, nella cattedrale di Sant’Isacco, a San Pietroburgo, ex capitale imperiale russa, l’erede al trono degli Zar convola a nozze con la fidanzata. La contemporaneità dei due avvenimenti lascia ipotizzare una dinamica contro-rivoluzionaria. O addirittura un nuovo inedito episodio della profezia mariana di Fatima che, come dicono i Pontefici, non si è ancora conclusa.
Il governo e i partiti in senso stretto c’entrano poco e se ne tengono accuratamente alla larga. «Non è una questione del Cremlino», commenta infatti Dmitry Peskov, il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, pur augurando felicità agli sposi. I riflessi istituzionali non saranno immediati, perché l’evento sacramentale riveste un carattere soprannaturale e anche culturale. Se cresce la temperatura religiosa, cala quella politica. E viceversa.
NOSTALGICI – Insomma, più si alza in volo l’aquila imperiale, più si abbassa la falce e martello. Nonostante il discreto successo alle ultime elezioni della Duma, dove i comunisti di Gennadij Zjuganov hanno ottenuto la seconda posizione dopo Russia Unita di Putin, i nostalgici dell’Urss non hanno accettato il risultato delle urne. Sospettano brogli tramite il voto elettronico, organizzano dimostrazioni di piazza per denunciare il complotto contro di loro, ma alle proteste, fra l’altro vietate dalle autorità a causa dell’emergenza Covid-19, partecipano pochi militanti. Perfino Zjuganov, che aveva invitato i propri sostenitori a «difendere il risultato delle elezioni come i cadetti di Podolsk difesero Mosca», in riferimento a un episodio della Seconda Guerra Mondiale, deve arrendersi.
Tanto più che si aprono un centinaio di procedimenti per manifestazione non autorizzata. I vertici comunisti della capitale, Nikolai Zubrilin, capogruppo alla Duma cittadina e Pavel Ivanov, capo del dipartimento delle proteste del Comitato locale del partito, vengono prelevati al termine di una riunione da una pattuglia della polizia e portati in un commissariato nel distretto di Tverskoi senza fornire spiegazioni. Caduto il regime sovietico, una volta depositata la polvere, sono venute alla luce le rovine, sulle quali ora gli stessi che hanno distrutto il Paese tentano di salire per far esplodere il disagio sociale.
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Ma ieri un discendente illustre delle vittime della Rivoluzione è tornato in Patria. L’ultimo zar di Russia Nicola II, sua moglie e i suoi cinque figli furono uccisi da un plotone d’esecuzione comunista nel luglio 1918 nella cantina della casa di un mercante a Ekaterinburg. Sepolti in un luogo a lungo tenuto segreto dalle autorità sovietiche, i loro resti sono stati trasferiti nel 1998 nella Cattedrale di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. In seguito sono stati poi canonizzati nel 2000 dalla Chiesa ortodossa russa e riconosciuti ufficialmente nel 2008 come vittime del bolscevismo.
Ieri, anche gli antenati guardavano il loro successore, il granduca George Mikhailovich Romanov, in un luogo di culto poco distante, sull’altra riva della Neva, sposare un’italiana, Rebecca Bettarini (Victoria Romanova dopo la sua conversione alla religione ortodossa) alla presenza di tutte le famiglie reali europee e dell’aristocrazia mondiale. Si tratta del primo matrimonio di un membro della dinastia Romanov sul suolo russo da più di un secolo. Simbolicamente, la vicenda assume un significato storico. Sarà una data da celebrare. Anche se non sarà l’anticamera di una restaurazione dell’impero degli Zar, l’inno Boje zarja hrani che risuona al posto di Bandiera Rossa o dell’Internazionale, più che una coincidenza, è una congiunzione celeste da contemplare per capire che gli uomini e le nazioni possono cambiare il loro destino e il corso della storia.