di Roberto PECCHIOLI
“Chi vusa pusé, la vacca è sua” è un vecchio detto lombardo, nato nei fori boari, tra le compravendite degli animali. Fu anche il titolo di uno dei più popolari spettacoli di Felice Musazzi e dei suoi Legnanesi, la compagnia dialettale “en travesti”, (ma non transessuale!) che calca le scene della Lombardia e dell‘Italia settentrionale da ben oltre mezzo secolo.
Sì, chi urla più degli altri avrà la vacca, oggi più di ieri, con i megafoni della comunicazione tanto potenti e pervasivi. Una delle prove è la vicenda dei voucher e del referendum abrogativo proposto dalla CGIL. Riavvolgiamo il nastro ad uso di chi non segue gli arcani della politica. I voucher sono quei buoni emessi a pagamento di prestazioni lavorative occasionali, non continuative ed affini. Consentono di retribuire gli interessati e regolarizzare, dal punto di vista previdenziale, il loro lavoro. Come accade quasi sempre nell’italico mercato delle vacche, il loro uso si è imposto e generalizzato, con numeri da capogiro. Evidentemente, o la legge istitutiva è generica od oscura, oppure se ne è abusato. Probabilmente, entrambe le cose, con l’aggiunta dei controlli assenti o malfatti. E sì che gli organi tributari italiani, quando vogliono, sanno essere occhiuti, pignoli sino all’acribia, non di rado nemici.
Così, ha avuto buon gioco la CGIL, sindacato comunista nel midollo, oggettivamente ostile all’impresa, a richiederne l’abrogazione. Erano diventati un omnibus che legittimava precariato, nuovo sfruttamento, caporalati vari, occultava rapporti di lavoro ben diversi da quelli retribuiti con i buoni. Tanta acqua sporca, insieme con la quale è stato gettato il bambino, nella peggiore tradizione italiana. Sì’, perché il fragile governo Gentiloni, già afflitto dalle primarie del PD e dalla scissione dei nostalgici di Bandiera Rossa, non può permettersi conflitti con la principale organizzazione dei lavoratori, storica alleata e cinghia di trasmissione. Dunque, voucher aboliti con un tratto di penna. Risultato? Giubilo del Rosso Antico, ma, nel concreto, si ricaccia nel lavoro nero tutta una serie di settori – pensiamo all’agricoltura, alla ristorazione, alla cura della persona, anche a molti ambiti della “new economy” – che un uso controllato e regolato con chiarezza e severità avrebbe aiutato. Moltissimi perderanno quindi i contributi e quel poco di protezione sociale assicurata dai voucher, mentre le imprese torneranno al nero, con perdite assai rilevanti per l’INPS e per l’erario.
NECROFORI DELLA NAZIONE
Un colpo da maestro, nella migliore tradizione dei necrofori della nazione annidati al potere da decenni, ed a cui, improvvidamente, larga parte dei cittadini dà il proprio consenso. Ma, appunto, chi grida più forte, porta a casa la vacca…. Il problema sta proprio qui: che cosa ce ne facciamo di una mucca, se non c’è più la stalla, se manca il foraggio ed anche la mandria? La vicenda dei voucher è solo la punta dell’iceberg di fatti e temi non solo italiani che descrivono un degrado invincibile, al quale non crediamo si possa più porre rimedio. Chi grida di più, infatti, possiede (quasi) tutti i megafoni, gli amplificatori per farsi ascoltare e poi assordare.
Restiamo in Italia e nelle cronache recenti. Riflettiamo sul caso Minzolini, il senatore di Forza Italia condannato per uso improprio della carta di credito RAI. La sua vicenda processuale è quanto meno dubbia, giacché il suo giudice d’appello è un ex politico di sinistra. Il punto è che il voto parlamentare che ne ha scongiurato la decadenza da senatore è stato un evidente scambio di favori tra FI e PD – i forzisti avevano appena sostenuto il ministro Lotti indagato nel caso Consip – ma dimostra che la legge Severino sull’incandidabilità dei condannati in sede penale è un mostro, peggio un autogol politico. Pensata contra personam per far fuori Berlusconi, ha due profili francamente inaccettabili: la retroattività nel caso del Cavaliere (ex, come ripetono perfidamente i giornalisti avversi) e la prevalenza della giurisdizione sulla volontà e sovranità popolare. E’ un caso di scuola del principio di cui parliamo: chi vusa pusé con quel che segue. Dello stato di diritto si occupano solo i manuali scolastici, e la legge Severino toglie l’elettorato passivo – ovvero la facoltà di ottenere cariche elettive – ad un numero notevole di cittadini che non sono né assassini, né mafiosi, né pedofili seriali. Robespierre sarebbe fiero dei suoi nipotini, se non fosse salito anch’egli sulla ghigliottina, con gran baccano di ex sostenitori e sferruzzare di “tricoteuses”.
Intanto, le contemporanee tricoteuses a 5 Stelle sono a lutto, perché uno non vale uno a Genova, dove Grillo (uno più di tutti) ha cacciato la candidata sindaco scelta dalla nuova Dea Ragione chiamata Rete. Anche a chi sbraita il padrone della stalla può togliere la vacca.
Il caso più eclatante, nella sua tristezza, tuttavia, è quello del povero DJ Fabo, portato a morire in Svizzera dal Partito Radicale. Becchini ed insieme untori della nostra agonia civile, i radicali, propagandisti della morte sotto varie forme (aborto, eutanasia attiva, suicidio assistito e diavolerie varie) hanno urlato più forte, una volta di più, il loro antivangelo mortifero. Chiedono, no, pretendono, sempre in nome della “civiltà” e della “libertà” che il parlamento approvi in gran fretta le leggi che vogliono loro, su mandato dei poteri forti mondialisti. La gente sia fatta morire appena è inabile, o invalida, o malata.
Anzi, non si tratta di morte, ma fine vita. E’ meno angosciante l’eufemismo politicamente corretto e Pannella, Bonino e sodali non sono nuovi alle urla scomposte, allo sfruttamento ripugnante delle tragedie più drammatiche per cogliere tornaconti politici con lucido cinismo. Servirebbe, in tanti casi, l’aiuto concreto ed un silenzio operoso, non le urla da suburra e l’oscena esibizione di tutto allo scopo di forzare la situazione e manipolare l’opinione pubblica con emozioni provocate ad arte. Povero Fabo, poveri Welby e Eluana Englaro prima di lui. Intanto, dove esistono leggi che consentono la soppressione cosiddetta assistita, i numeri aumentano di anno in anno, e si allargano le possibilità ammesse, dai bambini (!!!!) agli ultrasettantenni che lo richiedano.
Che importa, il cancro radicale è diventato terapia, anche per uomini di Chiesa che pongono sul piedistallo Marco Pannella: l’arcivescovo Paglia, suo sperticato ammiratore, futuro cardinale, è addirittura presidente della Pontificia Accademia per (PER!) la vita. Emma Bonino, militante e praticante abortista di tutta la vita, è considerata da Bergoglio una grande italiana. Insomma, le urla, più sono scomposte, meglio raggiungono lo scopo, la vacca.
Il tema della morte sgomenta sempre ed allontana chi legge, ma che dire dell’abitudine, diventata moda obbligata, di applaudire il feretro ai funerali? Sarà horror vacui, il terrore del vuoto che pervade l’uomo che non crede più, sarà la società dello spettacolo descritta da Guy Debord, ma neppure il nostro addio al mondo sfugge alla regola del fracasso, del clamore di massa.
Purtroppo, potremmo continuare, ad esempio con la festa del papà. Coincide, forse per un residuo passatista, con la data di San Giuseppe, è stata istituita per biechi motivi commerciali, ma non ha senso alcuno festeggiare un defunto. La società parricida celebra a gran voce mediatico- consumista, tra nuove retoriche e parole d’ordine antiautoritarie, proprio colui che ha ucciso con il massimo del piacere e della premeditazione. Adesso vogliono imporre ai padri lavoratori dipendenti un congedo di paternità di 15 giorni, in maniera di trasformarlo definitivamente in mammo. Strillano forte anche i tribunali, con paternità plurime e sganciate dalla biologia (altro nome, urlato ed obbligatorio, della vecchia natura), e la vacca del ribaltamento dei principi è conquistata, magra ed intoccabile come tra gli indù.
Poiché però il motto lombardo non vale per gli affari che contano davvero, si è consumato in silenzio il rito delle nomine dei grandi boiardi di Stato. Ha deciso tutto Renzi, e l’Eni che fu di Enrico Mattei resta in mano ad Emma Marcegaglia, il cui gruppo imprenditoriale capeggia la lista più o meno pubblica dei debitori insolventi del Monte dei Paschi, mentre Finmeccanica, oggetto da anni di appetiti ed attacchi giudiziari, sarà guidata dall’ex banchiere (loro) Alessandro Profumo. La campana suona per ciò che resta dei gioielli dell’azienda Italia. Finmeccanica sarà fatta a spezzatino e venduta ai soli noti, francesi, americani o di chissà dove.
Il mercato delle vacche a tutto volume è intanto in piena azione per i 60 anni dei Trattati di Roma, che istituirono il primo Mercato Comune Europeo. La grancassa ufficiale vende ai gonzi la mucca europea, bolla gli orrendi populisti come residui del passato, vieta il patriottismo nazionale, ma gronda insopportabile retorica sul patriottismo “buono”, quello costituzionale e soprattutto quello di “più Europa”. La medicina ha aggravato il malato, diamogli la confezione intera. Il foro boario europeo tira al massimo, e diffonde menzogne per appropriarsi della vacca, che, ahimè, siamo tutti noi. In Olanda avrebbero perso i populisti locali, che hanno considerevolmente aumentato voti e seggi, e vinto i buoni e saggi e responsabili, castigati dagli elettori dei Paesi Bassi con la perdita di un terzo dei consensi. Il fatto è che urlano più forte che mai, e non permettono di ascoltare gli altri presenti al mercato.
Gli urlatori più seri, alla fine, sono i terroristi. Loro si fanno sentire, eccome, e, giusto per parlare come gli economisti, hanno lanciato un’OPA ostile su di noi, peggio di Vivendi con le azioni di Mediaset. Il rumore delle esplosioni e degli spari consiglia non di vendere, ma di regalare la mucca, la mandria al completo, le stalle e l’intero pascolo. Quelli fanno sul serio. Risposta “muscolare” del prestigioso parlamento europeo: processare Marine Le Pen per avere diffuso le immagini di un’esecuzione capitale dei tagliagole islamisti. E’ vietato mostrare gli esiti di stragi ed omicidi, troppo deboli gli stomaci obesi degli europei, ma non si combattono gli assassini. Europa, riposa in pace!
Da Ankara, anche Erdogan vuole la vacca, e urla con sincerità il pensiero di chi intende prendere il posto degli europei: o turchi emigrati, fate cinque figli a testa, e l’Europa sarà ottomana! Ha perfettamente ragione, anche senza studi di statistica demografica. Del resto, Houari Boumedienne, presidente algerino, disse cose analoghe, trent’anni fa: con il ventre delle nostre donne vi conquisteremo. Immaginate il chiasso, l’alzata di scudi, l’ondata moralistica che si sarebbe levata da ogni parte, in Occidente, se un politico dei nostri, poniamo Salvini, Vladimir Putin o il bieco Orbàn ungherese, avesse pronunciato frasi dello stesso tipo. Invece, solo sorpresa, un moderato inarcare di sopracciglia: facciamo affari con i turchi, in più è a loro che abbiamo appaltato, in moneta sonante, il controllo delle rotte migratorie!
Eh, sì, chi vusa pusé la vacca è proprio sua! Fortunatamente, almeno uno, Donald Trump, lo ha capito, e due segnali fanno sperare. L’incontro a muso duro con Angela Merkel ha dimostrato che il presidente americano fa sul serio: i tedeschi producono milioni di automobili a basso costo in Messico che poi vendono negli Usa, il loro partenariato con la Cina non è più gradito a Washington, che li accusa anche di gonfiare a dismisura il loro surplus commerciale con le esportazioni verso gli Usa a dazio zero. In parte, e naturalmente per suoi interessi, dice ciò che dovremmo noi urlare in faccia ai crucchi, che ci hanno portato via, urlando Europa Europa, vacche e vitelli della nostra industria. Ancora più importante è l’urlo di Donald al supermercato – poiché questo sono gli incontri della specie- del G-20 di Baden Baden, Germania profonda. Dall’agenda è stato espunto il riferimento alla lotta al protezionismo in nome dell’assoluta libertà di commercio, difesa, udite udite, dai fieri liberali del Partito Comunista Cinese!
Comunque, qui in Italia tutto bene, come iniziava una fortunata rubrica settimanale di Giovannino Guareschi: da noi basta gridare a gola spiegata e, purché le tesi siano quelle della vulgata dominante, espresse nel linguaggio politicamente corretto, magicamente, il mercato delle vacche si inchina e svende tutto.
Basta ca ce sta ‘o sole, ca c’è rimasto ‘o mare. Probabilmente – ed è anch’esso un segno dei tempi – la rassegnata melodia post bellica di Simmo ‘e Napule, paisà descrive ancora meglio del proverbio lombardo lo stato delle cose, in quest’angolo di mondo baciato da mille doni chiamato Italia. Forse il Padreterno, per punirci dei troppi doni che ci ha elargito, ci ha fatto come siamo. Ci inchiniamo a chi grida più forte, ma il sole ed il mare sono ancora lì. Che vogliamo di più?
ROBERTO PECCHIOLI